Nel suo intervento al convegno sul grande studioso Adolfo Venturi (Modena, 1856 - Santa Margherita Ligure, 1941), tenutosi nel 1992, lo storico dell’arte Claudio Strinati ricordava come un giorno Venturi si trovasse a Milano in visita presso la casa di Giovanni Morelli, che volle far vedere al giovane collega la propria collezione d’arte. Strinati raccontava che Morelli mostrò a Venturi un’Annunciazione (in realtà si trattava di una Presentazione al Tempio), chiedendogli di fare il nome dell’artista che l’aveva dipinta. Di fronte all’incertezza di Venturi, Morelli avrebbe risposto prendendolo in giro: "Ma come? È opera di un modenese e lei non la riconosce! È Francesco Bianchi Ferrari". Strinati raccontava anche di come Venturi avesse tentato di riscattarsi. Prese dunque ad analizzare in modo approfondito l’opera, e con un articolo in cui, diceva Strinati, Venturi distrusse Morelli, decise di cambiare l’attribuzione del dipinto: non più Francesco Bianchi Ferrari, bensì un artista di minor importanza, Michele Coltellini. “Certo non si poteva confondere il melenso pittore ferrarese col gnetile maestro del Correggio”, scrisse Venturi. Quando Morelli, nel suo testamento, espresse la volontà di lasciar le opere della sua collezione all’Accademia Carrara di Bergamo, “scrisse di suo pugno”, accanto al soggetto del dipinto, “il nome di Michele Coltellini”. E l’attribuzione a Coltellini è rimasta invariata fino a oggi.
Michele Coltellini, Presentazione al tempio (1500 circa; olio su tavola, 82,9 x 60,5 cm; Bergamo, Accademia Carrara) |
L’aneddoto era ripreso dalle Memorie autobiografiche di Adolfo Venturi, ed è quanto mai interessante, perché ci dà modo di fare luce su come in quegli anni (siamo alla fine dell’Ottocento) venissero poste le basi per la nascita di un metodo destinato a cambiare radicalmente la disciplina della storia dell’arte in Italia. Per confutare l’attribuzione di Morelli, Venturi aveva eseguito un’accurata analisi del dipinto, giungendo alla conclusione che certi motivi, come le figure ossute, le mani allungate, la particolare tonalità di rosso usata per le vesti, i modi di rimboccare i panneggi, erano propri delle soluzioni di Michele Coltellini. Un’attribuzione formulata, come avrebbe scritto lo stesso Venturi, “a furia di riscontri stilistici”. Occorre però evidenziare come, per dar supporto alle proprie tesi, Venturi avesse comunque condotto una ricerca sulla documentazione storica: tale ricerca fu infruttuosa, perché l’allora giovane studioso non era riuscito a trovare alcun documento sul dipinto, ma era comunque indice del fatto che, con Venturi, in Italia stava cambiando il metodo per avanzare ipotesi sulle attribuzioni.
Adolfo Venturi. Foto da Memofonte |
A Venturi è riconosciuto il merito d’aver fondato una scienza del conoscitore che poneva l’approfondita osservazione dell’originale al centro del proprio metodo: tuttavia, il connoisseur emiliano non dovette essere refrattario alla suggestioni provenienti dalla contemporanea Scuola di Vienna, che troveranno però una più organica e approfondita applicazione proprio in Pietro Toesca, che saprà unire l’influenza delle teorie di Venturi al metodo filologico proprio degli storici dell’arte di area germanica. Non trascurabile (anzi, fondamentale) è inoltre il ruolo che Venturi attribuiva alle riviste, considerate importante strumento di ricerca, aggiornamento e anche divulgazione, oltre che di discussione su metodi, attribuzioni e questioni legate alla storia dell’arte. Le riviste da lui fondate, o nate sotto il suo impulso (Archivio storico dell’arte, L’arte, Gallerie nazionali italiane), accoglievano importanti saggi dei più grandi studiosi dell’epoca attorno alle opere d’arte, ai documenti storici, anche all’arte contemporanea. Possiamo dire che la rivista d’arte in Italia nasca proprio grazie all’opera di Adolfo Venturi: fino a prima, i brani di critica d’arte erano infatti appannaggio delle riviste letterarie (e l’Archivio storico dell’arte, fondato nel 1889, fu la prima rivista scientifica d’arte sorta in Italia).
