Dal 20 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024, il museo M Leuven di Lovanio (Belgio) ospita una grande mostra dedicata a uno dei massimi artisti fiamminghi del Rinascimento, Dieric Bouts (Haarlem, 1410 circa – Lovanio, 1475). La mostra, intitolata Dieric Bouts. Creator of images, riunisce nella città dove l’artista trascorse pressoché tutta la vita un gran numero di opere, poste anche a confronto con la cultura visiva odierna, per aprire una prospettiva nuova sul lavoro che ha più di cinque secoli.
Fino ad oggi, Dieric Bouts è stato principalmente conosciuto come un “primitivo fiammingo della seconda generazione” o il “pittore del silenzio”. La sua opera è meno conosciuta di quella del pioniere Van Eyck o delle scene apocalittiche di Bosch. La mostra si pone pertanto come un tributo imponente: per la prima volta, quasi 30 opere di Bouts si riuniscono a Lovanio, la città dove ha trascorso gran parte della sua vita e dove ha dipinto i suoi lavori migliori.
Dopo gli orrori della guerra e della peste del secolo precedente, Lovanio conobbe una rinascita nel XV secolo. La nuova università ha permesso alla città del Brabante, in eterna competizione con Bruxelles, di vivere i suoi giorni di gloria. La ricchezza delle scene di Bouts, la potenza dei suoi ritratti, i suoi paesaggi ultraterreni riflettono la situazione della Lovanio del Quattrocento. La mostra intende però sovvertire l’immagine di Bouts: oggi infatti non ci è permesso guardare a Bouts come artista. La tipica immagine che abbiamo oggi dell’artista non esisteva nel XV secolo. Dieric Bouts non era un genio romantico o un geniale inventore: era piuttosto un creatore di immagini. Ha dipinto ciò che i committenti si aspettavano da lui ed eccelleva in questo. Quindi secondo gli organizzatori della mostra ha senso confrontarlo con i creatori di immagini di oggi: fotografi sportivi, registi, sviluppatori di giochi. Il museo M Leuven li mette fianco a fianco con il vecchio maestro.
La mostra è divisa in cinque sezioni. La prima è dedicata al ritratto, inteso in senso largo. Si parte infatti dal contesto della Lovanio del Quattrocento, città in cui la cultura visiva è cambiata e i dipinti precedentemente riservati all’aristocrazia e al clero sono penetrati in uno strato più ampio della popolazione. Né i re né i papi potevano offrire una risposta alle devastazioni del XIV secolo. Né la penitenza né le donazioni alla chiesa aiutarono contro la peste. Le persone cercavano nuove risposte e non facevano più affidamento sul potere esistente per fornirle. Il movimento di rinnovamento spirituale della Devotio Moderna ebbe successo nei Paesi Bassi, lanciando l’idea, per l’epoca, sorprendente che anche noi potessimo prendere in mano il nostro destino. Vi fu anche un nuovo e fiorente mercato di immagini devozionali tra i cittadini benestanti, in particolare per i ritratti di Cristo e Maria. La particolarità era che questi ritratti possedevano un’alta carica spirituale, un’“energia” divina. Contavano non semplicemente come immagini del divino, ma come divine a pieno titolo. Come una reliquia di un santo, ma non più riservata esclusivamente alla chiesa come avveniva in passato. Due di questi ritratti sono il Vir Dolorum e il Volto di Cristo di Bouts. Si riferiscono al sudario di Veronica. Qualcosa di simile accadde anche con i ritratti di Maria. L’idea di fondo era che fosse stata ritratta con il suo Bambino dall’evangelista san Luca. Della celebre Madonna di Cambrai, che ancora nel XV secolo si presumeva fosse il ritratto originale, furono realizzate innumerevoli copie e varianti.
Nel XV secolo era dunque un’usanza quella di dipingere il volto di Cristo. Era un’immagine devozionale che dimostrava quanto profondamente Cristo avesse sofferto per l’umanità. L’intenzione, nella migliore tradizione della Devotio Moderna, era che lo spettatore partecipasse a quella sofferenza. Questo è esattamente il modo in cui i fotografi sportivi ritraggono i ciclisti oggi. Restiamo in silenziosa adorazione delle loro epiche scalate, dello sforzo fisico soprannaturale, di tutto quanto sopra. Ma alla fine, il vincitore, braccia larghe, taglia il traguardo come un eroe. La sofferenza è stata grande, ma la vittoria totale. In mostra saranno esposti alcuni di questi ritratti.
