A Firenze, il Museo di San Marco trova sede nell’omonimo convento, tra le suggestioni di un luogo pregno di spiritualità e la memoria di illustri membri, come il frate Girolamo Savonarola o il Beato Angelico, e colloca la sua collezione all’interno degli ambienti dove per secoli hanno vissuto i confratelli. Il complesso, composto anche dall’adiacente basilica e dalla biblioteca, si è reso nei secoli centro di cultura, oltre che d’arte.
Il convento di San Marco venne fondato l’8 marzo del 1299 dai monaci della congregazione benedettina silvestrina, ma già a partire dal 1250 le fonti segnalano la preesistenza di un oratorio, concesso poi nel 1290 ai monaci per edificare il loro convento; della vita dell’edificio in questo periodo resta traccia in alcuni frammenti di affreschi. Il convento e la chiesa di San Marco Nuovo, così chiamata per distinguerla dall’omonima chiesa di San Marco, vennero presto reclamati come sede dai frati dell’ordine domenicano, il cui prestigio cresceva di giorno in giorno, e per questo motivo, nel 1418, sotto il pontificato di Eugenio IV, i silvestrini vennero obbligati ad abbandonare la chiesa e il monastero, che però saccheggiarono portando via e distruggendo ogni genere di suppellettili. Gli edifici, lasciati ai Domenicani, in pessime condizioni, necessitavano di un importante restauro, del quale venne incaricato nel 1437 da Cosimo de‘ Medici l’architetto Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi, allievo di Brunelleschi.
La consacrazione dei nuovi ambienti avvenne il 6 gennaio del 1443, alla presenza del papa. Oltre alla costruzione del piano superiore per realizzare le celle dei frati, alla realizzazione di due chiostri e due refettori, ad un importante restauro della chiesa, l’opera più emblematica di Michelozzo all’interno del complesso di San Marco è sicuramente la biblioteca: una delle prime aperte al pubblico, che ospitò illustri umanisti come Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola. Nella primavera del 1490 venne assegnato al convento Fra’ Girolamo Savonarola, che tenne le sue celebri orazioni pregne di messaggi profetici anche tra le mura di San Marco. La prima espropriazione del convento avvenne nel 1808, durante il periodo napoleonico, e tornò in mano ai frati solamente dopo la caduta dell’imperatore, ma questi furono nuovamente cacciati nel 1866, quando anche lo Stato italiano decise di sopprimere gli ordini religiosi. Il convento allora venne restaurato e riaperto come museo nel 1869, dopo un riadattamento e un restauro degli affreschi del Beato Angelico realizzato dal pittore Gaetano Bianchi. La raccolta straordinaria di opere del Beato Angelico venne accresciuta grazie a Giovanni Poggi, allora direttore degli Uffizi, che fece confluire svariate opere dalle collezioni fiorentine al museo di San Marco.
Il primo ambiente che si incontra visitando il museo è il chiostro di Sant’Antonino, realizzato da Michelozzo intorno al 1440, dove troviamo al centro del giardino un magnifico cedro del XIX secolo. Il loggiato, realizzato con calce bianca e pietra serena, è costituito da cinque colonne per lato, sovrastate da eleganti capitelli ionici. Il primo piano, visibile dal chiostro, costellato da piccole monofore appartenenti ciascuna a una cella. Di fronte all’entrata del museo troviamo la Crocifissione realizzata nel 1442 dal Beato Angelico, fino al XVII secolo unica decorazione del chiostro, che raffigura il fondatore dell’ordine, san Domenico, abbracciato alla croce, sottolineando uno dei principi cardine dell’ordine, ovvero il rapporto stretto con Cristo e la sua devozione per lui. Intorno al 1650, quando la famiglia Fabroni divenne proprietaria di quella parte del chiostro, l’affresco fu inquadrato in una cornice marmorea, intorno alla quale il pittore fiorentino Cecco Bravo dipinse figure complementari, tra cui la Vergine e il San Giovanni Battista. Nel chiostro l’Angelico realizzò anche cinque lunette, raffiguranti rispettivamente: San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, San Domenico che mostra la regola dell’Ordine, San Tommaso d’Aquino con la Summa, Cristo pellegrino accolto da due domenicani e Cristo in pietà; poste originariamente sulle porte del chiostro, ora trasferite all’interno per motivi di conservazione.
