Tra i commerci, spesso illegali, di opere d’arte, che gli antiquari italiani portavano avanti con gli emissari di Hitler e del Maresciallo Hermann Göring, negli anni precedenti e durante la Seconda guerra mondiale, rientra lo scambio Göring-Ventura, un caso emblematico di collaborazionismo nell’esportazione di opere d’arte dall’Italia verso la Germania, che svela tristi retroscena, i quali vedono coinvolti, non solo gli antiquari, ma anche funzionari delle Belle Arti e noti studiosi. Un caso che ci fa comprendere anche quanto fossero delicate e fondamentali le fasi di trattativa con i Servizi Alleati, Americani e Inglesi, nell’economia delle restituzioni delle opere d’arte trafugate in Italia.
Ce ne dà un’idea Rodolfo Siviero, che, in qualità di capo dell’Ufficio preposto proprio al recupero delle opere d’arte trafugate dai nazisti, nella vicenda ebbe un ruolo fondamentale. Rileggiamo il suo punto di vista, attraverso le parole scritte nel saggio Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane asportate durante la Seconda Guerra Mondiale. Storie note e meno note (il testo si trova edito in L’opera ritrovata: omaggio a Rodolfo Siviero, catalogo della mostra che si tenne a Palazzo Vecchio a Firenze nel 1984, quindi postuma alla morte di Siviero, avvenuta nel novembre 1983):
“… il problema più difficile restava sempre quello degli illeciti acquisti di Hitler e di Göring che essi, fin dal 1937, avevano commesso con la complicità di antiquari italiani. Göring arrivò al punto […] di realizzare uno scambio di dipinti sequestrati dalla Gestapo a ebrei francesi con opere d’arte in possesso di un antiquario fiorentino. Rintracciati a Firenze i nove impressionisti (opere di Van Gogh, Cézanne, Degas, Utrillo, Renoir) [in realtà, non vennero ritrovate opere di Utrillo, ma di Monet e Sisley, insieme a quelle degli altri correttamente citati da Siviero], li consegnai all’ambasciatore di Francia a Roma tra un nugolo di proteste di pseudo giuristi che pretendevano che prima fossero restituite le opere italiane che aveva ricevuto Göring in cambio. Invece di queste opere ottenni, per l’Italia, che i francesi non portassero l’antiquario a Parigi per processarlo. Per fortuna, in questi frangenti insorsero indignati molti amici; tra i ministri e le personalità della cultura ricordo, ancora, Benedetto Croce, Alcide De Gasperi, Enrico Molé, Carlo Sforza, Ranuccio Banchi Bandinelli […] Al Collecting Point [di Monaco veniva ritrovato] un gruppo di quadri di questo “scambio”, tra cui figurava un bellissimo Domenico Veneziano…”.
Per chiarire e contestualizzare le parole di Siviero occorre, però, fare una precisazione: negli anni precedenti e durante la Seconda guerra mondiale, Hitler e il suo maresciallo Hermann Göring, il “Numero due” del regime nazista, perpetuarono, oltre agli altri terribili e ben più noti crimini all’umanità, una massiccia spoliazione di opere d’arte in tutta Europa e soprattutto in Italia e in Francia. Lo scopo primo di Hitler era quello di creare a Linz, in Austria, il più grande Museo di Belle Arti esistente al mondo, che raccogliesse i preziosi manufatti razziati a scapito dei grandi musei e delle più importanti collezioni private, soprattutto se i proprietari di queste ultime erano ebrei. Ovviamente in questo museo ci sarebbe stato posto solo per opere di artisti cosiddetti “classici” (dai Primitivi agli artisti del Rinascimento italiano, dal Seicento all’Ottocento), escludendo l’arte considerata “degenerata”, non in linea, cioè, con gli ideali estetici imposti dal regime. Le opere requisite e facenti parte di quest’ultima categoria servivano come moneta di scambio, in particolare nei traffici con gli antiquari italiani, soprattutto fiorentini. In questa pratica il vero specialista era, appunto, Hermann Göring. I “bersagli preferiti” da colpire erano gli ebrei in fuga dalla persecuzione nazista. Le opere che a questi Göring razziava confluivano poi nella sua personale e privata collezione, una sorta di tempio, dove egli poteva goderne la bellezza in solitudine, chiamato Carinhall, dal nome della prima moglie, Carin. Esso era situato nei pressi del lago Dollnsee, sessantacinque chilometri a nord di Berlino.
