Sono stati inaugurati oggi i monumentali saloni Selva-Lazzari delle Gallerie dell’Accademia di Venezia dedicati alla pittura del Seicento e Settecento, alla presenza del Ministro della Cultura Dario Franceschini, del Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia, dell’Assessore al Turismo del Comune di Venezia Simone Venturini, del Direttore generale Musei Mic Massimo Osanna, e del Direttore delle Gallerie Giulio Manieri Elia.
L’inedito percorso al pianoterra presenta una selezione di sessantatré opere, in parte mai esposte o mai ammirate dopo interventi di restauro compiuti per l’occasione. Tra i capolavori restaurati, il Castigo dei serpenti di Tiepolo, una tela lunga più di 13 metri proveniente dalla Chiesa veneziana dei Santi Cosma e Damiano; la Deposizione di Cristo dalla Croce dell’artista napoletano Luca Giordano, esposta per la prima volta all’interno della collezione permanente; la scena di Erminia e Vafrino scoprono Tancredi ferito di Gianantonio Guardi, unica tela di un ciclo ispirato alla Gerusalemme liberata di Tasso, rientrata in Italia dopo un complesso iter collezionistico; la Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte di Padovanino, presentata per la prima volta in assoluto al pubblico e riallestita a soffitto com’era originariamente; la Giuditta e Oloferne della pittrice veneziana Giulia Lama. Il nuovo percorso presenta temi e protagonisti particolarmente significativi della produzione pittorica del XVII e XVIII secolo, completando l’allestimento museale del pianterreno, che abbraccia un arco temporale dal Seicento all’Ottocento.
“Con questa iniziativa”, dichiara il direttore Giulio Manieri Elia, che ha curato il progetto insieme alla vicedirettrice Roberta Battaglia e con la collaborazione di Michele Nicolaci, “le Gallerie diventano il luogo privilegiato, nel panorama mondiale, per conoscere un tassello importante e ancora poco noto della storia dell’arte, in particolare della pittura a Venezia e nel Veneto nel Seicento, che per la prima volta viene rappresentata in museo con uno spazio interamente ad essa dedicato. Un’assoluta novità è anche l’allestimento del salone settecentesco che, accanto a capolavori inediti, presenterà una sorta di ‘museo nel museo’, riservato a uno dei geni dell’arte di sempre, Giambattista Tiepolo”.
La sala 5 ospita opere di grande formato del Seicento veneziano provenienti perlopiù da chiese e da edifici religiosi della città, tra cui le monumentali pale di Luca Giordano, come la Deposizione di Cristo dalla Croce, e di Pietro da Cortona con il restaurato Daniele nella fossa dei leoni. Accanto a questi capolavori, anche importanti esempi di Bernardo Strozzi, Nicolas Régnier, Sebastiano Mazzoni, di cui si espone l’inedita Strage degli Innocenti, appena acquistata dallo Stato.
All’interno della sala sono stati pensati alcuni focus tematici, come quello dedicato alla decorazione della chiesa veneziana dell’Ospedale degli Incurabili, andata distrutta nel 1831, di cui oggi viene presentata per la prima volta in assoluto la Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte di Padovanino. Visibile nella stessa sala anche l’ampio frammento della Parabola del banchetto di nozze di Bernardo Strozzi, anch’essa parte della decorazione degli Incurabili, acquisita dallo Stato nel 2016.
La sala 6 offre invece uno panoramica sulla variegata produzione pittorica veneziana del Settecento, con alcune sottosezioni tematiche. Apre il salone la scena di Erminia e Vafrino di Gianantonio Guardi, che viene ora presentata al pubblico dopo il restauro. La lunga parete sud della sala è dedicata a Tiepolo, di cui è esposto il monumentale Castigo dei serpenti, mentre altre due sezioni sono edicate al paesaggio e alla pittura di interno con le celebri scenette di Pietro Longhi. Tra i vari protagonisti c’è anche la pittrice veneziana Giulia Lama con Giuditta e Oloferne.
In entrambi i saloni viene proposta una grande attenzione al recupero della decorazione sei e settecentesca della Scuola della Carità, oggi inglobata nel percorso museale del primo piano. In particolare, dalla sala del Capitolo, oggi sala I del museo, provengono la Circoncisione di Gregorio Lazzarini e la Disputa di Cristo con i dottori di Gianantonio Fumiani, mentre dalla sala della Nuova Cancelleria proviene il ciclo di tele ispirate a storie del Vecchio Testamento, cui presero parte diverse personalità dell’Accademia veneziana di Belle Arti, tra cui Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista.
