Un nuovo dipinto entra nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi: è l’Enigma di Omero, opera del maestro cinquecentesco bolognese Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - 1592), ritenuto perduto da secoli. Il dipinto sarà esposto a breve nelle nuove sale del museo fiorentino dedicate alla pittura del Cinquecento di prossima apertura. Era noto solo attraverso descrizioni di alcune fonti storiche e alcuni disegni preparatori e d’après.
Bartolomeo Passerotti si formò tra Bologna e Roma, prima al seguito di Iacopo Barozzi detto il Vignola, poi con il coetaneo Taddeo Zuccari. Nell’Urbe approfondì il disegno dall’antico e si perfezionò nelle incisioni ad acquaforte. Rientrato stabilmente a Bologna prima del 1560, si dedicò all’esecuzione di grandi pale d’altare dove elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e, soprattutto, delle opere modenesi del Correggio. Significativa fu la sua attività di ritrattista, che gli valse numerose commissioni da parte dei personaggi celebri e influenti. I suoi interessi naturalistici e lo studio assiduo dal vero, stimolato dall’amicizia col celebre botanico e entomologo Ulisse Aldrovandi, ne fecero un artista fondamentale per la formazione dei Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.
Primo biografo di Bartolomeo Passerotti è Raffaello Borghini, che nella sua opera Il Riposo (1584) riporta una dettagliata descrizione del dipinto: "un quadro grande in tela di colorito gagliardo a olio, dove sono in una barca i marinari che propongono l’enigma a Omero, che è sul lito; e da altra parte è una zingana e nel viso d’Omero ha il Passerotto ritratto se stesso e vi si veggono naturalissime l’acque del mare et alcune conche marine et un cane che par vivo”. Secondo la testimonianza dello stesso biografo, il quadro era nel palazzo del letterato fiorentino Giovanni Battista Deti (1539-1607), collezionista e dilettante d’arte, membro fondatore dell’Accademia della Crusca e autore del primo Vocabolario della Crusca. Nel 1677 Giovanni Cinelli ricorda il dipinto nel palazzo di famiglia del senatore fiorentino Carlo Torrigiani (1616-1684), ma non fu riconosciuta la descrizionde del dipinto che era stata compiuta da Borghini, confondendo persino il soggetto rappresentato: un quadro “entrovi un Orfeo, che con la lira in mano trae alla riva dal mare una nave con cinque figure dentro, rapite dalla dolcezza ed armonia di quel suono, opera molto vaga".
Si perdono quindi le tracce dell’opera: negli studi moderni sul Passerotti, L’enigma di Omero si considerava perduto. Almeno finora: è stato infatti rintracciato presso la famiglia degli eredi di Carlo Torrigiani.
Nella seconda metà del Cinquecento il mito di Omero conobbe grande fortuna: ne sono esempi i grandi cicli di affreschi come quello di Giorgio Vasari e Giovanni Stradano in Palazzo Vecchio a Firenze, o la decorazione di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. Più raro rispetto alle scene tratte dall’Iliade e dall’Odissea, l’episodio dell’Enigma di Omero è riportato nelle edizioni in greco della Vita Homeri dello Pseudo-Plutarco, stampate più volte nel corso del Cinquecento. Si narra che Omero, quando si trovava sull’isola di Ios, sedendo su una roccia in riva al mare, vide arrivare una nave di pescatori, ai quali chiese se avessero fatto buona pesca. Gli uomini, che non avevano pescato nulla ed erano intenti a spidocchiarsi, risposero così, con questo enigma: “Quel che abbiamo preso, lo abbiamo lasciato, quel che non abbiamo preso, lo abbiamo tenuto”. La risposta all’enigma era i pidocchi, alludendo da una parte a quelli che erano riusciti ad eliminare e gettare in mare, dall’altra a quelli che non erano riusciti a togliere e portavano ancora addosso. Secondo il racconto dello Pseudo-Plutarco, Omero si arrovellò a tal punto sull’indovinello, senza venirne a capo, che ne morì.
Il dipinto è stato presentato questa mattina insieme a un volume monografico dedicato, pubblicato dagli Uffizi, alla presenza di Eike Schmidt, direttore delle Gallerie, Daniele Benati, professore ordinario di Storia dell’arte moderna e Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Storici Artistici dell’ateneo bolognese, e degli autori; all’iniziativa hanno preso parte anche il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e l’assessore regionale alla Cultura dell’Emilia Romagna Mauro Felicori.
“Il ritrovamento di questo dipinto è di tale importanza che, nell’occasione della sua acquisizione da parte delle Gallerie, ad esso è stato appositamente dedicato un libro, che presentiamo oggi insieme al dipinto” ha spiegato Schmidt. “Se l’acquisto di un’opera ricordata nelle più antiche guide di Firenze è di per sé un intervento teso a proteggere il nostro patrimonio dalla dispersione, il volume è un’ulteriore prova dell’intensa attività di ricerca promossa dal museo”.
“L’acquisto di questo importantissimo dipinto di Bartolomeo Passerotti” ha aggiunto Giani, “dà il senso di una Galleria degli Uffizi che si allarga sempre di più. Da un lato l’obiettivo è sviluppare il progetto degli Uffizi in Toscana con l’esposizione delle sue opere in immobili di grande pregio, che diffondono il senso di attrazione verso la collezione in tutta la regione; dall’altro, quello di sviluppare l’illustrazione di un panorama di artisti italiano di assoluto significato e grandissimo prestigio, come testimonia questa acquisizione del pittore bolognese”.
Il pittore, il poeta e i pidocchi. Bartolomeo Passerotti e l’Omero di Giovan Battista Deti (Sillabe, 2020, pp. 248) è il volume monografico curato da Marzia Faietti che contiene studi approfonditi di un gruppo di specialisti dell’arte bolognese provenienti dall’Università degli Studi di Bologna: Vera Fortunati, Angela Ghirardi, Federico Condello, Donatella Fratini, Roberto Bellucci.
Immagine: Bartolomeo Passerotti, L’enigma di Omero (1570-1575 circa; olio su tela, 120 x 144 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Capolavoro del '500 ritenuto perduto da secoli entra nelle collezioni degli Uffizi |