Sono innumerevoli le attribuzioni che Adolfo Venturi formulò durante tutto l’arco della sua carriera, e alcune di esse vengono considerate ancor oggi valide dalla stragrande maggioranza della critica: e c’è da dire che lo studioso non si limitava soltanto a confermare ipotesi già avanzate da altri, perché molto spesso propose per primo il nome di un artista che poi è stato riconosciuto dai più come vero autore del dipinto che lo studioso modenese aveva analizzato. Vale la pena citare alcuni casi esemplari, come la tela con Ninfa e satiro conservata a Firenze, a Palazzo Pitti, che Venturi per primo assegnò a Dosso Dossi, nel 1885: il dipinto, fino ad allora riconosciuto come opera giorgionesca, veniva ricondotto a Dosso Dossi sulla base delle caratteristiche particolari (l’espressione del viso della ninfa, la conformazione della sua mano) e di quelle generali (il modo di colorire tipicamente ferrarese), nonché sulla base di un documento che secondo lo studioso testimoniava la presenza dell’opera nelle collezioni dell’imperatore Rodolfo II (benché, in realtà, si trovasse agli Uffizi almeno a partire dal 1675).
Dosso Dossi, Ninfa e satiro (1508-1520 circa; olio su tela, 57,8 x 83,2 cm; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti) |
Tra le singolari vicende critiche di cui Adolfo Venturi fu protagonista, occorre anche citare la riscoperta dei tondi giovanili del Correggio (di cui Venturi fu un esimio specialista), che il pittore emiliano aveva dipinto nell’atrio della Basilica di Sant’Andrea a Mantova e che gli erano stati assegnati per la prima volta nel 1612 da uno storico mantovano del tempo, Ippolito Donesmondi, autore di una Istoria ecclesiastica di Mantova. Nei secoli successivi gli affreschi correggeschi andarono incontro a un forte degrado e subirono pesanti ridipinture, tanto che nessuno dette più credito all’attribuzione a Correggio che, anzi, fu praticamente dimenticata. Venturi intuì che le ridipinture integrassero avanzi degli antichi affreschi. Agli inizi del Novecento furono dunque rimosse le aggiunte posteriori e agli occhi di Venturi, e degli altri studiosi che avevano seguito la vicenda, erano apparse pitture in pessimo stato di conservazione, ma che serbavano comunque l’eco degli esordi del Correggio, avvenuti sotto il segno della pittura aspra e robusta di Andrea Mantegna. Superfluo evidenziare come Venturi, dopo la scoperta, avesse condotto un’approfondita analisi delle opere spiegando per quali motivi possano ritenersi opere del Correggio.
Correggio, Sacra Famiglia con sant’Elisabetta e san Giovannino e Deposizione (1510 circa; affreschi staccati, diametro 150 cm; Mantova, Museo Diocesano Francesco Gonzaga) |
Come si presentavano i tondi del Correggio dopo le rimozioni delle ridipinture |
Ma Adolfo Venturi non è stato solo un eminente storico dell’arte e un importante connoisseur. Fu tra i primi specialisti del settore a interessarsi alle buone pratiche di tutela del patrimonio (adoperandosi anche in prima linea, come funzionario del Ministero dell’Istruzione, a cui all’epoca era affidata la cura del patrimonio), e fu anche tra i primi a riconoscere al patrimonio un ruolo centrale per la cultura (e di conseguenza, a riconoscere l’importanza della divulgazione): fu, insomma, tra coloro che iniziarono anche a considerare il ruolo civile del patrimonio storico-artistico. Una figura, in sostanza, complessa, impossibile da trattare nel dettaglio in un singolo articolo: ci basti sapere che ancora oggi costituisce uno dei punti di riferimento non solo della ricerca storico-artistica, ma anche delle battaglie a sostegno del patrimonio.
Bibliografia di riferimento
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).