L’inaugurazione dei nuovi saloni è stata sostenuta da Venetian Heritage, con un finanziamento di 584,764,34 euro per l’intero allestimento e i restauri. Altri interventi di restauro sono stati finanziati dal Ministero della Cultura (Padovanino, Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte), da Intesa Sanpaolo nell’ambito del progetto Restituzioni (Pietro da Cortona, Daniele nella fossa dei leoni, Nicolas Régnier, Annunciazione) e da società private nell’ambito del progetto Rivelazioni di Borsa Italiana (Giulia Lama, Giuditta e Oloferne e Francesco Ruschi, Sant’Orsola).
L’impianto di illuminazione delle nuove sale a tecnologia LED completamente rinnovato si deve a iGuzzini illuminazione, da sempre specializzata nell’illuminazione dei beni culturali e museale.
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
Il nuovo allestimento delle sale Selva-Lazzari. Foto di Matteo De Fina |
“Le opere del Seicento esposte nel salone 5”, spiega Roberta Battaglia, vicedirettrice delle Gallerie dell’Accademia, “si pongono in stretta continuità con i dipinti seicenteschi di piccolo e medio formato, destinati al collezionismo privato, presentati in sala 3, mentre quelle del Settecento esposte nel salone 6 trovano completamento in quelli della sala 8 dell’ala palladiana, esemplificativi del successo internazionale riscosso da molti artisti operanti a Venezia nel Settecento (Sebastiano Ricci, Jacopo Amigoni, Canaletto, Bellotto). Giunge così a conclusione, a distanza di alcuni anni dall’impegnativo restauro del complesso monumentale diretto da Tobia Scarpa e Renata Codello, la sistemazione della collezione permanente, relativamente alle sezioni del Seicento, Settecento e Ottocento, negli ambienti che si sviluppano attorno al cortile palladiano. Il salone 5 è dedicato alla pittura del Seicento di grande formato, in prevalenza di destinazione ecclesiastica, giunta in museo a seguito delle demanializzazioni ottocentesche. Venezia, da sempre città aperta alla presenza di artisti ’foresti’, risulta segnata nel corso di quel secolo da fondamentali innesti di pittori stranieri, gli unici in grado di portare una ventata di novità all’interno di una tradizione artistica locale tendenzialmente conservatrice e poco incline ai cambiamenti, dominata nei primi due decenni dagli eredi delle grandi botteghe del secondo Cinquecento”.
Il percorso si apre con due dipinti provenienti dalla decorazione del soffitto della chiesa degli Incurabili: il grande ovale con la Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte di Padovanino, restaurato per l’occasione e per la prima volta esposto al pubblico, ancorato a cinque metri di altezza grazie ad un complesso sistema meccanico, ed il frammento con la Parabola del banchetto di nozze di Bernardo Strozzi, entrato nel museo a seguito di un recente acquisto da parte dello Stato. Della ritrattistica condotta da Strozzi a Venezia per importanti cariche dello Stato e della Chiesa offre una testimonianza il Ritratto di Giovanni Grimani, che richiama alla mente i grandi ritratti a figura intera di Pieter Paul Rubens e Antoon van Dyck, ammirati dall’artista nella sua Genova. Il ritratto introduce alla più importante opera di Strozzi delle Gallerie, ovvero la Cena in casa di Simone, originale riproposizione delle tradizionali “cene” della pittura veneziana, risalente al periodo genovese dell’artista.
