Musei italiani, poco competitivi sul digitale malgrado l'enorme potenziale. Cosa devono fare


I musei italiani sono poco competitivi sul digitale: eppure, se sfruttassero meglio le nuove tecnologie, potrebbero incrementare notevolmente i ricavi. Ecco cosa dovrebbero fare secondo uno studio di The European House - Ambrosetti.

I musei italiani hanno un enorme potenziale digitale ancora inesplorato, che se valorizzato, per esempio digitalizzando l’esperienza di visita, ottimizzando le tariffe e ampliando l’offerta dei servizi, i loro ricavi potrebbero segnare un aumento a doppia cifra, stimato tra il 44% e il 66%. Questo almeno secondo lo studio Musei pubblici, un patrimonio strategico per il sistema Italia, presentato l’altro ieri a Palazzo Rospigliosi a Roma in occasione della prima edizione del Forum Cultura Italia organizzato da The European House - Ambrosetti (gruppo professionale composto da circa 300 professionisti esperti di gestione integrata) in collaborazione con Aditus.

Lo studio è partito dai dati relativi al 2019, l’anno record prima del calo registrato durante la pandemia, quando i musei statali hanno 242,4 milioni di euro di ricavi da ingressi. Un dato in crescita del 10,8% anno su anno dal 2012, ma che, calcola The European House – Ambrosetti, equivale alla somma dei ricavi di appena 5 dei musei e monumenti più visitati d’Europa (Musée du Louvre, Tour Eiffel e Musee d’Orsay in Francia e Museo Nacional del Prado e Museo Reina Sofia in Spagna). Il settore tuttavia ha un effetto moltiplicatore economico e occupazionale che consentirebbe, secondo lo studio, di attivare 237 euro distribuiti in tutti i settori economici per ogni 100 euro investiti nelle attività museali e culturali, e 1,5 occupati al di fuori del comparto per ogni posto di lavoro creato al suo interno.

Come si può arrivare a questo risultato? Per rafforzare la competitività dei musei pubblici e sostenerne lo sviluppo serve ridare centralità al visitatore e investire nell’ampliamento dell’offerta dei servizi museali e culturali, integrando prodotti aggiuntivi e il canale digitale nell’esperienza di visita del museo, monitorando nel tempo il livello di gradimento del visitatore, introducendo nuove logiche di gestione e metodi di comunicazione e marketing digitali, nuove competenze e prezzi dinamici.

I musei italiani appaiono infatti ancora indietro nell’adozione delle tecnologie digitali. Meno di un terzo dei musei in Italia (31,2%) offre ai visitatori video e/o touch screen per la descrizione e l’approfondimento delle opere; solo il 27,5% è dotato di QR Code e/o di Wi-Fi nelle strutture, meno di un museo su cinque mette a disposizione applicazioni per tablet e smartphone, poco più di 1 museo su 5 (22,4%) è dotato di supporti multimediali (es. allestimenti interattivi, ricostruzioni virtuali, realtà aumentata). Il 34,8% dei musei non ha ancora digitalizzato i beni esposti al pubblico e il 37,8% non ha ancora digitalizzato i beni conservati in archivio. Poco più di 1 museo su 5 organizza convegni, conferenze e seminari online o tour virtuali online. Il 37% degli istituti culturali in Italia non è ancora presente sul web con un proprio sito dedicato, mentre la biglietteria online è presente solo in 1 ente su 5. Metà delle istituzioni culturali, infine, non ha nessuna risorsa dedicata al digitale.

Secondo lo studio, in Italia sono tantissimi i visitatori che entrano gratuitamente nei musei: il 37% degli enti statali e il 45% di quelli pubblici non statali sono ad ingresso completamente gratuito (media del 44%), e il 51% dei visitatori negli enti statali e pubblici non statali è a titolo gratuito, con valori particolarmente elevati negli enti statali (58%).

Ancora, il patrimonio museale in Italia è distribuito sul territorio, ma le performance di attrazione sono molto differenziate. Il Lazio, per esempio, con il 7% del patrimonio nazionale attrae un quarto dei visitatori annuali totali in Italia e la grande maggioranza dei ricavi si concentra in sole tre regioni (Lazio con 87,3 milioni di euro, Campania con 60,2 milioni e Toscana con 55,2 milioni), mentre sono poche quelle che hanno incrementato sia i visitatori sia i ricavi (Campania, Marche e Basilicata). Toscana (54% del totale regionale), Veneto (52%) e Lazio (50%) sono le regioni con la maggior incidenza di visitatori stranieri negli istituti culturali.