Per acquistare le opere che gli interessavano, spesso Göring utilizzava degli emissari. Primo fra tutti Walter Andreas Hofer, dal 1937 suo personale consulente in materia di arte. Altre volte si recava personalmente presso i luoghi di commercio/scambio. Fu a Parigi spesse volte per mettere le mani sulle collezioni sequestrate agli ebrei e depositate dall’ERR al Jeu de Paume in Place de la Concorde. In questo museo, ormai deputato a punto di raccolta delle razzie tedesche, le opere rimanevano in attesa di essere personalmente scelte da Hermann Göring. Su richiesta dell’allora direttore dei Musei Nazionali Francesi, Jacques Jaujard, lavorava al museo la giovane Rose Valland, che, testimone oculare di tutto ciò che accadeva all’interno del museo, raccoglieva quante più informazioni possibili sui traffici e gli spostamenti delle opere d’arte. Informazioni che poi comunicava alla Resistenza, che a sua volta cercava di intercettare i mezzi su cui viaggiavano le opere dirette in Germania. La Valland, inoltre, fece un puntiglioso lavoro di raccolta di informazioni su tutte le opere raccolte al Jeu de Paume. Un lavoro che poi si è rivelato utilissimo nelle operazioni di recupero al termine della guerra. Parallelamente e analogamente alla Valland, lavorava in Italia Rodolfo Siviero, che, proprio grazie alle informazioni raccolte dalla studiosa francese, poi passate agli Alleati, nell’estate del 1945, venne incaricato di indagare affinché fosse possibile recuperare alcuni quadri rubati in Francia da Göring e che, con ogni probabilità si trovavano in Italia, in particolare a Firenze, finiti nelle mani dell’antiquario Eugenio Ventura. La vicenda ebbe ampie ripercussioni sull’opinione pubblica italiana e internazionale, che seguiva i vari risvolti attraverso ciò che si scriveva sulla stampa quotidiana.
Il 10 agosto 1945, su richiesta dell’Ufficio Recupero Opere d’Arte, al cui comando era Siviero, e della sottocommissione Alleata per le Arti in Italia, il Comando della Compagnia Interna dei Carabinieri di Firenze disponeva il fermo dell’antiquario fiorentino Eugenio Ventura, il quale dovette rendere noto il nascondiglio (il Convento di San Marco) di un nucleo di opere di sua proprietà, ma su cui si stava indagando per accertarne la provenienza. Dai vari interrogatori ai quali il Ventura e altre persone coinvolte vennero sottoposte, emersero i particolari che seguono. Il Ventura dichiarò di aver ricevuto una prima visita da parte di Hofer, direttore delle gallerie d’arte del maresciallo Göring, nell’autunno del 1941. L’offerta che ricevette fu di scambiare delle opere di sua proprietà, fra le più preziose della sua collezione con degli “impressionisti francesi” di cui la sua collezione era effettivamente sprovvista. Successivamente Ventura si fece spedire prima le riproduzioni fotografiche per far valutare le opere a chi di competenza, in questo caso Roberto Longhi, poi si fece consegnare i quadri personalmente dall’Hofer. Le trattative tra Göring e Ventura andarono avanti fino all’8 marzo 1943, data in cui l’affare e lo scambio delle opere si conclusero. Il Ventura ammetteva anche di avere, in un recente passato, trattato altre vendite di opere destinate in Germania, per conto di altri antiquari fiorentini, che dalle indagini risultarono essere anche il Bellini e il Contini Bonacossi.