Altro pittore giunto in laguna da altre zone d’Italia è il fiorentino Sebastiano Mazzoni, arrivato a Venezia negli anni Quaranta del Seicento. La sua originalità e la sua sregolatezza sono documentate da tre opere esposte in questa sala: la poco ortodossa Annunciazione, la Santa Caterina che rifiuta di adorare gli idoli, impostata con un ardito scorcio dal basso enfatizzato dalle presenze di architettura dipinta, e la Strage degli Innocenti, capolavoro da poco riemerso sul mercato e acquistato dal museo appena due mesi fa. Proseguendo, s’incontrano Nicolas Régnier e Pietro Vecchia, mentre tra le maggiori sorprese che l’allestimento di questa sala riserva è l’ingresso nella collezione permanente del museo di due importanti pale, il Daniele nella fossa dei leoni di Pietro da Cortona, e la Deposizione di Cristo dalla Croce di Luca Giordano, risalenti entrambe agli anni Sessanta del Seicento: costituiscono due esempi avanzatissimi dell’arte europea del secolo, destinati in diverso modo a dialogare con gli sviluppi della pittura veneziana nella seconda metà del Seicento. Accanto alla pala di Luca Giordano trovano posto due tele di tema biblico di Francesco Solimena, in cui la lezione di Giordano e Mattia Preti si coniuga con il classicismo romano di Carlo Maratti: provenienti da una importante collezione veneziana, quella dei Baglioni, sono testimoni della speciale preferenza accordata al pittore campano da parte dei collezionisti veneziani nel tardo Seicento. La loro collocazione in chiusura del salone del Seicento intende creare un legame con la formazione di Piazzetta e Tiepolo, dei quali si espongono opere nella sala vicina, la sala 6.
Il salone 6 è dunque interamente dedicato alla pittura veneta del Settecento. Il percorso comincia con Erminia e Vafrino scoprono Tancredi ferito di Gianantonio Guardi, sistemato in apertura perché altamente rappresentativo dell’intonazione lievemente frivola ed elegante del Rococò veneziano, così da segnare un netto stacco rispetto alla pittura di alto contenuto drammatico del secolo precedente. Nel prosieguo del percorso i dipinti sono stati organizzati in raggruppamenti coerenti (per tema, per genere o per artista) sfruttando la scansione dello spazio in tre navate, determinata dalla disposizione di pilastri ottagonali allineati longitudinalmente. Nella navata di destra ecco dunque la grande pittura di storia interpretata da Giambattista Tiepolo: le opere tiepoleschie sono precedute da una Giudita e Oloferne di Giulia Lama, espressione di una personalità singolare, anticonformista, afflitta da ansie oscure che trovano espressione anche nella poesia a lungo frequentata. La sequenza di opere di Tiepolo, disposte secondo una scansione cronologica, comincia con le quattro raffinate mitologie giovanili, eseguite nei primi anni Venti, che testimoniano la grande curiosità, fantasia e arguzia con cui il pittore si accosta al testo ovidiano: il Ratto di Europa; Diana e Atteone; Diana e Callisto; il Giudizio di Mida. Segue il Castigo dei serpenti, tela di oltre 13 metri di lunghezza, risalente alla prima metà degli anni trenta della cui felicità pittorica si può ora godere pienamente grazie ad un intervento di restauro che ha eliminato l’interferenza visiva data dalle molte lacune che ne solcavano la superficie. Concludono la sequenza tre pale d’altare tiepolesche, di non grandi dimensioni, che testimoniano la produzione religiosa dell’artista, rivalutata dalla critica in tempi relativamente recenti.
Nella navata di sinistra si trova una lunga infilata di paesaggi testimonianza del successo commerciale avuto dal genere pittorico nella Venezia del Settecento grazie all’attività di artisti, in prevalenza “foresti”, che interpretano il tema con sensibilità e modalità diverse. La sezione è aperta da un grande dipinto del genovese Alessandro Magnasco, realizzato in collaborazione con l’anconetano Antonio Francesco Peruzzini, che si occupò del paesaggio ritraendo il rigoglioso bosco. La serie prosegue con una coppia di paesaggi del bellunese Marco Ricci, nipote del celebre Sebastiano Ricci, che seppe attingere dalla tradizione paesistica della pittura cinquecentesca, specie di Tiziano di cui era grande ammiratore, una spiccata capacità di osservazione di ambienti naturali, colti in un particolare momento del giorno, della stagione, nonché delle condizioni atmosferiche. Seguono sulla stessa parete due tele di Francesco Zuccarelli, conservate in villa Pisani a Strà alla fine del Settecento: il Ratto d’Europa e il Baccanale. Zuccarelli, approdato a Venezia nel 1732, dopo altre esperienze condotte in Toscana, sua terra di origine, e a Roma, beneficiò della recente scomparsa di Marco Ricci e degli stretti rapporti con la clientela inglese già intrattenuti dal collega, ereditando le numerose richieste del mercato. Completano la parete alcune tele di Giuseppe Zais, originario dell’agordino, che a Venezia svolse una carriera più appartata rispetto a Ricci e Zuccarelli, da cui trasse comunque ispirazione.