Nel Seicento, per celebrare la figura del domenicano al quale veniva attribuita la fondazione del convento, sant’Antonino, venne commissionato un ciclo di lunette con Scene della vita del santo, a cui lavorarono vari artisti, tra cui Bernardino Poccetti. Nella lunetta dove è rappresentato Sant’Antonino eletto vescovo di Firenze, vediamo rappresentato, in maniera anacronistica, fra’ Girolamo Savonarola, indice dell’importanza che il frate ebbe per l’ordine e per il convento.
Dal chiostro è accessibile l’Ospizio dei Pellegrini, ambiente già esistente all’epoca dei Silvestrini, dove sulle mura sono state trovate tracce di decorazione parietale di inizio Quattordicesimo secolo. Attualmente è la sala dedicata al Beato Angelico, in particolare alle sue pale, dove troviamo il Trittico di San Pietro Martire, una delle prime opere documentate dell’artista, intorno agli anni Venti del Quattrocento, e il particolarissimo Armadio degli Argenti, commissionato da Piero de’ Medici e realizzato intorno alla metà del Quindicesimo secolo, un ciclo pittorico con scene dell’infanzia di Cristo, della vita adulta e della Passione realizzato su scomparti quadrati che costituivano gli sportelli di un armadio. Trova collocazione nei locali dell’Ospizio anche la Madonna in trono, o Pala di Annalena, giunta a San Marco dopo la soppressione del monastero di San Vincenzo di Annalena. Probabilmente si tratta della pala commissionata da Cosimo de’ Medici per la cappella di famiglia dedicata ai Santissimi Cosma e Damiano, vista la presenza nell’opera dei due santi protettori dei Medici.
Attraversando un’altra porta del chiostro è possibile accedere la Stanza del lavabo, che deve il nome al rito di purificazione delle mani effettuato dai monaci prima dei pasti, come voluto dalla Regola. Sopra la porta d’ingresso un affresco del Cristo In Pietà, attribuito al Beato Angelico, si presenta estremamente deteriorato. Oggi la stanza contiene opere di artisti vissuti nel XVI secolo, come Baccio della Porta, meglio conosciuto come Fra’ Bartolomeo, di cui è possibile osservare l’affresco col Giudizio Universale, lasciato incompiuto e gravemente rovinato da un trasferimento avvenuto nel 1657, e gli affreschi su terracotta, come quello raffigurante Madonna e il Bambino; in una delle più dolci rappresentazioni del rapporto madre figlio, forse ispirata alla Madonna della Seggiola di Raffaello l’artista modella le figure attraverso l’uso di un sapiente chiaroscuro. Nello spazioso Refettorio Grande, raggiungibile dalla Sala del lavabo, sono esposti numerose opere di Giovanni Antonio Sogliani, di Fra’ Paolino, allievo di Fra’ Bartolomeo, e opere della Scuola di San Marco. Oggi spazio espositivo, la Sala di Fra Bartolomeo, era l’antica cucina del monastero. Il pittore, che tenne uno studio nell’edificio fino alla sua morte nel 1517, realizzò particolarissimi affreschi su tegole, di cui è un esempio l’Ecce Homo, realizzato nel 1501. Il frate realizzò anche due ritratti di Girolamo Savonarola, di cui fu grande ammiratore e seguace, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro.
Il refettorio piccolo ospita la grandiosa Ultima cena realizzata da Domenico Ghirlandaio, circa quarant’anni dopo la costruzione del monastero, ed è oggi luogo di esposizione dei lavori di Andrea della Robbia in terracotta invetriata. Collegato alla sala grazie a un corridoio, il cortile della Spesa, parte della ristrutturazione del 1440 operata da Michelozzo, porta alle sale sotterranee. Nelle stanze sotterranee di San Marco si conserva una ricchissima raccolta di reperti che vennero salvati dalle demolizioni perpetrate a fine Ottocento nel centro di Firenze, elementi decorati, affreschi staccati ed elementi lignei. Il direttore del museo, all’epoca istituito da poco, Guido Carocci, si operò per raccogliere e catalogare questo patrimonio. I reperti vennero conservati nella ‘’foresteria’’ del convento, dove sono tutt’ora, e nel chiostro di San Domenico, da cui poi furono spostati nei sotterranei del museo nel Lapidarium.