Giovanni Poggi, allora soprintendente alle Gallerie per le Provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, venne chiamato dalla Squadra Investigativa a chiarire il comportamento assunto dal Ventura, nei confronti della Soprintendenza, in occasione del cambio di opere effettuato col maresciallo Göring. Le sue affermazioni risultarono essere poco chiare e addirittura contraddittorie, tradendo il fatto che la Soprintendenza era venuta a conoscenza dell’arrivo in Italia delle opere francesi, senza però trasmetterne regolare denuncia alle autorità competenti. Analoghe dichiarazioni vennero rilasciate dal direttore presso la Soprintendenza alle Gallerie ed alle Opere d’Arte per le provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, Ugo Procacci. Emerse, inoltre, il nome di Roberto Longhi. Venne ascoltato anche quest’ultimo e alla domanda sulla provenienza delle opere d’arte antica italiana di proprietà Ventura, rinvenute insieme alle opere francesi, Longhi rispose che provenivano dalla collezione Gentner acquistata dal Ventura. A proposito dell’acquisto della collezione Gentner, d’altra parte, emergevano vari sospetti, in particolare che la vendita fosse stata effettuata in condizioni del tutto dolose e le indagini lo confermarono: il Ventura aveva minacciato il notaio che sottoscrisse l’atto che aveva aggiudicato la vendita, ostentando le proprie conoscenze, nella fattispecie il Senatore Morelli e Mussolini, e affermando che, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, avrebbe ottenuto di esse l’aggiudicatario della gara alle condizioni che voleva e quando voleva.
Il Ventura venne nuovamente interrogato e confermò che quelle rinvenute nel convento di S. Marco erano opere rimaste in suo possesso dall’acquisto della raccolta Gentner. Le ammissioni più gravi, comunque, fatte nel secondo interrogatorio dal Ventura, erano quelle relative alla continuità dei suoi rapporti con i rappresentanti del maresciallo Göring e primo fra essi, il noto Hofer che già da vari anni frequentava, sia pure per ragioni artistiche, la dimora del Ventura.
Dopo il sequestro delle opere di proprietà del Ventura, i nove quadri di pittori francesi vennero presi in carico dalle autorità ministeriali, portate a Roma e custodite alla Galleria d’Arte di villa Borghese per essere poi mostrate al pubblico proprio nella capitale in occasione della Mostra d’Arte Francese che si tenne a Palazzo Venezia, sotto la custodia di Ranuccio Bianchi-Bandinelli, allora Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, il quale si fece carico di coordinare le operazioni di restituzione. Essa avvenne, dopo vari intoppi burocratici, il 28 novembre 1946: le opere vennero consegnate alla furono custodite presso i locali della Commission Récupération Artistique di Parigi, in attesa di essere restituite ai legittimi proprietari o agli eredi di questi.
A sinistra: Fotografia relativa alla scheda dell’opera di Edgar Degas, Donna che si pettina ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line del Museo Storico Tedesco. A destra: Degas, Donna che si pettina, fotografia pubblicata ne La Nazione del Popolo, 17 agosto 1945, digitalizzazione del quotidiano conservato presso il Museo di Casa Rodolfo Siviero. |
Pierre Auguste Renoir, Nudo femminile seduto, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Claude Monet, Les glaçons, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Claude Monet, Parc Monceau, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Claude Monet, Route de Vétheuil, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Alfred Sisley, La Seine à Argenteuil, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Alfred Sisley, La Tamise à Hampton Court, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Paul Cézanne, Mont Saint-Victoire, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Vincent van Gogh, Paysage à Saint-Remy, fotografia relativa alla scheda dell’opera ceduta da Goering al Ventura, in Die Kunstsammlung Hermann Göring, database on-line. |
Vincent van Gogh, Paysage à Saint-Remy, fotografia pubblicata ne La Nazione del Popolo, 17 agosto 1945, digitalizzazione del quotidiano conservato presso il Museo di Casa Rodolfo Siviero. |
Le opere italiane cedute dal Ventura a Göring, invece, furono identificate presso il Collecting Point di Monaco dalla Delegazione Italiana per il recupero delle opere d’arte, partita alla volta della Germania il 27 settembre 1946. Una volta restituite le nove opere di pittori impressionisti al Governo francese e proprio alla luce di quanto fatto dal Governo italiano perché questo avvenisse, fu fortemente sollecitata da parte delle autorità italiane, la restituzione delle opere d’arte ancora in Germania. Ma fu solo grazie all’ accordo De Gasperi-Adenauer del 1953 che la restituzione fu accordata e le opere rientrarono fisicamente in Italia nel mese di giugno del 1954.