Lo spazio centrale è dedicato alla pittura di genere e ai ritratti, a cominciare dalle sei scenette di Pietro Longhi che ritraggono con ironia ma senza intenti moralizzanti la società aristocratica del tempo, attentamente osservata mentre svolge le consuete attività nel chiuso dei palazzi, entro ambienti privi di finestre, di luce e di aria. Spostandosi di pochi passi nello spazio centrale ecco il Ritratto di Almorò III Alvise Pisani e la sua famiglia di Alessandro Longhi, figlio di Pietro, saggio impegnato della giovinezza del pittore improntato ai modi del padre e ispirato allo schema anglosassone delle conversation pieces. Completa la rassegna della ritrattistica settecentesca il Ritratto del conte Giovanni Battista Vailetti di fra’ Galgario, artista bergamasco che soggiornò in più tempi anche a Venezia. Sempre nello spazio centrale, sui pannelli disposti in senso longitudinale si fronteggiano due scene di genere risolte con toni di idillio campestre: da un lato la celebre Indovina di Piazzetta, cui ha molto giovato un recente restauro, dall’altro il Solletico di Giuseppe Angeli, una composizione di stretta osservanza piazzettesca. Piazzetta ritrae una giovane e sensuale popolana in atto di trattenere sotto il braccio un vivace cagnolino che tenta di sgusciare via forse attratto dal gesto della donna di spalle, mentre due giovani nel fondo confabulano tra loro. La discendenza di Giuseppe Angeli da Piazzetta, di cui fu allievo nonché principale erede alla morte del maestro, è evidente anche nella grande tela con la Madonna con Bambino tra i santi Rocco e Giovanni Evangelista, relativa a un momento più tardo della sua produzione. Il dipinto, destinato alla Scuola della Carità, il cui stemma è raffigurato alla base del trono, è esposto in posizione centrale sulla parete di fondo della sala, accompagnato ai lati da due tele di Giandomenico Tiepolo e Giambettino Cignaroli, anch’esse provenienti dalla Scuola della Carità e appartenenti al ciclo decorativo della sala della Nuova Cancelleria. I due dipinti, pressoché coevi, mirano a testimoniare la convivenza di due diverse anime del Settecento e offrire due sguardi diversi sulle storie dell’antico Testamento: in Giandomenico Tiepolo si assiste alla fresca osservazione del reale e del comportamento umano, non esente da note di scherzoso divertimento, come nella rappresentazione dell’improvviso stupore di Sara, raffigurata come una semplice contadina che ha appena apparecchiato una rustica mensa sotto le fronde dell’albero, sorpresa dall’apparizione degli angeli e non meno; dall’altra la scena della morte di Rachele interpretata come un solenne compianto con grande enfasi posta sulla retorica dei gesti e degli sguardi. Da un lato una commedia briosa e vivace, recitata con la freschezza pittorica e la vitalità guizzante del segno di Tiepolo, dall’altra la messa in scena di un dramma familiare centrato sulla retorica degli affetti, espressa attraverso pose studiate, in uno stile classicista che già preannuncia una sensibilità di gusto neoclassico.
Pietro da Cortona, Daniele nella fossa dei leoni (1663-1664). © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Marco Ambrosi, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Luca Giordano, Deposizione di Cristo dalla Croce (1665 circa) © G.A.VEArchivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - allerie dell’Accademia di Venezia |
Gianantonio Guardi, Erminia e Vafrino scoprono Tancredi ferito (1750-1755 circa) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Giulia Lama, Giuditta e Oloferne (1725-1730 circa) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Padovanino, Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte (1636-1637) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Bernardo Strozzi, Parabola del banchetto di nozze, frammento (1636 circa) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Giambattista Tiepolo, Ratto di Europa (1720-1721 circa) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Giambattista Tiepolo, Castigo dei serpenti (1732-1734 circa) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |
Giandomenico Tiepolo, Apparizione dei tre angeli ad Abramo (1773) © G.A.VE Archivio fotografico, foto di Matteo De Fina, su concessione del Ministero della Cultura - Gallerie dell’Accademia di Venezia |