Luogo importantissimo per la comunità era la Sala del Capitolo, poiché qui si leggeva collettivamente la Regola, parte della struttura trecentesca dell’edificio. Sopra la porta d’ingresso si trova la Crocifissione realizzata nel 1442 dal Beato Angelico, purtroppo non perfettamente conservata, a causa del deterioramento dei pigmenti che ha portato alla trasformazione del colore di sfondo da blu a grigio. Nella sala è conservata anche la campana attribuita a Michelozzo detta “la Piagnona”.
Al primo piano si trova il dormitorio, raggiungibile con una rampa di scale, probabilmente costruita nel Diciassettesimo secolo, a sostituire l’originale a chiocciola, che portava direttamente di fronte all’Annunciazione del Beato Angelico, uno dei tre affreschi realizzati fuori dalle celle, anche queste affrescate dal frate tra il 1437 e il 1444, davanti alla quale i frati si riunivano per recitare la preghiera comune. Il tema portante per la decorazione delle celle sono la Vita e Passione di Cristo. Riservate ai frati novizi, le sette celle decorate con variazioni di San Domenico che adora il crocifisso, sono, grazie a tratti stilistici, probabilmente attribuite a Benozzo Gozzoli. In fondo al corridoio dei novizi si trova la cella di Savonarola, presentata col nuovo allestimento realizzato nel 2021, con l’acquisizione del busto in terracotta dipinta realizzato dai Mattia della Robbia tra il 1497 e il 1512, unica statua raffigurante il frate. Sono esposti anche reliquie legate a Savonarola, come il mantello, o il crocifisso ligneo di fine Quattrocento per tradizione considerato di proprietà del frate.
La biblioteca del convento, suo fiore all’occhiello, venne finanziata da Cosimo de Medici, che acquistò la grande collezione di classici greci e latini dell’umanista Niccolò Niccoli. Oggi spoglia dei propri volumi migrati verso la Biblioteca Nazionale e quella Laurenziana dopo la soppressione dei monasteri del Diciannovesimo secolo, si rivela nella sua nuda architettura; l’aula della biblioteca è divisa da due colonnati ionici in tre navate , di cui quelle laterali coperte da volte a botte mentre quella centrale da volte a crociera. Attualmente viene esposta nella biblioteca una selezione di manoscritti liturgici miniati, parte della collezione di codici minati quattrocenteschi ancora appartenenti alla biblioteca.
Adiacente al convento si trova, con la sua facciata in stile neoclassico, la stupenda basilica di San Marco, composta da un’unica navata, conserva la dimensione dell’aula trecentesca, dove erano presenti affreschi di Pietro Cavallini, oggi non più visibili se non in frammenti. Fu opera del Giambologna la ristrutturazione avvenuta nel 1588. Straordinarie le cappelle laterali, progettate dall’architetto, in particolare la Cappella Salviati, dove sono conservate le spoglie del fondatore del convento, che presenta una decorazione parietale opera della bottega del Giambologna. Ispirata a questa è la Cappella Serragli, o Cappella del sacramento, dove la decorazione ruota intorno al tema della rappresentazione dei doni dello spirito santo, con opere di Santi di Tito e di Bernardino Poccetti. Nella seconda e nella terza cappella di sinistra riposano i corpi degli umanisti Pico della Mirandola e Agnolo Poliziano, che furono frequentatori del convento e soprattutto della sua biblioteca.
Il Museo di San Marco è raggiungibile in treno, scendendo alla Stazione di Santa Maria Novella, da cui è possibile prendere il bus (linee 7, 10, 31-32, 33), mentre a piedi il Museo facilmente raggiungibile dalla stazione in 15 minuti. Per informazioni su prezzi dei biglietti e orari è possibile consultare il sito ufficiale della biglietteria dei musei statali fiorentini.
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