Si chiamava con tutta probabilità Alkedo, cioè “alcione”, il nome di un uccello tipico delle zone di mare. Ed è probabilmente la più nota delle navi romane scoperte nei dintorni di Pisa. Una grande nave in leccio e pino naufragata nel I secolo d.C., una nave fluviale di epoca imperiale, lunga 12 metri, la cui funzione ancora non è nota: aveva la forma delle navi da guerra, ma non aveva uno sperone sulla prua, ragione per cui era probabile che fosse un’imbarcazione da ricognizione, una nave che serviva per il pattugliamento dei fiumi. Le è stato attribuito questo nome perché, su una delle panche dei rematori, è stata trovata l’iscrizione “ALK(E)DO”.
Il relitto dell’Alkedo è oggi conservato al Museo delle Navi Antiche di Pisa, un luogo che custodisce tesori inestimabili del passato marittimo romano. Quello che rimane della nave è esposto assieme a una sua ricostruzione. La storia affascinante di questa nave, che ha attraversato duemila anni di storia giungendo fino a noi, ci offre uno sguardo approfondito sulla vita fluviale (ma anche su quella marittima) all’epoca dell’Impero romano.
Nel 1998, durante i lavori per la costruzione di un centro di controllo della linea ferroviaria Roma-Genova nei pressi della stazione di Pisa San Rossore, gli operai si imbatterono in un sito archeologico di straordinaria importanza. Gli scavi portarono alla luce una serie di relitti di navi romane, tra cui l’Alkedo, che si distingueva per il suo sorprendente stato di conservazione. Inoltre, la scoperta del nome, cosa rara per una nave così antica, dava all’imbarcazione un’identità precisa, suggerendo un legame simbolico con l’uccello marino noto per la sua velocità e per la sua agilità.
Il sito, situato in prossimità dell’antico corso del fiume Serchio, ha rivelato una stratigrafia complessa, con tredici fasi che vanno dal VI secolo a.C. al VII secolo d.C. In particolare, l’Alkedo appartiene alla Fase IV (1-15 d.C.), periodo caratterizzato da una grande alluvione che causò il naufragio di diverse imbarcazioni. La presenza di navi di varie tipologie e dimensioni suggerisce che l’area fungesse da porto fluviale, utilizzato sia per scopi commerciali che militari.
Le navi romane di Pisa sono state ritrovate in un contesto geologico che racconta la storia del paesaggio fluviale della zona. La città di Pisa, all’epoca romana, non aveva un porto fluviale vero e proprio, ma un’area di approdo per il commercio che veniva regolarmente interessata da inondazioni, come attestato dalla presenza di numerosi strati di sabbia e argilla. Queste alluvioni, che hanno caratterizzato la storia del sito dal VI secolo a.C. al V d.C., sono state fatali per molte navi, tra cui la Alkedo.
La dinamica del naufragio della Alkedo risulta quindi legata a una di queste violente alluvioni, databile intorno all’età augustea, probabilmente alla fine del I secolo a.C. o all’inizio del I secolo d.C. Gli studi paleoambientali hanno fornito importanti indicazioni sulla vegetazione dell’epoca, evidenziando la presenza di piante tipiche degli ambienti umidi, come ontani e querce caducifoglie, a ulteriore conferma della natura fluviale del porto. L’interpretazione del sito suggerisce che il porto fosse utilizzato principalmente per scopi commerciali. Pisa, grazie alla sua posizione strategica tra il fiume Serchio (l’antico Auser) e l’Arno, aveva stretti legami con il mondo mediterraneo, come testimoniano i numerosi reperti, tra cui oggetti di importazione corinzia e oggetti etruschi. Strabone, lo storico greco, parlava dei fiorenti commerci di Pisa, e questi ritrovamenti lo confermano.
L’Alkedo è una nave lunga circa 12 metri, costruita principalmente in legno di leccio e pino, con un inserto di rovere nella prua. La scelta di questi materiali non era casuale: il leccio e il pino garantivano leggerezza e flessibilità, mentre il rovere, noto per la sua robustezza, offriva maggiore resistenza alle sollecitazioni meccaniche nella parte anteriore della nave. La struttura leggera e affusolata dell’Alkedo, unita alla presenza di dodici postazioni per rematori (cinque banchi da due, più due mezzi banchi per lato, un assetto tipico delle barche da fiume chiamate hemioliai, piccole e veloci navi da combattimento di origine ellenica), indica che l’imbarcazione era progettata per la velocità e l’agilità, caratteristiche essenziali per operazioni di ricognizione, pattugliamento fluviale e forse anche per il trasporto rapido di persone o merci leggere.
