A tavola con gli Etruschi: i banchetti, la cucina, cosa e come si mangiava nell'antica Etruria


La cucina etrusca: cosa mangiavano gli etruschi, con che cosa, con quali strumenti, i banchetti e simposi. Un approfondimento sugli etruschi a tavola!

Molti poeti e prosatori dell’antichità hanno celebrato gli splendori e i fasti dei banchetti degli etruschi. Un autore come Diodoro Siculo, citando Posidonio, ci ha restituito una descrizione piuttosto dettagliata dell’atmosfera conviviale che si doveva respirare in un opulento banchetto etrusco: “preparano due volte al giorno tavole sontuose e tutte le altre cose appropriate a un lusso eccessivo, allestendo banchetti con biancheria e ricami colorati, coppe d’argento di vario tipo, ed hanno pronto e a disposizione un numero non piccolo di domestici per servirli, alcuni di questi ultimi di straordinaria avvenenza, mentre altri sono adorni di vesti più sontuose di quanto spetterebbe alla loro condizione di servi”. Gli etruschi conoscevano due tipi di convivio: il banchetto propriamente detto, e il simposio. La differenza consisteva nel fatto che durante il simposio si beveva soltanto, mentre in occasione del banchetto si beveva e si mangiava, e solitamente il simposio seguiva il banchetto. Se dovessimo operare un confronto con le nostre odierne abitudini, potremmo paragonare il banchetto a una cena, e il simposio a un dopocena, anche perché le finalità erano più o meno simili: il banchetto era il momento della convivialità, e a seconda delle portate che comparivano sulla tavola poteva anche costituire una chiara dimostrazione di ricchezza. Il simposio era invece dedicato al divertimento: esattamente come noi, oggi, andiamo al pub a vedere un concerto di musica dal vivo sorseggiando il nostro cocktail preferito, un calice di vino o un bicchiere di birra, allo stesso modo gli etruschi, dopo cena, gradivano assistere a piccoli spettacoli di musica o di danza brindando generosamente con buon vino.

Dalle raffigurazioni che ci sono rimaste sappiamo anche come doveva svolgersi un banchetto. I partecipanti si disponevano attorno alla tavola sdraiandosi su appositi letti da banchetto, che si chiamavano klínai ed erano tipici dell’antica Grecia: tuttavia, a differenza di quanto avveniva in Grecia, dove il convivio era riservato ai soli uomini, in Etruria anche le donne potevano sdraiarsi sulle klínai e partecipare al banchetto. La più antica rappresentazione di un banchetto in cui i partecipanti si sdraiano sulle klínai si trova in una delle lastre del fregio di Murlo, risalente alla prima metà del sesto secolo avanti Cristo: è interessante notare che l’etruscologa Annette Rathje ha voluto identificare, nel secondo personaggio sdraiato sul letto, un individuo di sesso femminile. La lastra di Murlo, oltre a essere la più antica rappresentazione di un banchetto etrusco “sdraiato”, sarebbe anche la prima rappresentazione a includere una donna in tale contesto: segno che già in epoche molto antiche gli etruschi concedevano alle donne un ruolo o una rilevanza che non avevano eguali nelle società a loro contemporanee. Scene simili si trovano comunque in diverse rappresentazioni, dal momento che il motivo del banchetto (o del simposio) diventò uno dei più frequenti dell’arte etrusca. Lo troviamo quindi negli affreschi della tomba del Colle, attualmente conservati al Museo Nazionale Etrusco di Chiusi (si tratta di una scena di simposio: i partecipanti, infatti, sono tutti impegnati a bere), oppure nelle lastre di Acquarossa, conservate presso il Museo Nazionale Etrusco di Viterbo, o ancora negli affreschi delle tombe di Tarquinia, per esempio nella Tomba dei Leopardi, dove assistiamo a un simposio animato da musicanti, o nella Tomba degli Scudi, dove protagonista è una coppia, marito e moglie, che sta banchettando condividendo un’unica klíne davanti alla quale è apparecchiato un tavolino colmo di vivande. Al Museo Archeologico di Chianciano Terme i visitatori possono invece trovare una ricostruzione della sala di un’abitazione etrusca allestita per un banchetto, con tanto di klínai e tavolini imbanditi.

