Dal 29 maggio al 2 settembre 2019 presso Visionarea Art Space di Roma verrà presentata la mostra Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, grande artista scomparso pochi giorni fa.
Saranno esposte undici sue opere realizzate tra il 1965 e il 2004: una selezione compiuta dallo stesso artista per raccontare la sua produzione creativa.
Le opere di Balestrini rompono gli schemi dell’arte, sono rivoluzione, frammenti di contemporaneità colti in determinati momenti.
La rassegna è curata da Luigi De Ambrogi in collaborazione con la Galleria Emilio Mazzoli di Modena e sostenuta dalla Fondazione Cultura e Arte, ente strumentale della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale.
"Sono lieto di contribuire a dare oggi, con questa mostra, un ultimo e doveroso omaggio alla figura e all’arte di Nanni Balestrini, purtroppo scomparso appena pochi giorni fa. Egli è stato incontrovertibilmente uno degli intellettuali più importanti del periodo delle contestazioni sociali e delle battaglie politiche degli anni Sessanta: poeta, scrittore, saggista e infine anche artista, ha dato vita ad una produzione culturale variegata, dal piglio sempre sperimentale e spesso impegnata politicamente. Questa mostra, ricca dei suoi collages ma anche di significative opere su tela e su tavola, non a caso porta il titolo del suo romanzo più famoso, Vogliamo tutto (1971), divenuto il manifesto di un intero decennio. Balestrini è stato, a mio parere, uno dei più energici e provocatori “artisti totali” del secondo Novecento, cantore di un’epoca che ha cambiato radicalmente non soltanto l’arte, ma anche la nostra società" ha commentato il Presidente della Fondazione Terzo Pilastro.
Achille Bonito Oliva ha così scritto dell’arte di Nanni Balestrini: "La scultura, sarebbe il farsi-corpo di luoghi che, aprendo una contrada e custodendola, tengono raccolto intorno a sé un che di libero che accorda una dimora a tutte le cose e agli uomini un abitare in mezzo alle cose (Martin Heidegger).
Ecco l’emblema filosofico di Nanni Balestrini che individua la possibilità di fondare un luogo dell’arte non circoscritto ai generi tradizionali, non ancorato al semplice riferimento della poesia, pittura, della scultura, del disegno e della pura architettura. In questo caso l’opera non è il frutto di uno sconfinamento o di un intreccio linguistico, bensì il risultato di una fondazione di un diverso spazio estetico, in cui non contano soltanto i singoli lacerti linguistici. Una pulsione wagneriana ha attraversato tutte le esperienze creative delle avanguardie storiche, e anche di alcune neoavanguardie del secondo dopoguerra, circa la possibilità di un’arte capace di totalizzare dentro di sé un ventaglio di linguaggi diversi tra loro e comunque intessuti in una interagenza spettacolare. Un desiderio di onnipotenza attraversa il processo creativo dell’arte dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino alle esperienze del nostro secolo. Il linguaggio diventa l’attrezzo adeguato per proporre un confronto tra arte e vita, intesa come campo della complessità a cui è possibile contrapporre un’altra complessità, quella dell’opera appunto, fatta di relazione tra linguaggi diversi.
L’arte erge una sorta di diga estetica contro l’inerzia dell’esistente o perlomeno costruisce un confine interno, percorribile in uno spazio e un tempo reali. Se generalmente l’esperienza artistica fonda una temporalità e una spazialità metaforica, indicante un periplo di pura fantasia, la costruzione di un luogo intrecciato intorno all’uso di vari linguaggi permette invece una possibilità di concretezza contemplativa che sostituisce il rapporto col quotidiano, seppure momentaneamente. In qualche modo l’arte diventa la possibilità di spingere la vita verso una concreta impossibilità di articolarsi così come è.
L’opera fonda un confine circolare dentro cui si compiono reali relazioni e spostamenti. Lo spostamento riguarda l’esperienza psicosensoriale dell’artista e dello spettatore che si muove dentro un campo mobile di relazioni, realizzato dal sistema complesso di segni codificati (parole tratte da giornali) e riciclati dal poeta. Lo statuto della complessità diventa una componente che accompagna la costruzione di un’opera che non vuole sfidare la realtà sul versante della verosimiglianza, ma piuttosto della contrapposizione antagonista capace di creare stupefazione e meraviglia. Le avanguardie storiche e quelle più recenti del secondo dopoguerra hanno adottato tale tentazione, come attitudine possibile che introduce un ulteriore tema, quello della costruzione dell’opera. Ma per essere una costruzione moderna, è necessario per l’artista introdurre un rapporto con la tecnica ineludibile. La tecnica del riciclaggio acquista il compito di fondare un’ulteriore produzione rispetto a quella che normalmente realizza. Nell’opera assume il ruolo di un mezzo piegato a un fine contemplativo e di possibile registrazione di un diverso rapporto con la complessità del mondo. Viene scardinato così il principio di una comunicazione frontale con l’opera, poggiante semplicemente su di uno scambio di tipo razionale, e proposto invece un commercio diverso capace di ben altre implicazioni. D’altronde esiste per l’arte contemporanea il problema del tempo, inteso come accelerazione e velocità, che impedisce l’assunzione di un impossibile silenzioso stato di contemplazione fissato semplicemente nella zona dello sguardo mentale".
Per info: www.visionarea.org
Immagine: Nanni Balestrini, Lezione di Fisica (2002)
Titolo mostra | Vogliamo tutto | Città | Roma | Sede | Visionare Art Space | Date | Dal 29/05/2019 al 02/09/2019 | Artisti | Nanni Balestrini | Curatori | Luigi De Ambrogi | Temi | Novecento |
Visionarea Art Space di Roma omaggia Nanni Balestrini, scomparso pochi giorni fa |