Un altro aspetto notevole della Alkedo è il suo albero, che doveva essere supportato da sei sartie, e probabilmente sorreggeva una vela quadrata di circa 8 metri di larghezza e 4,5 metri di altezza, con un pennone di 8,60 metri. Questo elemento suggerisce ulteriormente che la nave fosse progettata per una navigazione veloce e versatile, sia a remi che a vela.
Inoltre, un aspetto particolarmente affascinante dell’Alkedo è la presenza di tracce di pigmento rosso e bianco sulle fiancate esterne, evidenziando che la nave era originariamente decorata con colori vivaci. Questi dettagli cromatici non solo avevano una funzione estetica, ma potevano anche servire a identificare l’imbarcazione, rappresentare simboli di appartenenza a una specifica flotta o famiglia, o persino avere significati rituali o apotropaici, destinati a proteggere la nave e il suo equipaggio durante la navigazione. Le tracce di colore hanno consentito anche studiare le tecniche di calafataggio dello scafo, ovvero l’impermeabilizzazione, eseguita con l’utilizzo di pece, anziché della più comune resina (che avrebbe alterato i colori della pittura). La nave era dotata anche di una pompa di sentina, che serviva per svuotare lo scafo dall’eventuale presenza di acqua.
Sulla nave sono stati rinvenuti anche dei reperti. Tra quelli più affascinanti c’è un ammasso di cuoio letto dallo studioso Andrea Camilli come un antico giaccone in pelle, di un tipo tutt’altro che pregiato, forse usato da un marinaio (il fatto che sia stato ritrovato come un cumulo di fogli è dovuto al fatto che il suo proprietario, prima che la nave naufragasse, lo aveva piegato e riposto probabilmente sotto una panca): la foggia dell’indumento, troppo ingombrante per far pensare un utilizzo militare e con rinforzi funzionali, rafforzerebbe l’idea che la nave fosse adoperata per altri scopi, per esempio il trasporto di merci (il giaccone è stato infatti ritenuto più adatto a un portuale che a un soldato). Altri reperti, come anfore di origine betica per il trasporto del garum (una salsa di pesce molto pregiata nell’antichità) e del vino, arricchiscono ulteriormente il quadro della vita a bordo.
L’Alkedo, come detto, incontrò il suo destino durante una delle frequenti alluvioni che colpirono la regione nel I secolo d.C. Le acque tumultuose del fiume la trascinarono, causando il suo affondamento e la successiva sepoltura nei sedimenti fluviali. Paradossalmente, proprio questo evento catastrofico ha permesso la straordinaria conservazione della nave fino ai giorni nostri. I depositi alluvionali hanno creato un ambiente anaerobico che ha rallentato il processo di decomposizione del legno, preservando gran parte della struttura originale. Questo tipo di conservazione è relativamente raro e offre agli archeologi l’opportunità di studiare dettagli costruttivi e tecniche navali altrimenti perduti nel tempo.
Il recupero dell’Alkedo ha rappresentato una sfida tecnica e logistica notevole. Gli archeologi hanno dovuto operare con estrema delicatezza per evitare danni alla fragile struttura lignea. Dopo il recupero, la nave è stata sottoposta a un lungo e meticoloso processo di restauro, che ha incluso il trattamento del legno con sostanze conservanti. Questi interventi sono stati fondamentali per stabilizzare la struttura e prevenire ulteriori deterioramenti, permettendo così la sua esposizione al pubblico. Oggi, l’Alkedo, l’“ammiraglia” come viene spesso definita, è uno dei reperti più preziosi e rappresentativi del Museo delle Navi Antiche di Pisa, ed è esposta accanto a una replica a grandezza naturale che offre ai visitatori una visione completa di come doveva essere in origine. Questa presentazione consente di apprezzare non solo le dimensioni e la forma della nave, ma anche di comprendere meglio le tecniche costruttive e le funzionalità.
La nave Alkedo è una finestra straordinaria sull’antica Roma, una testimonianza della vita fluviale e commerciale di un’epoca lontana. Il suo restauro e la sua conservazione hanno permesso di arricchire il patrimonio archeologico di Pisa, offrendoci un oggetto di studio fondamentale per conoscere la marineria degli antichi romani. La sua presenza nel Museo delle Navi Antiche di Pisa rappresenta un legame tangibile con un mondo che, seppur lontano, ci parla ancora attraverso il legno consumato dalle onde e i reperti lasciati da chi navigava lungo le acque fluviali dell’antica Roma.
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