A Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini si presenta, a partire da venerdì 8 ottobre 2021, con i nuovi allestimenti delle Sale del Cinquecento, dalla 12 alla 18. Le sale sono state completamente rinnovate e riallestite con un intervento a cura di Flaminia Gennari Santori con Maurizia Cicconi e Michele Di Monte, che segna la conclusione dei lavori di riqualificazione del piano nobile di Palazzo Barberini, secondo un impianto concettuale cominciato nel 2017 con il riallestimento dell’Ala Sud e continuato con le sale del Seicento nel 2019. “L’intento”, spiega Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, “è quello di restituire al pubblico un percorso organico e facilmente leggibile, in una struttura espositiva narrativa che metta in risalto anche la storia del palazzo e delle sue collezioni”. Il rinnovamento delle sale ha interessato le strutture architettoniche, l’impianto di illuminazione, la grafica e gli apparati didattici, con nuovi pannelli esplicativi e didascalie ragionate, oltre alle 42 opere qui conservate, alle quali si aggiunge una serie di prestiti temporanei da collezioni pubbliche e private, e che sono disposte secondo una migliore visibilità che integra e coordina un ordine cronologico-geografico con momenti tematici e approfondimenti monografici.
Per l’occasione, le opere sono state tutte analizzate dal laboratorio di restauro del museo, che ne ha sottoposto alcune a lavori di natura conservativa o di restauro. Il nuovo percorso prevede l’ingresso dall’atrio Bernini dove ad accogliere il visitatore è la monumentale Velata di Antonio Corradini. Scolpita nel 1743 durante il soggiorno romano dell’artista, la Vestale è avvolta in un velo impalpabile, simbolo della pudicizia e della castità richieste per il sacro ruolo di sacerdotessa del fuoco di Vesta, che fa trasparire le forme sottostanti. Nella mano sinistra regge il setaccio che, con l’aiuto della dea, le permise di raccogliere le acque del Tevere, scampando la morte. La prima opera del percorso espositivo è il Galata, scultura romana antica appartenente alla collezione Barberini: una scelta che è stata fatta per sottolineare come il percorso di visita includa anche la storia del Palazzo e dei suoi proprietari. La statua, nel suo attuale aspetto, è in realtà il frutto di un esteso rifacimento, voluto probabilmente dagli stessi Barberini, e condotto su una scultura mutila romana del I secolo d. C., derivata a sua volta da un gruppo monumentale ellenistico databile alla prima metà del II secolo a. C.
Nella sala 12, Tradizione e devozione, la Sacra Famiglia di Andrea del Sarto è accompagnata da opere con lo stesso soggetto: la Madonna con Bambino e san Giovannino di Domenico Beccafumi, la Sacra Famiglia di Perin del Vaga e la Madonna Hertz di Giulio Romano. Si tratta della sala che illustra la pittura devozionale del XVI secolo. Infatti, benché la pittura del Cinquecento assista alla nascita e alla progressiva affermazione di generi nuovi, come il ritratto individuale, la scena storica, la favola mitologica, il paesaggio, a dominare ancora la produzione degli artisti è la pittura religiosa. La dinamica stessa della produzione e della committenza è profondamente legata a questa funzione cultuale delle immagini, che rappresenta un fenomeno antropologico di lunga durata, in sostanziale continuità con la tradizione cristiana medievale, tanto sul piano delle commissioni pubbliche quanto per le opere di destinazione privata. Istituzioni, pratiche e rituali della devozione personale e famigliare continuano pertanto ad alimentare una copiosa produzione di opere religiose di destinazione domestica e spesso di piccolo formato. Oggetti di preghiera, di meditazione, di edificazione, ma anche di arredo: contrassegni materiali di status sociale, testimonianze di cultura ed attestazioni di gusto. Per gli artisti del tempo il genere devozionale delinea così un campo non solo di esercizio, ma anche di sperimentazione, in cui i vincoli della tradizione iconografica stimolano soluzioni innovative e invenzioni inedite. L’icona della Vergine con il Bambino diventa un tema canonico con cui misurare le nuove risorse della pittura, senza rinunciare al deposito ormai millenario di un linguaggio simbolico, alla ricerca di un rapporto più affettivo con lo spettatore, che non è più solo un devoto, ma è anche, e sempre più spesso, un sofisticato “intenditore”.
