La più grande mostra di sempre dedicata all’arte a Carrara nel primo Novecento: è Novecento a Carrara. Avventure artistiche tra le due guerre, la rassegna che anima la stagione espositiva toscana dal 24 giugno al 29 ottobre a Palazzo Cucchiari, sede della Fondazione Giorgio Conti nel centro storico di Carrara. La mostra, a cura di Massimo Bertozzi e organizzata dalla Fondazione Giorgio Conti, è un progetto inedito, che parte da una considerazione: Carrara è sempre stata associata alla scultura, che qui ha tradizioni antichissime, benché le prime botteghe importanti risalgano solo al Settecento: quella di scolpire il marmo è comunque un’abitudine plurisecolare che si è adeguata, nel tempo, alle trasformazioni dei linguaggi espressivi, e che è sempre stata fondata sulla trasmissione delle tecniche e su di una grande abilità manuale. Ma a Carrara non c’è solo la scultura: la città, nel primo scorcio del XX secolo, è stata infatti un fecondo polo artistico dove si sono incontrati molti dei più grandi pittori e scultori.
Dunque, nelle eleganti sale dell’ottocentesco Palazzo Cucchiari, sarà possibile ammirare oltre 120 opere sia di scultura (in marmo, bronzo, gesso, terracotta), sia di grafica (dipinti, disegni, pastelli), con l’intento di fornire la più ampia veduta possibile di una stagione artistica di grande rilievo nella città toscana. Dedicata ai percorsi di aggiornamento dei linguaggi figurativi e del panorama artistico carrarese nella prima metà del secolo scorso, l’esposizione si dipana attraverso due direttrici artistiche: da un lato quella della linea che dal liberty porta al Novecentismo e all’astrattismo; dall’altra quella del volume, dal solido verismo al poetico naturalismo e alla “frammentazione spaziale”, in un continuo intrecciarsi tra scultura, pittura ed espressioni artistiche limitrofe. La mostra Novecento a Carrara, nei due piani di Palazzo Cucchiari, segue queste linee, esponendo opere dei più grandi artisti della prima parte del secolo, come Libero Andreotti, Leonardo Bistolfi, Carlo Carrà, Moses Levy, Arturo Marini, Gino Severini, Mario Sironi, Ardengo Soffici, Lorenzo Viani, RAM, Thayaht, Fausto Melotti e diversi artisti della scuola locale come Arturo Dazzi, Carlo Fontana, Sergio Vatteroni, Domenico e Resita Cucchiari, fino ad arrivare a un pioniere dell’astrazione monumentale come Carlo Sergio Signori.
Le opere in prestito arrivano da collezioni private e musei come gli Uffizi, la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti di Firenze, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Mart di Rovereto, il Museo del Novecento di Milano, il Museo Novecento di Firenze, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Viareggio, il Museo Civico di Casale Monferrato, l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma.
Il racconto della mostra comincia con Leonardo Bistolfi che ai primi del Novecento introdusse a Carrara, nei suoi laboratori, nel bagaglio tecnico e formale dei suoi artigiani, i temi e i modelli della scultura simbolista, il gusto per la linea e la composizione bidimensionale che contribuì a rinnovare il linguaggio della scultura, almeno fino a quando i primi segnali del ritorno all’ordine dopo la prima guerra mondiale avrebbero indirizzato anche i laboratori carraresi lungo i percorsi di ricomposizione classica della forma.
Nel corso degli anni Trenta (il decennio sul quale si concentra la più parte dell’esposizione) giunsero a Carrara la purezza classica di Francesco Messina e le forme novecentiste di Mario Sironi e Fausto Melotti (che è presente in mostra a Palazzo Cucchiari anche con una delle sue prime sperimentazioni astratta, sempre degli anni Trenta). Nello stesso periodo si registra anche l’arrivo di Arturo Martini che, proprio grazie a Carrara, al rapporto con gli studi e gli artigiani apuani, scoprì inaspettate possibilità di rinvigorire, dall’interno e proprio in rapporto a quello che sembra il materiale più compromesso, l’arte della scultura. La mostra dà quindi modo di apprezzare il Martini che allude al processo di scomposizione della forma, che si arrovella intorno alla funzione plastica delle ombre, che concepisce e chiude in una forma l’Atmosfera di una testa, lo scultore che intuisce che la scultura di domani sarà quella che sta facendo il suo allievo, Alberto Viani, è che è tuttavia convinto di dover consumare fino in fondo ogni potenzialità espressiva della figura. Lo stesso Viani sarebbe arrivato a Carrara per dare consistenza marmorea ai morbidi volumi dei suoi gessi.