I banchetti erano, tuttavia, occasioni esclusivamente riservate alle classi sociali più elevate che, com’è lecito attendersi, avevano anche abitudini alimentari molto diverse rispetto a quelle degli strati più bassi della società etrusca. Ciò nonostante, presso i romani vigeva la convinzione che gli etruschi passassero la vita a mangiare e bere, tanto che era diffuso lo stereotipo dell’etrusco obeso, che ci è stato trasmesso da poeti come Catullo (che nel carme XXXIX delle sue Nugae parla a chiare lettere dell’obesus etruscus) o Virgilio (che, nella seconda Georgica, cita a sua volta il luogo comune del pinguis Tyrrhenus). Se osserviamo alcune delle testimonianze dell’arte etrusca che ci sono pervenute, risulterà difficile dar torto a Catullo e Virgilio: i sarcofagi degli etruschi talvolta presentano figurazioni di personaggi in evidente sovrappeso, peraltro quasi sempre disposti sul sarcofago come se stessero banchettando. Questo modo di raffigurare i defunti aveva il preciso intento di stabilire una sorta di continuità tra vita terrena e vita nell’aldilà, ed è per tale ragione che i sarcofagi intendevano rappresentare dei veri momenti di vita quotidiana, col risultato che, ha scritto l’archeologo Mario Ersamo, “camminare in una tomba con i sarcofagi/ritratti disposti di fronte all’entrata [...] suscitava l’effetto di trovarsi in mezzo a una sala dov’era in corso un banchetto e interrompere una cena e una conversazione già in essere, e che gli abitanti della tomba si stanno pienamente godendo”. Circa la pinguedine di certi personaggi, in difesa degli etruschi occorre tuttavia affermare con certezza che non sono molti i personaggi che palesano un’evidente grassezza, e che tale caratteristica va letta più come connotazione individuale di un certo personaggio che non come un elemento comune a gran parte degli etruschi. Il più famoso “obesus etruscus” è sicuramente, appunto, il cosiddetto Obeso del Museo Archeologico Nazionale di Firenze: il personaggio, che decora il coperchio di un sarcofago della prima metà del terzo secolo avanti Cristo, è un esponente dell’aristocrazia di Chiusi, che dimostra evidenti segni di ricchezza (non soltanto le rotondità del suo corpo, ma anche la vistosa ghirlanda al collo e il grande anello all’anulare sinistro). Non sappiamo dire, tuttavia, se il sarcofago costituisca un ritratto fedele del defunto, o incarni semmai un tipo, dal momento che comunque la grassezza era indice d’opulenza.

Arte etrusca, Lastra con scena di banchetto (VI secolo a.C.; terracotta; Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate - Museo Archeologico)
Arte etrusca, Lastra con scena di banchetto (VI secolo a.C.; terracotta; Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate - Museo Archeologico)


Arte etrusca, Lastra di Acquarossa con scena di banchetto (VI secolo a.C.; terracotta; Viterbo, Museo Nazionale Etrusco)
Arte etrusca, Lastra di Acquarossa con scena di banchetto (VI secolo a.C.; terracotta; Viterbo, Museo Nazionale Etrusco)


Scene di banchetto dalla tomba del colle (470 a.C. circa; affreschi; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull'Arte
Scene di banchetto dalla tomba del colle (470 a.C. circa; affreschi; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Arte Etrusca, Scena di banchetto (473 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba dei Leopardi)
Arte Etrusca, Scena di banchetto (473 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba dei Leopardi)


