Dal 17 settembre 2021 il Mudec Museo delle Culture di Milano rinnova la sua collezione permanente con un nuovo allestimento dal titolo Milano globale. Il mondo visto da qui. A cinque anni dall’apertura della sede museale, l’esposizione permanente presenta al pubblico oggetti inediti e noti capolavori dalle collezioni del Mudec e di altre raccolte cittadine. Tema è la globalizzazione e i grandi processi che hanno portato alla fisionomia della città contemporanea. Il rinnovato percorso intende raccontare alcuni fenomeni che hanno profondamente trasformato la nostra società, a partire da opere e storie milanesi e lombarde particolarmente significative.
In un nuovo percorso di circa cinquecento opere, di epoche, materiali, tipologie e culture differenti, il pubblico avrà l’opportunità di ripercorrere alcuni dei temi fondamentali della storia globale attraverso una lente milanese.
Milano è stata definita la città più “internazionale” d’Italia. Anche se fu per breve tempo capitale dell’Impero Romano, fu soprattutto all’inizio dell’età moderna che il profilo internazionale della città cominciò a definirsi. il nuovo allestimento parte proprio da qui: la città, il suo territorio e il suo tessuto sociale ed economico saranno inseriti in dinamiche più ampie: dall’era delle grandi navigazioni alla società dei consumi, dall’età coloniale alla Milano multiculturale. “La nuova Permanente del Mudec si mantiene al passo con le trasformazioni della nostra società”, dichiara la direttrice del museo Anna Maria Montaldo, “rispondendo al bisogno della cittadinanza di comprendere la contemporaneità e alle richieste e necessità degli educatori di formarsi in chiave interculturale. Il percorso è stato pensato per fornire strumenti che consentano di affrontare temi complessi, come le migrazioni e il colonialismo, con la consapevolezza di quello che è stato il passato, per costruire un futuro di dialogo”.
Il nuovo allestimento della collezione permanente si snoda in cinque sezioni. Nella prima sezione (Milano nel mondo spagnolo) la città si proietta su scala internazionale: dal Cinquecento entra infatti a far parte dello scacchiere dell’Impero Spagnolo. I traffici con l’America permettono l’arrivo di oggetti non europei che entrano nelle collezioni cittadine, come quelle di Manfredo Settala. In città arriva anche l’argento delle miniere boliviane di Potosì, destinato insieme agli altri metalli aessere trasformato in armi, prodotti suntuari e monete per tutta Europa. L’impatto dell’argento americano si rivelerà dirompente sull’economia mondiale e devastanti saranno i risvolti per le popolazioni native americane e il loro territorio, con ripercussioni fino all’Africa occidentale, da dove le persone venivano rapite per servire come schiavi negli ingenios di raffinazione del metallo e per altre attività economiche a beneficio delle economie coloniali. Le Americhe, dove si avviò il sistema coloniale più longevo di sempre, furono teatro di società complesse antiche quanto quelle mesopotamiche: una grande vetrina testimonia la varietà e la raffinatezza della cultura materiale attraverso una grande installazione che espone l’arte fittile delle Ande centrali tra il 3000 a.C. fino alla conquista (1532).L’ultima parte della sala è dedicata al cacao che, insieme a oggetti e metalli, giunge dal vasto mondo iberico, cambiando le abitudini alimentari dell’intero pianeta.
La seconda sezione (La nuova dimensione globale del continente asiatico) parte dal consumo del caffè e del thè, che hanno entrambi origine dal mondo orientale: da qui provengono anche molti degli oggetti utilizzati come contenitori per queste bevande. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento si diffonde in Europa la moda del consumo di alcuni alimenti “nuovi” riservati ai regnanti e alle corti, ma che già alla fine del Settecento godono di una popolarità capillare. La Cina diventa egemone nel mercato dell’export di prodotti di lusso, tra cui le raffinatissime porcellane. L’immagine del mondo orientale, visto dagli Europei come un luogo mitico, diventa di grande moda e si diffonde nelle arti applicate (anche in Lombardia), dando vita al fenomeno delle cineserie, imitazioni occidentali ispirate ai modelli decorativi cinesi, giapponesi e indiani. Il mondo del tessile, con i suoi motivi decorativi e materiali originari dell’Oriente, si ibridano per soddisfare il gusto della moda europea. Anche Milano e la sua fiorente industria tessile si inseriscono in questo complesso fenomeno, sia con produzioni proprie sia con l’importazione di tessuti alla moda.