Nel frattempo, la scultura astratta aveva trovato un’altra via per approdare al marmo carrarese. Nel 1946 giunse da Parigi Carlo Sergio Signori, con l’esigenza di realizzare il Monumento ai fratelli Rosselli per Bagnoles-de-l’Orne (il primo monumento dell’arte europea in forma astratta) e l’esatta misura della capacità di rinnovare una tradizione antica è data proprio da quello potrebbe apparire solo un episodio occasionale, perché alla fine non sarà solo per caso che il primo monumento astratto d’Europa venga realizzato a Carrara e in un materiale in forte sospetto di passatismo. Così Carlo Sergio Signori, “parigino” di Milano, diventerà “carrarino”, inserendosi dentro la tradizione dei marmorari, ma in urto con la tradizione accademica, com’era quella della continuità tra Carlo Fontana, Arturo Dazzi e la loro numerosa progenie che è fatta le ossa nei grandi cantieri pubblici e nel proliferare di monumenti negli anni Trenta: Valmore Gemignani e Sergio Vatteroni, Aldo Buttini e Romeo Gregori, e poi Francesco Piccini, Giorgio Salvi, Luigi Venturini, per finire con i “professori”, continuatori anche dell’insegnamento scolastico, Alderige Giorgi, Ugo Guidi, Felice Vatteroni.
Ai percorsi della scultura si intrecciano poi quelli della pittura, talvolta come disciplina parallela dello stesso artista (praticano la pittura con assiduità scultori come Arturo Dazzi, Sergio Vatteroni, Carlo Sergio Signori, Arturo Martini), mentre per altro verso il pittore Mario Sironi si fece a Carrara sporadico “scultore”. Così come alcune suggestioni all’aggiornamento della pittura arrivano a Carrara per il tramite degli scultori, Dazzi e Carrà e Soffici, Signori e Magnelli e Severini. E poi la crescita dei pittori nel panorama accademico, con l’emergere di una figura come quella di Pietro Pelliccia che dell’Accademia carrarese diventerà, primo tra i pittori, direttore. Accompagnati da quelli per i quali Carrara, le sue cave e i suoi paesaggi diventano motivo pittorico, a cominciare da Lorenzo Viani, protagonista della “Repubblica di Apua”, a cui è dedicata una sala della mostra, ma anche amico di Arturo Martini che con il ritratto del viareggino realizzerà una delle sue prime opere in marmo. Questi sarebbe stato accompagnato da una lunga serie di pittori: alcuni “indigeni” come Giuseppe Viner o Giulio Marchetti e Gino Montruccoli; altri, invece, “forestieri” come Domenico Cucchiari, Uberto Bonetti, Ernesto Michahelles (Thayaht).
In quegli anni i giovani che studiano all’Accademia di Belle Arti trovarono facilmente la possibilità di completare la propria formazione frequentando i laboratori, dove è possibile perfezionare il mestiere e nello stesso tempo assistere alla realizzazione di ogni sorta di scultura, conoscere gli artisti, vedere all’opera gli artigiani. Un contesto in cui tutti insegnano qualcosa proprio mentre sono lì per imparare qualcos’altro: perché la scultura si impara solo dove si fa.
La mostra si conclude agli anni della ricostruzione, sulle soglie della “seconda modernità” italiana, quando con il boom economico e il Concilio che rilancia la funzione sociale oltre che religiosa dell’arte sacra, per la scultura e il marmo carrarese si apre una nuova stagione.
“Con la mostra 900 a Carrara. Avventure artistiche tra le due guerre, la Fondazione Giorgio Conti”, dichiara la presidente Franca Conti, “accoglie nelle sale di Palazzo Cucchiari un nuovo capitolo della lunga storia del marmo e della cultura figurativa carrarese. A seguito delle mostre Canova e i Maestri del Marmo e Dopo Canova. La scultura a Firenze e a Roma, le nostre sale danno luogo a un percorso espositivo suggestivo, ben articolato e molto indicativo per la storia moderna di Carrara, attraverso gli sviluppi delle sue tradizioni artistiche e culturali. Raccontato da un punto di vista del tutto particolare, lo sviluppo economico e sociale di Carrara e della regione apuana nella prima metà del secolo scorso, fa da teatro all’intreccio dei percorsi di ricerca di alcuni dei principali maestri dell’arte italiana: scultori e pittori, nativi o forestieri, che nel ‘paese del marmo’, sfogano, calandosi dentro una tradizione secolare, la loro immaginazione e verificano nella pratica del lavoro la effettiva possibilità di partecipare ai processi di rinnovamento dell’arte classica. La volontà della Fondazione Giorgio Conti, la sua mission come si ama dire oggi, è dunque ancora una volta quella di aiutare la nostra città a rafforzare la consapevolezza del rilievo internazionale della ‘civiltà del marmo’, sottolineando l’importanza della valorizzazione degli aspetti artistici per la salvaguardia di un materiale unico, bellissimo e perciò molto prezioso”.
“A Carrara”, spiega il curatore Massimo Bertozzi, “il Ventesimo non è stato un ‘secolo breve’. Il passaggio tra ’800 e ’900 fu rapido, veloce quasi istantaneo, il nuovo secolo cominciò subito, com’è giusto che sia per ogni cosa nascente. E si capisce il perché. Il ‘fosco fin del secolo morente’ era stato fin troppo tragico e doloroso, segnato da due stati d’assedio, quello del 1894 generato da questioni intestine, i cosiddetti ‘moti della Lunigiana’, con gli alpini del generale Huesch a inseguire e catturare cavatori su e giù per le Apuane, e quello del 1898, preventivo contro pericoli d’importazione, conseguenza della rivolta per il pane di Milano, saziata a cannonate dal generale Bava Beccaris. I ‘paesi dell’anarchia’, come scrisse sullo Svegliarino, il foglio dei radicali carraresi, un poeta di cui sentiremo ancora parlare, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, furono schiacciati da un ‘tribunale di giberne’ che fece arrestare, condannare, deportare centinaia di lavoratori, che potranno tornare alle loro famiglie molto lentamente, alcuni solo dopo anni, aspettando al chiuso delle patrie galere la prossima amnistia o il prossimo indulto, che allora erano per fortuna assai frequenti”. Da queste vicende ha inizio la mostra, che parte con il Farinata degli Uberti di Carlo Fontana portato nel 1903 a Venezia, opera accostata alla lezione di Rodin che diventa quasi un simbolo della nuova vitalità artistica apuana, che si può dire pienamente ricominciata con la pubblicazione di Apua Mater (1905) di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, poeta attorno al quale si riuniscono alcuni giovani che fondano la rivista “Apua Giovane”, che per quanto di breve durata segna l’atto di origine di un sodalizio, che si chiamerà “Repubblica di Apua” o anche Fratellanza Apuana, quando intorno ai cinque fondatori si aggregheranno le migliori intenzioni culturali e artistiche della regione che si estende intorno alle Apuane, da Pontremoli a Carrara, da Massa a Viareggio. Inizia da qui la riscoperta dei “miti” apuani: i richiami all’antica Luni, ai soggiorni di Dante in Lunigiana, di Michelangelo a Carrara e di Carducci a Pietrasanta animano uno scenario culturale vivo, un clima in cui esploderanno le personalità di Viani, Viner, Fontana e diversi altri.
La prima guerra mondiale segnerà uno spartiacque, a seguito del quale anche a Carrara si respirerà un clima di ritorno all’ordine, rappresentato in mostra dalle opere di Carlo Carrà, Ardengo Soffici e artisti locali che incarnarono questa temperie culturale (su tutti Arturo Dazzi). Se dunque prima della guerra si era registrata tra gli artisti una frenetica attenzione alle fibrillazioni secessioniste, ora si manifesta un bisogno di regolatezza, che per molti rivoli finirà anche in Apuania. Anomala, in questo clima, è la figura di Sergio Vatteroni, che pur producendo opere retoriche come il Cavatore e lo Scultore per il Palazzo delle Poste di Carrara si mantiene su posizioni di fronda, con la conseguenza che la sua arte rifiuta quasi per principio l’idea che sia esistito un ordine a cui tornare: la sua fedeltà al vero avviene nel solco delle secessioni, con il ritorno di una fluidità ornamentale della linea e con il permanere di un addomesticato espressionismo e di una luminosità di impressione quasi divisionista. Non mancano in mostra accenni alle esposizioni celebrative degli anni Trenta, e neppure al novecentismo di Mario Sironi e, come anticipato, alle sperimentazioni di Fausto Melotti. Centrale in questi anni è tuttavia la figura di Arturo Martini che, proprio qui, grazie al rapporto con gli studi e gli artigiani apuani, scopre inaspettate possibilità di rinnovare, dall’interno e a confronto con quello che a lui sembrava il materiale più compromesso, l’arte della scultura. La linea astratta, da Melotti, segue poi la linea di Alberto Viani e Carlo Sergio Rosselli, che chiude idealmente la rassegna spingendosi verso la seconda metà del secolo.
La mostra apre, fino al 17 settembre, il martedì, il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 16 alle 20, il venerdì e il sabato dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 16 alle 23; dal 19 settembre al 29 ottobre 2023, il martedì, il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 15 alle 20, il venerdì e il sabato dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 15 alle 21. Chiusura: lunedì. Aperture straordinarie: lunedì 14 agosto 2023 ore 9.30-12.30 e 16-20; giovedì 7 settembre 2023 ore 9.30-12.30 e 15-23. Ingressi: € 10; ridotto € 8; gruppi 10-29 persone € 8; da 30 in poi € 7; gratuito giovani fino a 18 anni accompagnati dai genitori, portatori di handicap e accompagnatore, giornalisti con tesserino nazionale; previste convenzioni Unicoop, Coop, Touring Club Italiano. Per informazioni: telefono +39 0585 72355, info@palazzocucchiari.it, sito web www.palazzocucchiari.it
Titolo mostra | Novecento a Carrara. Avventure artistiche tra le due guerre | Città | Carrara | Sede | Palazzo Cucchiari | Date | Dal 24/06/2023 al 29/10/2023 | Curatori | Massimo Bertozzi | Temi | Novecento |
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