La sala 13 è interamente dedicata a Lorenzo Lotto. Questo grande artista trasformò il tradizionale quadro di devozione domestica in una sorta di magico speculum perfectionis, specchio di perfezione dell’immagine, e insieme perfezione del modello di condotta e meditazione che essa evoca in chi guarda e riflette, come si vede dal Matrimonio mistico di santa Caterina con i santi Girolamo, Giorgio, Sebastiano, Antonio Abate e Nicola di Bari. L’opera fu infatti realizzata per essere collocata nella camera dei novelli sposi Marsilio e Faustina Cassotti, che a Lotto avevano già commissionato a Bergamo il loro duplice ritratto coniugale (oggi al Museo del Prado di Madrid). È dunque un matrimonio che l’immagine giustamente celebra, ancorché uno sposalizio mistico, quello tra Cristo e santa Caterina d’Alessandria. A presiedere e benedire le nozze è Maria, che mostra le due vie del Signore: quella della faticosa erudizione di Girolamo, traduttore della Bibbia, e quella dell’amorevole carità di Caterina, che si porta al petto la mano inanellata, sul corpetto appena slacciato. In secondo piano, l’equilibrio si inverte: a destra gli attempati Nicola e Antonio Abate sono assorti nella lettura, mentre a sinistra i martiri Sebastiano e Giorgio, anch’egli con l’anello, ricordano che la “passione” per Cristo non è senza spine, come la rosa che gli amanti si scambiano, e che il trasporto dei sentimenti richiede il dominio di sé, come indica l’arcano geroglifico inciso sul cameo della santa. Accompagnano il dipinto due cofanetti “in pastiglia” di ambito veneto-ferrarese degli inizi del XVI secolo.
Si prosegue nella sala 14, centrata sulla pittura ferrarese. La Ferrara ducale è uno tra i maggiori centri dell’Italia delle corti, una geografia dell’arte, in cui centri e periferie danno vita a una dinamica complessa e vivace, fatta di ambizioni, rivalità, gelosie e confronti almeno quanto di relazioni, scambi, prestiti e influenze reciproche. I raffinati ideali coltivati in seno alla corte estense, la molteplicità di interessi antiquariali, la cultura letteraria e cavalleresca, specialmente segnata dalla presenza del nume tutelare di Ludovico Ariosto, l’attività di pittori “foresti” come Giovanni Bellini e Tiziano, contribuiscono a creare quell’ambiente e quell’atmosfera caratteristici in cui nascono e si iscrivono le fantasiose, ricercate e talvolta bizzarre invenzioni di Garofalo e Dosso Dossi. La sala 15 è invece dedicata al Cinquecento senese: depositaria di una straordinaria eredità, che ne ha segnato l’identità artistica dal Medioevo all’età del primo Umanesimo, Siena diventa nel Cinquecento un ricettacolo e un crocevia di linguaggi figurativi di intonazione e declinazione diverse. Fino alla metà del secolo, quando la città viene conquistata dai fiorentini e passa sotto l’influenza del ducato mediceo, il mecenatismo delle istituzioni civiche e religiose, quelle repubblicane e quelle signorili (in particolare durante il dominio della potente famiglia dei Petrucci) promuove una stagione artistica ricca di nuovi fermenti e aperta a una cultura variegata e composita. Le figure di maggior spicco, in questo contesto, sono quelle, pressoché contemporanee, del Sodoma e di Domenico Beccafumi. Il primo fu personaggio stravagante, come ricordano le fonti e come suggerisce già l’eloquente soprannome: grazie alle sue esperienze milanesi, fiorentine e romane, egli importa a Siena una particolare reinterpretazione dell’ardua lezione leonardesca e insieme un’aggiornata cultura classicheggiante e antiquariale. Con Beccafumi, i modelli della pittura toscana acquistano un carattere “eccentrico” ed elegante, e si rifondono in un idioma decisamente peculiare, in termini disegnativi, cromatici e luministici.
La sala 16, si intitola Lo sguardo del Rinascimento e approfondisce il genere del ritratto, dando una panoramica dell’interesse per la rappresentazione dell’individuo che si afferma proprio nel Cinquecento. Nel ritratto del tempo si fa strada un crescente desiderio di affermazione e rappresentazione della propria identità, che va intesa nel duplice senso del termine, ovvero non tanto come assoluta individualità, quanto piuttosto come conformità, appartenenza, riconoscibilità. Di qui la formazione di tipologie specifiche, con le loro iconografie e i loro contrassegni ricorrenti: dall’effigie rituale del sovrano agli strumenti dell’umanista, dalla posa affettata del gentiluomo alla retorica ostentata dell’uomo d’armi. Tra queste anche quella dell’artista stesso, che talvolta, però, osa e sfida convenzioni e cliché, come Raffaello. Nella sala è possibile ammirare alcune delle opere più celebri delle Gallerie Nazionali, dalla Fornarina di Raffaello al Ritratto di Stefano IV Colonna del Bronzino, dalla Maria Maddalena di Piero di Cosimo all’Enrico VIII attribuito a Hans Holbein, insieme ai ritratti di Niccolò dell’Abate, di Quentin Metsys e di Bartolomeo Veneto.