Arte Etrusca, Scena di banchetto (terzo quarto del IV secolo a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba degli Scudi)
Arte Etrusca, Scena di banchetto (terzo quarto del IV secolo a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba degli Scudi)


Ricostruzione del banchetto etrusco al Museo Archeologico di Chianciano Terme
Ricostruzione del banchetto etrusco al Museo Archeologico di Chianciano Terme


Sarcofago detto dell'Obeso. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Sarcofago “detto dell’Obeso” (prima metà del III secolo a.C.; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Finestre sull’Arte

Ma cosa si poteva trovare sulla tavola di un banchetto etrusco? Cominciamo a vedere quali erano gli oggetti che gli etruschi portavano in tavola, per poi concentrarci sui loro piatti preferiti. Se immaginassimo di entrare nella sala da pranzo di una ricca abitazione dell’Etruria di duemila e cinquecento anni fa, troveremmo una tavola colma di recipienti, vasi, brocche, tutti con forme ben riconoscibili, e dedicati a una funzione ben precisa. Lo strumentario da tavola degli etruschi, secondo la classificazione dell’etruscologo Giovanni Colonna, redatta negli anni Settanta ma secondo molti studiosi tuttora valida, si può suddividere in tre tipi principali: i vasi per contenere, i vasi per bere, e i vasi per versare. Erano pressoché tutti di origine greca, tanto che, nell’uso comune, vengono indicati con i corrispondenti termini greci e non con quelli etruschi, attestati con meno frequenza e spesso in maniera non sicura. I vasi per contenere, che avevano anche la funzione di mescolare le bevande (gli etruschi, così come i romani, non erano abituati a bere vino schietto: lo allungavano con l’acqua), non comparivano sulla tavola ma erano comunque indispensabili: erano tipicamente le olle (grandi vasi a due anse, antenati delle odierne pentole: in etrusco si chiamavano thina) e i píthoi (termine di origine greca con cui si indicavano invece i grandi vasi senza anse, in etrusco larnas: erano delle giare dove venivano conservati olio, bevande e alimenti come i cereali). Un particolare tipo di vaso per contenere (che può però essere classificato anche soltanto come vaso per mescolare) era il cratere, il tipo più raffinato: derivato dalla olla, era il recipiente tipico del simposio in quanto conteneva il vino che veniva attinto dai commensali. Esisteva poi un grande contenitore per l’acqua: si chiamava hydría e poteva raggiungere dimensioni considerevoli (non sono rare le hydríai alte più di mezzo metro).

Sulla tavola invece era possibile trovare vasi per versare e vasi per bere. Appartiene al primo gruppo l’oinochóe (in etrusco qutum o pruchum), antenata delle moderne brocche: si trattava di un piccolo recipiente con il corpo globulare e il collo ristretto, che poteva essere più o meno allungato, a un’ansa. Era un vaso che serviva per versare acqua o vino nelle coppe dei commensali: se ne trovano moltissime nei musei archeologici di tutta Italia e potevano anche essere variamente decorate. Simile all’oinochóe per utilizzo e forme era l’olpe, un vaso che si differenziava dal primo perché era più slanciato e aveva la bocca circolare, al contrario dell’oinochóe che era invece provvista di beccuccio. A metà tra il vaso per versare e il vaso per bere si colloca il kyáthos: era una sorta di tazza con una lunga ansa che serviva per attingere il vino dal cratere e versarlo nelle coppe dei commensali (possiamo considerarlo un antenato del moderno mestolo, ma con il corpo più grande, e che poteva essere decorato). Quanto ai vasi per bere, erano quattro i tipi principali. Molto diffuso era il calice privo di anse: era un oggetto del tutto simile ai calici moderni, con un corpo atto a contenere la bevanda, e un gambo con piede che serviva per farlo poggiare sul tavolo (in etrusco il calice si chiamava thavna). Altro tipo era il kántharos (in etrusco zavena), una coppa per bere che somigliava a un calice (ma più grande), con due anse: il commensale tipicamente la impugnava a mano chiusa per una delle due anse. Lo skyphos, il più diretto antenato delle moderne tazze, era invece una coppetta che serviva per bere il latte, aveva due piccole anse (ed è divertente vedere come gli skyphoi che ci sono giunti privi di un’ansa somiglino alle moderne tazzine da caffè). Infine, la kylix era una coppa dalla forma piatta, tipicamente usata per le libagioni durante i simposi. Sia lo skyphos che la kylix in etrusco si designavano con il termine culichna. Un particolare tipo di coppa, tuttavia usata soprattutto in funzione rituale, era la pàtera: a metà tra coppa e piatto, era una sorta di scodella molto bassa (quasi un piatto), che aveva al centro un rialzo corrispondente a un foro sul retro (il foro serviva per permettere al commensale di afferrarla). La vediamo comparire spesso nei sarcofagi (lo stesso “obeso” di Firenze ne è un esempio): il suo ruolo era infatti legato ai sacrifici e alle libagioni rituali indette in onore delle divinità.

