Dal 22 ottobre 2022 al 26 marzo 2023, la Fabbrica del Vapore di Milano ospita una grande mostra dedicata ad Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987), intitolata Andy Warhol. La pubblicità nella forma, che vede la presenza di oltre trecento oggetti divisi in sette aree tematiche e tredici sezioni, e che ripercorre la carriera di Warhol dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro. La mostra è promossa e prodotta da Comune di Milano–Cultura e Navigare, curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW.
“Warhol”, afferma Bonito Oliva, “è il Raffaello della società di massa americana che dà superficie ad ogni profondità dell’immagine rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un’inedita classicità nella sua trasformazione estetica. Così la pubblicità della forma crea l’epifania, cioè l’apparizione, dell’immagine”.
Nato Andrew Warhola nel 1928, a Pittsburgh, da genitori slovacchi (Ondrej Warhola e Júlia Justína Zavacká), dopo la laurea nel 1949 si trasferisce a New York, trasforma il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei primi anni Sessanta è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New Yorker, Vogue e Glamour. “L’intuizione che lo renderà celebre e ricco”, scrive Falcioni nel testo del catalogo, “è quella di ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella mente del pubblico. Thirty Are Better Than One, la sua prima Monna Lisa ripetuta ben trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d’arte, viene trasformata in una opera di tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. In Green Coca-Cola Bottles comprendiamo immediatamente che per l’artista è proprio la quantità a prevalere sull’originalità del soggetto raffigurato: è infatti ripetendo la stessa immagine che egli riesce a portare e mettere in scena il panorama consumistico nel mondo dell’arte: compito dell’artista non è più creare, ma riprodurre”.
Per far questo Warhol adotta una speciale tecnica di serializzazione, con l’ausilio di un impianto serigrafico, che facilita la realizzazione delle opere e riduce notevolmente i tempi di produzione. Su grosse tele riproduce moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori: usando immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali o immagini di impatto come incidenti stradali o sedie elettrice, riesce a svuotarle del significato originario. L’arte deve essere “consumata” come qualsiasi altro prodotto. La tecnica della serigrafia viene usata da Warhol già nel 1962 per realizzare la serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s, esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles. Lo stesso fa con i ritratti delle celebrità dell’epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito, Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l’imperatrice iraniana Farah Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer. Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventa un imperativo a conferma del proprio status sociale. Emblematica la Gold Marilyn Monroe, conservata al MoMA di New York: una delle donne più affascinanti della storia moderna americana viene qui rappresentata su uno sfondo oro, esattamente come si trattasse di una tavola del Trecento raffigurante la Madonna.
La critica all’inizio stronca questi lavori, non comprendendone l’originalità, né comprendendo la volontà di Warhol di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza del prodotto, in linea con la filosofia consumistica dell’epoca. La sua opera viene vista come un oltraggio all’Espressionismo Astratto, movimento artistico allora dominante negli USA. Lo stesso celebre gallerista Leo Castelli all’inizio non comprende la genialità innovativa del lavoro di Warhol e cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua scuderia. In realtà aderendo alla cultura di massa e portandola nel mondo concettuale dell’arte figurativa, Warhol ha esaltato la patria del consumismo e tutto quanto gli Stati Uniti hanno simboleggiato dal dopo guerra sino agli anni Ottanta.
“Il vero colpo di genio attraverso cui l’artista riuscì a valorizzare definitivamente gli anni Sessanta e le nuove forme di comunicazione di massa”, si legge ancora nel testo di Falcioni, “furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati. Queste vennero realizzate da una falegnameria e i bordi vennero serigrafati da Warhol e i suoi assistenti come le etichette originali. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto, celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia dell’arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: ‘che cos’è l’arte?’. Questo interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere d’arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un determinato contesto storico, in questo caso gli anni Sessanta assieme alle sue innumerevoli novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete. L’evento che rese queste opere tra le più celebri dell’intera storia dell’arte fu la personale dell’artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste sculture furono disposte all’interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra all’altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria d’arte”. È visitando questa mostra che Leo Castelli si ricrede e comprende l’attualità dell’operazione di Warhol, arruolando nella sua scuderia.
