Ha sede in un grande edificio progettato dall’architetto ticinese Mario Botta, immerso in un bel parco, il Solitude-Park, che si affaccia sulla riva del Reno. È il Museo Tinguely di Basilea, uno dei musei più singolari della Svizzera, interamente dedicato alla straordinaria figura di Jean Tinguely (Friburgo, 1925 - Berna, 1991), grande artista svizzero vicino al movimento dadaista e all’arte cinetica, famoso soprattutto per le sue sculture-macchine con le quali criticava l’automazione, la meccanizzazione, il consumismo. In due parole: la società moderna.
Il museo che accoglie le opere di Tinguely è nato nel 1996, per volontà della multinazionale farmaceutica Roche, la cui sede si trova a pochi passi dal Museo Tinguely e che ha finanziato l’operazione, e ospita la più grande collezione al mondo di opere dell’artista svizzero. Il Museo Tinguely, tuttavia, probabilmente non sarebbe potuto nascere senza il fondamentale apporto di Niki de Saint-Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 - La Jolla, 2002), moglie di Tinguely dal 1971, che nel 1992, subito dopo la scomparsa dell’artista, donò cinquantadue opere della sua collezione stabilendo dunque i presupposti perché il museo sorgesse. A partire da quella data, la collezione si è costantemente arricchita (anche la Roche ha contribuito con una donazione di opere di Tinguely in suo possesso), grazie a lasciti, donazioni ed acquisizioni, e oggi è uno dei musei più visitati del paese, capace di attirare un pubblico molto eterogeneo, dato anche il carattere molto coinvolgente dei suoi allestimenti. Nel museo sono conservate opere d’arte che appartengono a tutte le fasi della carriera di Tinguely, al fine di offrire una panoramica esauriente sulla vita e sulla carriera dell’artista. Ci sono le affascinanti sculture, che catturano il pubblico richiedendo spesso la sua partecipazione (vengono infatti azionate dai visitatori, oppure possono essere percorse e... scalate), ci sono disegni, lettere, documenti, manifesti di mostre, fotografie.
Il museo consente dunque di compiere un itinerario indimenticabile nel lavoro di Tinguely. L’artista, formatosi a Basilea e cresciuto poi a Parigi dove, negli anni Cinquanta, frequentò le avanguardie del tempo, si era presentato al mondo dell’arte proprio nei primi anni Cinquanta con l’intento di rivoluzionare quell’ambiente “statico” presentando, al contrario, opere in grado di muoversi, realizzate con materiale d’uso quotidiano: ferro e fil di ferro, acciaio, latta, vernice industriale e molto altro. Nascevano così opere astratte che si muovevano attraverso meccanismi ideati dallo stesso artista, che si potevano azionare semplicemente premendo un interruttore. Il suo esordio risale al 1954, quando Tinguely espose le sue prime... sculture motorizzate, che chiamò Méta-mécaniques. Ed è da qui che parte il percorso del museo: le prime opere che il visitatore trova sono le sue peintures cinétiques, quadri astratti con elementi in grado di muoversi attraverso meccanismi nascosti, col risultato che le opere risultavano sempre diverse e uniche (il cambiamento continuo è uno dei presupposti teorici che animano il lavoro di Tinguely: ecco perché l’artista scelse il nome di Méta-mécaniques per queste opere). Era anche un modo per rispondere a un problema particolarmente avvertito dai dibattiti artistici del momento, quello che riguardava il rapporto tra l’opera e lo spazio: Tinguely proponeva una sua soluzione, facendo in modo che il movimento nelle opere diventasse movimento vero, movimento a tutti gli effetti.
Il Museo Jean Tinguely di Basilea |
I Méta-mécaniques |
Jean Tinguely, Ballet des pauvres (1961; Basilea, Museo Tinguely) |
Jean Tinguely, Plateau agriculturel (1978; Basilea, Museo Tinguely) |
Jean Tinguely, Pit-Stop (1984; Basilea, Museo Tinguely) |
Jean Tinguely, Méta-Harmonie II (1979; Basilea, Museo Tinguely) |
Jean Tinguely, Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia (1987; Basilea, Museo Tinguely) |
Altro argomento che Tinguely sentiva era quello dell’opera d’arte totale, un’opera in grado di coinvolgere tutti i sensi. In questo caso, la sua risposta furono i Reliefs méta-mécaniques sonores, presentati per la prima volta nel 1955: si tratta di opere che, al movimento, aggiungono anche il suono, per rispondere anche a un’esigenza nata dagli scambi con Yves Klein (artista con cui fu in rapporto fecondo e amichevole: nel 1958 i due esposero anche assieme, e una sezione del museo è dedicata proprio al loro rapporto), ovvero quella di “smaterializzare” l’opera d’arte. Lo si nota, per esempio, nell’opera Mes étoiles, rilievi neri (con elementi bianchi in movimento) che suonano, ma senza che si capisca da dove il suono provenga.