Proseguendo per la sala 17, dedicata alla pittura della Maniera centro-italiana, è stato recuperato dal deposito del Museo Statale di Arezzo, la grande pala di Giorgio Vasari e bottega con l’Allegoria dell’Immacolata concezione, che sarà eccezionalmente presentata al pubblico durante le prime due settimane di esposizione, prima di essere sottoposta a delicati interventi di restauro al termine dei quali l’opera verrà riallestita affiancando quelle del Maestro della Madonna di Manchester, del seguace di Maarten van Heemskerck, di Daniele da Volterra, di Jacopino del Conte, di Francesco Salviati e di Pierino da Vinci. Il percorso si conclude nella sala 18, la Sala Sacchi, detta anche della “Divina Sapienza”: qui, come a volerne rievocare la rilevante funzione originaria di massima rappresentanza simbolica degli appartamenti del principe Taddeo Barberini, le opere esposte sono destinate a illustrare e a presentare i protagonisti della famiglia Barberini, con i ritratti dipinti e scolpiti di Urbano VIII e dei suoi nipoti realizzati da Gian Lorenzo Bernini, Giuliano Finelli, Lorenzo Ottoni. Al centro della sala, i due Globi della sfera celeste e terrestre di Matthäus Greuter, che evocano, pur non essendo certa la provenienza, lo spiccato interesse dei Barberini per gli oggetti legati alle nuove discipline ottiche, fisiche, astronomiche e, nella fattispecie, cartografiche. Palazzo Barberini è, del resto, l’immagine, il ritratto dei Barberini, anzi, più propriamente, il luogo deputato dei ritratti dei Barberini, che la famiglia provvide a moltiplicare a dismisura, praticando un vero e proprio culto della loro immagine e aspirando così a trasformarla in un’immagine di culto, nel senso letterale del termine. Come spiegare altrimenti l’insistito e continuo interesse, che si tramanda di generazione in generazione, per una galleria di effigi rituali che popola i palazzi e le residenze della famiglia, in cui compaiono non solo i protagonisti del presente, ma anche gli avi di un passato che si vuole ovviamente degno e glorioso? È la reinterpretazione, ideologicamente moderna, dell’antico ius imaginum dei Romani, il culto dei ritratti dinastici, e forse non per caso la celebre scultura del cosiddetto “Togato” (oggi al Museo della Centrale di Montemartini a Roma), che è esplicito omaggio all’effigie degli antenati, nel XVII secolo era uno dei vanti della collezione statuaria classica dei Barberini. Ma questa radiazione iconografica e autobiografica è trasversale a forme e generi figurativi diversi. Nel disegno strategico di autorappresentazione dei Barberini, anche l’allegoria astratta e concettosa, tipica dell’immaginario poetico barocco, può diventare celebrazione della persona, in primo luogo, ovviamente, della persona del pontefice Urbano VIII, il vero artefice della fortuna della famiglia. Ed è proprio la fortunata, “mirabile congiuntura”, astrale e storica, della sua elezione che la volta della Divina Sapienza affrescata da Andrea Sacchi nel 1630 intende commemorare.
Palazzo Barberini apre dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 18:00. Ultimo ingresso alle ore 17:00. Biglietti: Intero 10 € - Ridotto 2 € (ragazzi dai 18 ai 25 anni). Gratuito: minori di 18 anni, scolaresche e insegnanti accompagnatori dell’Unione Europea (previa prenotazione), studenti e docenti di Architettura, Lettere (indirizzo archeologico o storico-artistico), Conservazione dei Beni Culturali e Scienze della Formazione, Accademie di Belle Arti, dipendenti del Ministero della cultura, membri ICOM, guide ed interpreti turistici in servizio, giornalisti con tesserino dell’ordine, portatori di handicap con accompagnatore, personale docente della scuola, di ruolo o con contratto a termine, dietro esibizione di idonea attestazione sul modello predisposto dal Miur. Per tutte le informazioni è possibile visitare il sito delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica.