Dopo dieci anni di collaborazione, la galleria APALAZZOGALLERY di Brescia presenta la nuova mostra personale dell’artista ghanese Ibrahim Mahama (Talame, 1987), intitolata IF THESE ARE THE THINGS, aperta dal 25 maggio al 22 settembre 2024 presso la galleria lombarda. La pratica artistica di Mahama si distingue per l’uso di materiali di recupero come documenti di carta, sacchi di juta, macchine da cucire e vecchie porte, che l’artista manipola e trasforma per esplorare temi quali lo sfruttamento sul lavoro, la migrazione e la circolazione delle merci. Mahama ha dichiarato che è interessato a come “la crisi e il fallimento vengono assorbiti dai materiali con forti riferimenti alla transizione globale e al funzionamento delle strutture capitaliste”.
Questa è la quarta personale di Mahama con APALAZZOGALLERY e presenta un ricco corpus di lavori inediti, che unisce disegni a carboncino, fotografie e una monumentale installazione composta da frammenti di vecchi soffitti in compensato dipinto e porte in legno. Quest’ultima ricorda nella sua imponenza la celebre serie Non Orientable Nkansa II. 1901 – 2030 (2016), realizzata in modo collaborativo nello studio di Mahama a Tamale, in Ghana, con SCCA e composta da centinaia di scatole da calzolaio.
Nelle fotografie e nei disegni esposti lungo le pareti dello spazio, Mahama riflette sulla storia della rete ferroviaria nazionale del Ghana (la Ghana Railway, un tempo nota come Gold Cost Railways) sul suo sviluppo e impatto nella società ghanese. Le rotaie, le officine e le fabbriche per la riparazione delle locomotive, insieme ai silos, sono una fonte di ispirazione per la sua poetica artistica.
Nel 2023, Mahama ha ottenuto il consenso dal Railway Development Ministry di trasportare a Tamale alcune carrozze dismesse del sistema ferroviario nazionale, trasformandole in ambienti di ricerca e sperimentazione. I lavori esposti immortalano giovani uomini dai fisici atletici che sorreggono frammenti di binari o cercano di muovere vagoni obsoleti e arrugginiti. Il peso che sembrano sostenere è tanto fisico quanto simbolico.
In concomitanza con l’inaugurazione, Mahama terrà una lecture sulla pratica in studio relativa all’architettura e alla storia del lavoro, facendo riferimento alle ultime commissioni pubbliche e mostre museali. Esempi di queste lecture si sono tenuti al Museo Reina Sofia di Madrid e alla Diriyah Biennale Foundation durante la Diriyah Contemporary Art Biennale in Arabia Saudita. Accompagna la mostra un testo critico di Eva Brioschi.
“Ibrahim Mahama”, scrive Brioschi, “ha cominciato a interessarsi di architettura quando ha compreso che poteva superare i limiti e la staticità d ella pittura e della scultura attraverso una pratica, caratterizzata da un approccio olistico, capace di includere i luoghi e gli ambienti con le sue forme mutevoli e partecipate, e di influenzare positivamente l’immaginazione di intere nuove generazioni. L’osservazione dello spazio è cominciata con un’indagine capillare d e gli edifici costruiti in Ghana subito dopo l’indipendenza del 1957, nel periodo della presidenza illuminata di Kwame Nkrumah, come i silos, progettati per lo stoccaggio di sementi – cacao, mais – nel tentativo di organizzare un’intera filiera produttiva sul territorio. Questo sogno di autodeterminazione e crescita economica è naufragato con la destituzione di Nkrumah. Gran parte di queste architetture è rimasta inutilizzata e inaccessibile, ma silenziosamente presente e radicata da sud a nord del Ghana, come fantasmi a guardia di un passato mitico, ma nebuloso e fallimentare. Mahama si è quindi interrogato su come questi simulacri potessero tornare a essere presenze attive di un paesaggio condiviso, e ha trovato una risposta pratica grazie al le sue installazioni con i sacchi di juta lisi e sdruciti, cuciti insieme a comporre dei patchwork enormi con cui ha ricoperto edifici abbandonati, e non, in Ghana, e poi edifici pubblici in quasi tutti i continenti. L’obiettivo è quello di rendere lo sguardo distratto delle persone nuovamente consapevole e di riportare, attraverso la creazione artistica, nuova vita e nuove possibilità di sviluppo là dove il solito sguardo, distratto e rassegnato, riconosce solo fallimento e decadenza. In seguito egli ha anche recuperato dall’abbandono alcune di queste strutture, che sono state acquistate e trasforma te in luoghi dove allestire mostre e ospitare eventi educativi e ricreativi. Nella pratica di Ibrahim Mahama non c’è differenza tra architettura e arte. L’arte poi si fa con tutto, principalmente con oggetti e materiali di recupero, da reinserire nel circolo produttivo, paradossalmente catapultandoli dal livello di scarto a quello di bene di lusso, così come l’arte viene normalmente classificata. L’architettura invece diventa un’infrastruttura c he rende possibile una nuova e più consapevole percezione del contesto ; e un catalizzatore di forze, energie, possibilità, che nascono proprio attraverso la materia recuperata dalla distruzione e dall’oblio”.
Ibrahim Mahama (nato nel 1987 a Tamale, Ghana) vive e lavora tra Accra e Tamale. Ha studiato pittura e scultura al Kwame Nkrumah University of Science and Technology di Kumasi, laureandosi nel 2013. La sua pratica artistica incorpora materiali di recupero, tra cui legno, documenti di carta, sacchi di juta, lavagne scolastiche e vecchie porte, per esplorare fenomeni di globalizzazione, migrazione e commercio. Mahama è particolarmente interessato a come “la crisi e il fallimento vengono assorbiti dai materiali con forti riferimenti alla transizione globale e al funzionamento delle strutture capitaliste”.
Nella sua pratica, i tessuti sono centrali; li vede come documenti d’archivio segnati dal tempo, dalla forma e dal luogo. Dopo essere stati utilizzati nel mercato del Ghana, i sacchi di juta fabbricati nel sud-est asiatico vengono riutilizzati dalle comunità locali per spostare beni e materie prime, portando tracce del loro pellegrinaggio. Mahama raccoglie questi tessuti e li cuce insieme, creando monumentali arazzi per coprire edifici e architetture.
Mahama collabora con artigiani, architetti, tecnici, artisti e commercianti locali per assemblare i suoi collage tessili, e i suoi collaboratori talvolta diventano soggetti del suo lavoro. Oltre ai tessuti, utilizza una varietà di medium e oggetti come macchine da cucire arrugginite e residui di binari ferroviari, trasformandoli in opere d’arte significative.
Negli ultimi anni, Mahama ha avviato istituzioni interdisciplinari educative e formative vicino a Tamale, Ghana. Nel 2019, ha aperto il Savannah Centre for Contemporary Art (SCCA), seguito da Red Clay nel 2020, che comprende spazi espositivi, luoghi di ricerca e un centro di residenza artistica. Nel 2021, ha riqualificato un enorme silos di cemento, il Nkrumah Volini, a Tamale, dimostrando il suo impegno nello sviluppo della scena dell’arte contemporanea nel suo paese.
Titolo mostra | Ibrahim Mahama. If these are the things | Città | Brescia | Sede | Apalazzogallery | Date | Dal 25/05/2024 al 22/09/2024 | Artisti | Ibrahim Mahama | Temi | Arte contemporanea, arte africana |