Il viaggio continua con le opere degli anni Sessanta: nel 1960, l’artista viaggiò per nave fino a New York per una mostra alla Staempfli Gallery. Per il suo soggiorno immaginò però anche un’installazione che si autodistruggesse, dedicata alla città di New York. Riuscì a convincere il direttore del MoMA (lì avrebbe voluto mostrare la sua scultura-performance) e, dopo tre settimane di lavoro, presentò la sua opera davanti a un pubblico di trecento persone. “La vita intensa di questa macchina è la causa della sua auto-distruzione”, ebbe a dire l’artista. Si trattava però di una distruzione positiva, dato che i vari elementi dell’opera che si smaterializzava davano luogo a uno spettacolo capace, di nuovo, di coinvolgere tutti i sensi. Appartengono dunque ai primi anni Sessanta opere in cui la distruzione diviene parte del processo: macchine pesanti, rumorose, fatte spesso con materiale di scarto, risultante dalla distruzione di altri oggetti, che però dava origine a una nuova vita. “Amo la rinascita degli oggetti trovati”, diceva, “reinventarli per dar loro una nuova forma d’esistenza in una nuova dimensione”. Tinguely, ammiratore di Duchamp, proponeva dunque la propria interpretazione della poetica dell’objet trouvé, con opere come Ballet des pauvres (ipnotica danza di oggetti trovati tra i rifiuti) e la serie Balubas, sculture motorizzate fatte anch’esse con materiale di risulta.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, Tinguely tornò alla scultura, con opere che si presentavano all’osservatore in una spessa coltre nera, ma si trattò d’una fase transitoria, perché di nuovo a partire dagli anni Settanta, quando le sue opere cominciarono a riscuotere un grande successo in tutto il mondo, l’artista svizzero tornò alle sue bizzarre macchine, che diventavano sempre più spettacolari, spesso incarnando motivi simbolici (questo soprattutto a partire dagli anni Ottanta: elementi che rimandano alla delicatezza e all’aggressività, alla vita e alla morte, al maschile e al femminile), e sempre contraddistinte dalla carica ironica che mai abbandonò la sua produzione. Non mancano, però, opere più dimesse: si passa così da Pit-Stop, opera del 1984 commissionata dalla casa automobilistica Renault, una sorta di ode al legame tra l’uomo e la macchina, alle Maschinenbar, piccole sculture-macchine simili a giocattoli capaci di riferirsi a diversi umori e stati d’animo, dalla grande scultura Méta-Harmonie II del 1979 (che viene azionata a orari cadenzati, date le sue dimensioni), fino al grande capolavoro del 1987, la Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia, enorme macchina che l’artista progettò per una mostra a Palazzo Grassi a Venezia, una sorta di poetica celebrazione della vita, un mondo dei sogni utopico, immaginata con l’espresso intento di fare qualcosa di “gioioso, qualcosa per i bambini” (così l’artista stesso).
Il Museo Tinguely è anche un attivo centro di documentazione sull’opera dell’artista e dei suoi contemporanei, ed è inoltre un vivace centro espositivo che ogni anno ospita mostre di artisti moderni e contemporanei, per lo più legati ai temi della poetica di Tinguely. È, poi, anche un’autorità in fatto di conservazione e restauro dell’arte cinetica: mantenere le opere di Tinguely in vita richiede infatti un complesso lavoro di conservazione e tutela, garantito ogni anno dagli esperti del museo. Il sito web del museo è una ricca fonte d’informazioni e punto di partenza per organizzare una visita: vi si trovano informazioni sulle opere, sulle mostre, sulle attività che il museo propone, oltre che diversi approfondimenti sulla figura di Tinguely.