Tutti i vasi sopra elencati venivano realizzati tipicamente in ceramica, ma ne sono stati rinvenuti anche in bronzo. Tipicamente etrusco era il vasellame in bucchero, una ceramica a corpo nero, molto raffinata, che veniva realizzata con impasti d’argilla finissima, cotti in forni adatti per una cottura riducente, cioè a basso livello d’ossigeno. Questo tipo di cottura garantiva reazioni chimiche che portavano alla caratteristica colorazione nera e lucida che contraddistingue i buccheri etruschi. Infine, è interessante sottolineare che, per mangiare, gli etruschi adoperavano i piatti, ma non facevano uso di posate: prendevano gli alimenti direttamente con le dita e, nelle case dei più ricchi, inservienti erano pronti alla bisogna con recipienti d’acqua e salviette. Sono state rinvenute forchette, a dimostrazione che comunque gli etruschi conoscevano questo strumento: tuttavia, venivano utilizzate in cucina per afferrare e non comparivano sulla tavola. Si è dunque ipotizzato che il cibo venisse portato in tavola già spezzato, anche perché sulla tavola degli etruschi non erano presenti neppure coltelli (anch’essi erano adoperati esclusivamente in cucina). Lo stesso vale per i cucchiai: il loro uso a tavola non era contemplato. In cucina si faceva però largo uso di tanti utensili: non soltanto oggetti dalla forma che ricorda quella degli arnesi da cucina odierni (come le campane di terracotta dentro le quali venivano cotte le vivande, o come il graffione, uno strumento il cui uso è ancor oggi poco chiaro, ma potrebbe trattarsi di una sorta di grande spiedo con manico orizzontale e ganci ai quali veniva fissata la carne da cuocere), ma anche attrezzi identici a quelli che utilizziamo oggigiorno, come pestelli, colini, fornelli, grattugie (queste ultime servivano soprattutto per grattare le spezie con le quali veniva aromatizzato il vino).

Olla
Olla (metà del VI secolo a.C.; terracotta; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Pittore di Camucia, Cratere a colonnette (460-450 a.C.; ceramica attica a figure rosse; Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca)
Pittore di Camucia, Cratere a colonnette (460-450 a.C.; ceramica attica a figure rosse; Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Hydria
Hydria (480-380 a.C.; ceramica dipinta a figure rosse, altezza 36 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani)


Oinochoe
Oinochoe (VI secolo a.C.; bucchero; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Francesco Bini


Olpe
Olpe (prima metà del VII-secondo quarto del VI secolo a.C.; ceramica; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)


Calici
Calici con decorazione a cilindretto (Bucchero; Bologna, Museo Civico Archeologico)


Kantharoi
Kantharoi (fine VII - inizi VI secolo a.C.; bucchero; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Kyathoi (fine VII - inizi VI secolo a.C.; bucchero; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco)
Kyathoi (fine VII - inizi VI secolo a.C.; bucchero; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