Cosa fare dunque? Sono cinque le proposte per musei pubblici italiani più competitivi che giungono dallo studio di The European House – Ambrosetti, che individua cinque linee d’azione per rafforzare la competitività del sistema museale italiano e sostenerne lo sviluppo: offrire un numero minimo di servizi aggiuntivi (bookshop, servizi di caffetteria/ristorazione, servizi di visita interattivi, aule didattiche, iniziative educative per bambini); adeguare il layout dei musei e dei luoghi della cultura allo scopo di visita, sia in termini di infrastrutture fisiche, come aree di svago, intrattenimento e relax, sia digitali; chiedere ai visitatori di esprimere un giudizio sull’esperienza della scoperta del museo e su quello che vi gravita intorno, introducendo su scala nazionale un sistema di monitoraggio e valutazione della soddisfazione, basato su criteri omogenei e indicatori quantitativi per alimentare un database centralizzato accessibile agli enti della P.A. e valutare le performance dei concessionari; ridurre il numero di interlocutori per semplificare i rapporti fra i soggetti privati e le Amministrazioni locali per la gestione degli enti museali e culturali; prevedere gare che permettano di superare la parcellizzazione su base regionale e introdurre nuove forme di contratti per la gestione dei servizi accessori dei musei pubblici statali che consentano una migliore capacità di programmazione e una maggiore flessibilità agli operatori privati.

“I musei”, sostiene Lorenzo Tavazzi, Partner e Responsabile dell’Area Scenari e Intelligence di The European House – Ambrosetti, “rappresentano un asset diffuso del Paese su cui costruire un volano di creazione di occupazione qualificata, con ricadute economiche a beneficio dell’Italia. I musei stanno evolvendo nella loro funzione, integrando sempre più la dimensione territoriale e sociale per le comunità locali. Vi sono opportunità di sviluppo nell’intercettare la nuova domanda di cultura attraverso modalità di relazione multicanale con i visitatori, la digitalizzazione e l’aumento dell’offerta esperienziale e dei servizi. Per abilitare questa visione occorre agire attraverso il completamento del percorso di autonomia e la valorizzazione della collaborazione pubblico-privata”.

“Serve un maggior protagonismo nel mondo digitale”, commenta il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, in un messaggio fatto pervenire ai partecipanti ai lavori del forum. “È qui che si intercettano i bisogni, le passioni e le emozioni delle nuove generazioni, che vanno coltivate a una maggiore consapevolezza di ciò che li circonda. Ciò ha un valore educativo, identitario ed economico, come ben evidenziato nelle premesse dello studio, che non può essere trascurato”.

“Ci vuole un nuovo rapporto fra pubblico e privato”, ha dichiarato Federico Mollicone (Presidente della VII Commissione “Cultura, Scienza e Istruzione” della Camera dei Deputati), intervenendo in chiusura dei lavori. “Lo dite chiaramente nel vostro studio: dalla messa a bando dei servizi aggiuntivi alla semplificazione possono sbloccarsi energie economiche e produttive, con ricadute ampie fino al 66% in più di profitto. La realizzazione di un sistema culturale competitivo è ciò che stiamo portando avanti. Stiamo presentando una proposta di legge per regolamentare il rapporto tra pubblico e privato nei beni culturali istituendo un circuito – ‘Italia in Scena’ – così da garantire una gestione non solo più qualitativa, ma anche più efficace, efficiente e sostenibile dal punto di vista economico-finanziario degli istituti, dei luoghi della cultura e dei beni culturali di pertinenza pubblica e promuovere la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale secondo il principio di sussidiarietà, con ampio utilizzo di strumenti di partenariato pubblico privato, specie per rendere attive situazioni di uso o valorizzazione insufficiente di piccoli borghi, aree interne, comuni montani e beni culturali non gestiti in modo adeguato”.

“In uno scenario in crescente evoluzione e accelerazione, il partenariato pubblico-privato è imprescindibile per un ampliamento dei servizi e una maggiore flessibilità focalizzata alla user experience del visitatore, per accompagnare l’evoluzione dei Musei in chiave 4.0”, sottolinea Riccardo Ercoli, Presidente di Aditus. “Nel ‘museo del futuro’, il ruolo del concessionario virtuoso si tradurrà sempre più nella capacità di sviluppare, offrire e gestire servizi integrati (come visite guidate, laboratori, mostre ed esibizioni temporanee, attività online) e rendere disponibili servizi esperienziali che possano soddisfare le nuove esigenze del visitatore italiano e straniero, favorendo la piena fruizione del patrimonio culturale anche presso gli enti museali minori e meno conosciuti. Questo dovrà avvenire dedicando particolare attenzione alla dimensione tecnologica e digitale, alla sostenibilità e alla formazione del personale dei Musei”.

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