La terza sezione (La corsa per l’Africa) parte dal fatto che alla fine del Settecento le potenze europee imprimono una svolta militare alle attività strettamente commerciali, volta al controllo di vasti territori non industrializzati, come l’Africa. Giuseppe Vigoni viaggia con scopi commerciali al seguito della Società di Esplorazione Commerciale in Africa con sede a Milano dal 1879. In seguito, il Regno d’Italia maturerà la decisione di un intervento militare occupando parte di Tripolitania, Eritrea e Somalia, preludio del colonialismo di matrice fascista concentrato sulla conquista definitiva della Libia e dell’Eritrea. Un nucleo di opere inedite provenienti dall’ex Museo della Guerra permette una riflessione sul portato culturale del passato coloniale italiano: gli oggetti giunti a Milano per celebrare le imprese militari in Etiopia permettono di sviluppare una narrazione che, ribaltando le intenzioni dei coevi, si concentra sull’identità e la storia della popolazione etiope. Manifesti, riviste scientifiche o di intrattenimento, documenti e oggetti quotidiani descrivono la problematica relazione con i “colonizzati” e la contraddittoria rappresentazione dell’“altro” ricca di luoghi comuni, ponendo in luce la ripercussione di questo sentire sulla società milanese e italiana. Una modalità di relazione che si è consolidata durante il ventennio fascista che rimane presente nella società civile del secondo dopoguerra. La Conferenza di Berlino (1884-1885) segna l’occupazione occidentale di buona parte del continente africano. Due focus, dedicati alla guerra e alla religione, documentano attraverso le opere il colonialismo europeo e le forme di resistenza e resilienza africane. Modernità e tradizione non sono presentate come l’una successiva all’altra, ma come contemporanee, nel loro modellarsi reciproco dentro la situazione coloniale.
La quarta sezione (Dalla decolonizzazione al multiculturalismo) documenta il processo di decolonizzazione italiano che si è sviluppato rapidamente in Eritrea, Etiopia e Libia; l’influenza sulla Somalia si prolungò invece fino alla fine del protettorato che avrebbe dovuto preparare il paese africano all’indipendenza, nel 1960. Dal secondo dopoguerra una certa corrente apologetica ha portato alla costruzione e diffusione del mito degli “italiani brava gente”; a partire invece dagli anni Settanta fino agli anni Duemila, una nuova corrente storiografica si è impegnata in una revisione critica del passato coloniale italiano. È all’interno di questo contesto, non solo di critica del passato coloniale ma anche di analisi della memoria del colonialismo, che si inseriscono le opere presenti. La città di Milano esce distrutta dal grande conflitto mondiale. La matrice internazionale e imprenditoriale che la città ha assorbito nei secoli gioca un ruolo fondamentale nel boom economico dell’Italia. Nel passaggio da città industriale a città dei servizi, Milano accoglie persone provenienti dall’Africa, dall’Asia e dall’America.
La quinta e ultima sezione (Afrodiscendenti nella Milano globale) presenta Milano, metropoli multiculturale e città globale, vista attraverso gli occhi degli “afrodiscendenti” che vi abitano, con l’intento di mostrare come contribuiscano a cambiare la città e il senso dell’essere milanesi e italiani. Si tratta di incrociare le forme di auto ed etero rappresentazione, storicamente ereditate o prodotte attualmente, che rendono queste persone visibili o invisibili, configurando identità simboliche rivendicate o subite. La cornice è costituita dalle rappresentazioni, spesso stereotipate, che compongono l’immaginario sui neri in Italia: immagini pubblicitarie, film, canzoni, propaganda politica, ma anche i modelli mediatici della celebrity culture, mentre il cuore della sala è costituito dalle forme molteplici di autorappresentazione messe in campo dagli “afrodiscendenti” milanesi e in particolare da coloro che, lavorando nel mondo delle industrie culturali e creative, influiscono sul senso comune.
L’intero progetto si basa su un’impostazione aperta e partecipativa del processo di ideazione e allestimento della sala espositiva (che ha caratterizzato sia questa ultima sezione che le precedenti) attraverso workshop e discussioni in presenza e da remoto, con un approccio polifonico volto a evitare il “pericolo di un’unica storia”. Di qui anche la scelta di invitare a esporre professionisti della parola e dell’immagine (artisti, stilisti, musicisti, videomaker, scrittori, influencer) sia per la qualità delle loro opere che per la loro capacità di contribuire ad articolare gli spazi simbolici all’interno dei quali gruppi e persone possono riconoscersi a partire dalle loro somiglianze e differenze e immaginare i propri futuri.
Immagine: Alan Maglio, Ritratti africani (2004, stampa fotografica)
Il Mudec si rinnova: nuovo allestimento permanente tutto incentrato sulla globalizzazione |