A sinistra una kylix e a destra uno skyphos (V-IV secolo a.C.; ceramica etrusca a figure rosse; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco)
A sinistra una kylix e a destra uno skyphos (V-IV secolo a.C.; ceramica etrusca a figure rosse; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Skyphos privo di ansa destra
Skyphos privo di ansa destra (bucchero; Bolsena, Museo del Territorio). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Patera ombelicata (IV secolo a.C.; ceramica a vernice nera; Viterbo, Museo Civico)
Patera ombelicata (IV secolo a.C.; ceramica a vernice nera; Viterbo, Museo Civico). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Graffione (bronzo; Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca)
Graffione (bronzo; Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Grattugia (fine VI secolo a.C.; bronzo; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco)
Grattugia (fine VI secolo a.C.; bronzo; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Colino (IV secolo a.C.; bronzo; Viterbo, Museo Civico)
Colino (IV secolo a.C.; bronzo; Viterbo, Museo Civico). Ph. Credit Finestre sull’Arte

Infine, quali erano le ricette etrusche che stimolavano il palato degli antichi abitanti dell’Italia centrale? Le classi più alte avevano accesso a tanti alimenti, e i loro membri consumavano grandi quantità di carne di ogni tipo. Dai tanti spiedi ritrovati, possiamo immaginare che gli etruschi gradissero molto gli arrosti: la carne più diffusa era quella di maiale, animale dal quale si ottenevano anche salumi (la suinicoltura, lo sappiamo dalle fonti letterarie latine, era molto praticata in Etruria). Ma gli etruschi allevavano anche ovini (col latte venivano prodotti ottimi formaggi), equini e bovini, benché questi ultimi fossero utilizzati soprattutto per le attività agricole e raramente venissero macellati. Molto apprezzata anche la cacciagione che, come accade oggi, veniva insaporita con foglie d’alloro: caprioli, cinghiali, cervi e lepri non di rado comparivano sulle tavole degli etruschi con maggiori disponibilità economiche. I meno ricchi invece si contentavano di selvaggina che poteva essere cacciata con minor dispendio di denaro: soprattutto uccelli. Le popolazioni della costa praticavano invece la pesca, e il pesce preferito degli etruschi era il tonno, come testimoniano diversi scrittori dell’antichità che ci parlano di quanto fosse diffusa la pesca del tonno sulle coste toscane. Tra le peculiarità della cucina etrusca andate perse figurava invece il consumo della carne di ghiro (che oggi in Italia è illegale): i simpatici roditori venivano messi all’ingrasso, in appositi grandi orci bucherellati per consentire il passaggio d’aria (il recipiente per l’allevamento del ghiro era detto glirarium: uno di quelli meglio conservati si trova al Museo Nazionale Etrusco di Chiusi), e poi utilizzati per arrosti allo spiedo (si trattava di una carne molto apprezzata). Il condimento principale (oltre, ovviamente, al sale) era l’olio d’oliva: ancor oggi Toscana, Lazio e Umbria, le regioni dove più forte era la presenza etrusca, forniscono quasi il 10% della produzione italiana di olio. Si utilizzavano inoltre spezie e aromi per insaporire le carni.

Glirarium
Un glirarium (fine del II-inizio del I secolo a.C.; terracotta; Chiusi, Museo Nazionale Etrusco). Ph. Credit Marco Daniele

La cucina delle fasce più basse della popolazione conosceva invece, ovviamente, una minor varietà. Piatti poveri tipici della tradizione etrusca erano la puls, una polenta di farro molto diffusa, originaria di Chiusi ma consumata anche in altre zone dell’Etruria (si trattava probabilmente del piatto base dell’alimentazione etrusca) e che poteva essere condita con sughi di carne o di verdure, e la farrago, una minestra di farro, cereali e legumi. Molto diffusi poi i pani e le focacce, prodotti con farine di vario tipo, ottenute da cereali o da legumi, e i prodotti caseari, che si ottenevano dal latte di ovini, caprini e bovini: particolarmente rinomati e citati dagli autori latini erano i formaggi prodotti nella zona di Luni, al confine tra le odierne Liguria e Toscana. Dagli scavi è inoltre emerso che gli etruschi erano grandi consumatori di frutta: fichi, prugne, melograni, pere e frutta secca come nocciole, noci e castagne erano alimenti spesso presenti sulle tavole degli etruschi. E ancora, gli etruschi mangiavano moltissimi legumi: ceci, fagioli, lenticchie, fave. Le uova, altro alimento molto consumato dagli etruschi, potevano essere mangiate da sole, magari lessate, oppure usate come base per diverse ricette, per esempio per frittate salate, o per torte che venivano poi dolcificate con l’aggiunta di miele, che gli etruschi, abili apicoltori, producevano in abbondanza: le torte, peraltro, potevano anche essere ripiene (tipicamente con formaggio mescolato a miele).

Per concludere, un breve cenno al vino, la bevanda preferita degli etruschi. La viticoltura era largamente praticata, e del vino etrusco scrissero molti autori antichi. Tuttavia, il vino bevuto dagli antichi abitanti dell’Etruria era diverso rispetto a quello che beviamo oggi: era più denso e di maggior gradazione alcolica (ed è per tale motivo che veniva annacquato prima d’essere consumato), e tipicamente era aromatizzato (per esempio col miele o, come avveniva in Grecia, con la resina). Era così buono e la produzione così abbondante, che veniva esportato anche in Sicilia, in Corsica, e nella Gallia meridionale: si trattava di uno dei prodotti in assoluto più esportati dagli etruschi. Ed è forse superfluo specificare come il vino fosse il grande protagonista di banchetti e simposi, sia che avessero scopo conviviale, sia che fossero indetti a scopo rituale per omaggiare un dio: e forse nessun altro alimento arrivò a toccare l’importanza che il vino ricoprì per la cultura etrusca.

Bibliografia di riferimento

  • Luana Kruta Poppi, Diana Neri (a cura di), Donne dell’Etruria padana dall’VIII al VII secolo a.C. Tra gestione domestica e produzione artigianale, catalogo della mostra (Castelfranco Emilia, Museo Civico Archeologico, Palazzo Piella, dal 15 febbraio al 10 marzo 2015), All’Insegna del Giglio, 2015
  • Mario Erasmo, Death: Antiquity and Its Legacy, Oxford University Press, 2012
  • Giovanni Di Pasquale (a cura di), Vinum nostrum: arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del Mediterraneo antico, catalogo della mostra (Firenze, Museo degli Argenti, dal 20 luglio 2010 al 30 aprile 2011), Giunti, 2010
  • Vincenzo Bellelli, Enrico Benelli, Un settore “specializzato” del lessico etrusco: una messa a punto sui nomi di vasi in Quaderni annuali dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo antico, VI (2009), pp. 139-152
  • Jean-Marc Irollo, Gli Etruschi: alle origini della nostra civiltà, Dedalo, 2008
  • Ninina Cuomo di Caprio, La ceramica in archeologia, 2: antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, L’Erma di Bretschneider, 2007
  • Antonio Giuliano, Giancarlo Buzzi, Etruschi, Mondadori-Electa, 2002
  • Girolamo Zampieri, Bronzi antichi del Museo archeologico di Padova, L’Erma di Bretschneider, 2000
  • Antonia Rallo, Le Donne in Etruria, L’Erma di Bretschneider, 1989
  • Massimo Pallottino, Rasenna: storia e civiltà degli Etruschi, Scheiwiller, 1986
  • Maria Bonghi Jovino, Gli Etruschi di Tarquinia, Panini, 1986
  • Gabriele Cateni, Etruschi: scene di vita quotidiana, Pacini Editore, 1984


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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