Infine, le opere, una volta tornate in Italia, vennero restituite alla città di Firenze, da cui provenivano prima di essere portate in Germania. Dal 1953 al 1988 fecero parte di quel deposito detto Recupero Siviero, che fisicamente si trovava in Palazzo Vecchio. Poi, ma solo tra il 1989 e il 1990, destinate alle loro attuali collocazioni: la Galleria degli Uffizi e il Museo di Palazzo Davanzati.
A sinistra: Attribuito allo Pseudo Pier Francesco Fiorentino, Madonna in adorazione di Gesù Bambino con San Giovannino (seconda metà XV sec.; tempera su tavola, 59 x 40,5 cm, Galleria degli Uffizi, Deposito). Al centro: Maestro di Montemerano, Madonna col Bambino (prima metà del XV sec.; tempera su tavola fondo oro, 57 x 39 cm; Galleria degli Uffizi, Deposito). A destra: Maestro di San Torpè, Madonna con Bambino (inizio XIV sec; tempera su tavola a fondo oro, 60 x 38,3 cm; Galleria degli Uffizi). |
Bottega di Pacino di Bonaguida, Trittico della Crocifissione con santa Maria Maddalena (scomparto centrale), san Francesco (scomparto sinistro), san Ludovico di Tolosa (scomparto destro) (primo quarto del XIV sec.; tempera su tavola con oro in foglia punzonato, 39, 5 x 48, 5 cm; Galleria degli Uffizi, Nuove Sale dei Primitivi). |
Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, Storie di Susanna (metà XV sec.; tempera su tavola, 41 x 127, 5 cm; Museo di Palazzo Davanzati). |
Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, Eroi prescelti dalla fama (metà XV sec.; tempera su tavola, 44 x 85 cm; Museo di Palazzo Davanzati). Credit |
Doveroso è, a questo punto, concludere aprendo una parentesi su di una vicenda collaterale all’affare Ventura, ma non di minore importanza.
Copia da Sandro Botticelli, Ritratto d’uomo (seconda metà XV sec.; olio su terracotta, 53 x 31,6 cm; Galleria degli Uffizi, Deposito). |
Nel frattempo l’opinione pubblica continuava ad interessarsi alla vicenda e così, fu pubblicato ancora un altro articolo di giornale: Antiquari all’assalto delle opere d’arte, comparso il 6 dicembre 1945 su Risorgimento Liberale. Il fatto che Ragghianti avesse come segretario particolare Sandrino, il nipote del noto antiquario fiorentino, dette adito al giornalista di Risorgimento Liberale di affermare che, oltre al Ventura, Ragghianti proteggesse anche il Contini. Ragghianti veniva, inoltre, deliberatamente e pubblicamente accusato di aver chiesto la soppressione dell’Ufficio Recuperi dopo lo scoppio dello scandalo Ventura. In realtà egli ne fece richiesta al Ministero della Pubblica Istruzione già il 6 agosto 1945; richiesta “motivata dalla scarsa efficienza del medesimo e dalla ingerenza del S.I.M. nel funzionamento degli uffici dipendenti da questo Ministero”. Ma il Ministro interruppe il processo di trasformazione dell’Ufficio Recuperi, nel momento in cui scoppiò il caso Ventura e alla luce del decisivo ruolo che Siviero e il suo Ufficio ebbero proprio nello svolgimento delle indagini.