Da questo momento la carriera di Warhol conosce una deflagrazione. Nasce la celebre The Factory, originariamente al 231 East 47th Street, dove innumerevoli assistenti creano a ritmo frenetico le sue opere in serie: quadri, film, cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. E dove Warhol accoglie attori, musicisti, scrittori, tutto il mondo creativo newyorchese, creando i primi film come i The Velvet Uderground & Nico, per cui realizza anche la copertina del celebre LP. Qui sono realizzati molti altri film che mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo, sorta di quadri proiettati su una parete bianca e gli Screen Test, ritratti filmati di personaggi in visita alla Factory, ripresi, allo scopo di entrare nella loro intimità, con una camera fissa senza muoversi per tre minuti su un fondo nero. Alcuni di questi film dedicati alla cultura gay newyorkese, di cui Warhol faceva parte, sono stati censurati, distribuiti col passaparola e proiettati trent’anni dopo la data di realizzazione in occasione di mostre organizzate in vari musei del mondo. Nella Factory viene realizzato inoltre il magazine Interview con in copertina, per ciascun numero, il personaggio del momento. E sono prodotte altre celebri copertine per Time e Playboy. Molte altre Factory seguiranno in diverse parti della città, laboratori dei tantissimi progetti ideati senza sosta dal poliedrico artista. Nel frattempo è nata una nuova generazione di artisti come Basquiat, Haring, Scharf che considerano Warhol il loro padre spirituale: accogliendoli nella sua cerchia Warhol ne assorbisce dinamismo e creatività. Riesce così a rinnovarsi nuovamente, ideando le ultime sperimentazioni iconiche come il celeberrimo Dollar Sign, emblema del rampantismo economico di quegli anni, abbandonando l’uso della serigrafia e dedicandosi, reinterpretando in chiave pop alcuni riferimenti artistici del passato, alla pittura pura.
La mostra milanese vuole documentare questo percorso: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni Sessanta; dalla serie Ladies & Gentlemen degli anni Settanta dedicata alle drag queen, i travestiti, simbolo di emarginazione per eccellenza e considerati alla pari di star come Marilyn, sino agli anni Ottanta in cui diviene predominante il rapporto col sacro: cattolico praticante, ne era stato in realtà pervaso per tutta la vita. In mostra il pubblico troverà esposte una ventina di tele, una cinquantina di opere uniche come serigrafie su seta, cotone, carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali, la BMW Art Car dipinta da Wahrol, la ricostruzione fedele della prima Factory e una parte multimediale con proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali.
La mostra apre dal lunedì al venerdì dalle 9:30 alle 19:30, il sabato, la domenica e i festivi dalle 9:30 alle 20:30. Ultimo ingresso 30 minuti prima dell’orario di chiusura. Biglietti: 12 euro intero (14 nei weekend e festivi), 10 euro ridotto (Possessori Card Musei Lombardia disabili ed accompagnatori, over 65, possessori abbonamento annuale ATM e Trenord, docenti, giovani fino a 14 anni, dipendenti del Comune di Milano (con badge nominale) giornalisti con tesserino ODG con bollino dell’anno in corso non accreditati e universitari), 16 euro biglietto open, 5 euro scuole, 8 euro per gruppi di almeno 10 persone, gratis per bambini fino a 5 anni.
Immagine: Andy Warhol, Untitled (Flowers) (1983-1985 circa; serigrafia su seta, 101,6 x 88,9 cm; Collezione Privata)
Titolo mostra | Andy Warhol. La pubblicità nella forma | Città | Milano | Sede | Fabbrica del Vapore | Date | Dal 22/10/2022 al 26/03/2023 | Artisti | Andy Warhol | Curatori | Achille Bonito Oliva, Edoardo Falcioni | Temi | Novecento, Pop Art |
Milano, in autunno una grande mostra su Andy Warhol curata da Bonito Oliva |