La polemica, che altrimenti, con ogni probabilità, avrebbe avuto strascichi ancora più spiacevoli, si concluse a seguito della caduta del Governo Parri e delle conseguenti dimissioni di Ragghianti. Così, nella primavera del 1946, Siviero, grazie al vento a lui favorevole che tirava dopo l’insediamento del nuovo governo De Gasperi ed Enrico Molè al Ministero dell’Istruzione, venne ufficialmente designato quale capo dell’Ufficio recupero. E fu così che cadde il silenzio sull’intera vicenda. Silenzio che pare esser stato voluto dai suoi stessi protagonisti. Siviero, come a voler compiere una sorta di damnatio memoriae, non fece il minimo cenno esplicito a Ragghianti, così, quando anche molto tempo più tardi scrisse dello scambio Göring – Ventura, sia ne
Da parte sua, Ragghianti fece lo stesso nei suoi scritti, alludendo alla vicenda e ai personaggi, senza nominare Siviero, quasi a sottolineare l’inadeguatezza del ruolo che, nonostante tutto, questi si trovava a ricoprire. Si ricorda che Siviero non era uno storico dell’arte qualificato e il suo passato nel SIM sollevava, e solleva ancora, numerosi dubbi riguardo la sua assoluta “probità”. Resta il fatto che, comunque, Siviero rimase a capo dell’Ufficio Recuperi, nonostante i numerosi tentativi che si fecero per chiuderlo, fino alla sua morte. Questo anche se, per Ragghianti, Siviero, non rispondendo ai requisiti necessari, non era probabilmente l’uomo adatto a svolgere tale delicato compito. Uno scontro, quello tra Ragghianti e Siviero, che, alla fine dei conti, ha in realtà deviato il discorso verso problematiche non proprio attinenti a quella principale che, invece, il caso Ventura aveva realmente sollevato: come ottenere la restituzione di quelle opere che i nazisti, in particolare il maresciallo Göring, avevano sì illecitamente esportato dall’Italia per portarle in Germania, ma con la collaborazione e la compiacenza di quegli antiquari italiani, in particolare fiorentini, che dalle trattative con i nazisti e dagli scambi o compra-vendite di preziosi oggetti d’arte, avevano tratto un proficuo vantaggio. Un problema che si trovava a prendere sempre più campo in un’Italia dove le leggi di tutela del nostro patrimonio culturale esistevano (pensiamo alle Leggi Bottai del 1939) ma dove il regime fascista e la sua corrotta macchina burocratica avevano permesso di raggirarle (si veda in proposito il caso, eclatante, del Discobolo Lancillotti, acquistato da Hitler con la compiacenza di Ciano e Mussolini, poi recuperato proprio da Siviero nel 1948). Dinamiche, queste, che hanno permesso, negli anni intorno al secondo conflitto mondiale, un esodo di innumerevoli opere dal nostro Paese. Molte di esse, grazie anche al lavoro di persone come Siviero, sono fortunatamente tornate a far parte di quel tessuto culturale che le ha prodotte, di cui esse sono testimonianza e dove è giusto, da un punto di vista storico – artistico e documentario, che esse siano custodite e opportunatamente tutelate.
Bibliografia di riferimento
Oltre ai testi sopra citati, si è fatto riferimento all’ampia documentazione prodotta in seguito allo scoppiare del caso Ventura e attualmente conservata nei seguenti fondi archivistici:
L'autrice di questo articolo: Caterina Zaru
Ho 28 anni, studio e lavoro a Firenze. Ho conseguito la laurea triennale in Storia e Tutela dei Beni Artistici. Attualmente sono: laureanda alla Magistrale di Storia dell'Arte; presidente dell'associazione AntigonArt per cui mi occupo di progettare e realizzare laboratori didattici per bambini e famiglie; mamma di Ginevra.