La seconda sezione è dedicata al tema della prospettiva: Dieric Bouts fu tra i primi fiamminghi ad accogliere le nuove teorie sulla prospettiva in arrivo dall’Italia. Se Bouts è entrato nei libri di testo di storia dell’arte, secondo la mostra ciò ha molto a che fare con la sua applicazione della prospettiva del punto di fuga. Oggi, con i nostri occhi abituati a migliaia di immagini al giorno, difficilmente notiamo questa innovazione, ma per gli spettatori del XV secolo deve essere stato sorprendente. Il filosofo tedesco Cusano vi ha attaccato un’idea teologica, il punto immaginario in cui tutto si riunisce in Dio. Questo dà immediatamente un altro significato alla cornice attorno al dipinto. Dietro questa ’finestra’ non c’è solo una terza dimensione da scoprire ma anche una dimensione divina. Sappiamo che a Cusano per due volte fu chiesto di diventare professore a Lovanio, città allora calamita di nuove idee. È quindi perfettamente possibile che Bouts avesse sentito parlare della sua teoria. Se è così, la sua impresa pittorica è servita non solo a creare l’illusione della realtà, ma anche la dimensione spirituale: stiamo tutti viaggiando verso lo stesso punto.
La terza sezione è dedicata al paesaggio. Nel Medioevo, i paesaggi non erano altro che elementi decorativi per illustrare l’ambientazione della storia, a volte letteralmente per riempire gli angoli di una miniatura. L’atteggiamento cambia nel XV secolo. Nella nuova cultura borghese sta emergendo un debole per i paesaggi realistici che creano un mondo diverso. Dieric Bouts non ha certo inventato la pittura di paesaggio: ci sono meravigliosi esempi di paesaggi nelle opere di Jan van Eyck e Rogier Van der Weyden, ma Bouts fa sicuramente un ulteriore passo avanti. Perfeziona le tecniche visive e dà profondità al paesaggio, con tecniche che continueranno a diffondersi anche nel resto d’Europa e che per secoli a venire saranno tra le competenze fondamentali di ogni pittore di formazione classica. Tuttavia il mondo che Bouts crea in modo così realistico non è il nostro. Drammatiche formazioni rocciose e piante esotiche non facevano più parte del paesaggio fiammingo allora di quanto lo siano adesso. Per vedere qualcosa del genere, uno spettatore avrebbe dovuto recarsi anche in Medio Oriente. Alcuni lo fecero ovviamente anche allora, c’erano già state diverse crociate, ma per lo spettatore medio, l’universo creato da Bouts era decisamente un mondo diverso. In tal modo, l’artista ha fatto appello a nuove emozioni che sicuramente avranno soddisfatto l’élite urbana emergente, composta da persone che volevano sognare.
Dieric Bouts è stato dunque un pioniere del paesaggio. In tal modo, ha cercato la tensione tra realismo (creando profondità nel modo più realistico possibile) e fantasia (questo è un mondo che non è nostro). La fantascienza è nata dallo stesso attrito: ecco che la mostra introduce così l’universo creato da George Lucas in Star Wars. I suoi personaggi sono tangibili e anche la vita aliena è in carne ed ossa, con emozioni come le nostre. Ma i costumi, le scenografie e la fantastica narrazione non lasciano dubbi: questo è un mondo molto, molto lontano.
Il tema del quotidiano è quello della quarta sezione. L’uso del tutto nuovo della profondità nel Rinascimento, sia grazie ai paesaggi che alla prospettiva del punto di osservazione, apre un intero mondo di possibilità. Per la prima volta, dietro la cornice del dipinto emerge un palcoscenico, una scena che può essere riempita di personaggi, oggetti, interni, insomma di qualsiasi cosa. Cosa sceglie di fare Dieric Bouts? Storici dell’arte come Erwin Panofsky hanno da tempo dato il tono all’interpretazione dei maestri fiamminghi. Ha letto quasi ogni elemento in ogni dipinto come un simbolo. Il cane ai piedi degli Arnolfini di Van Eyck è simbolo di fedeltà, un giglio alle spalle di Maria è simbolo della sua verginità, una palma rappresenta la Gerusalemme Celeste. Quella lettura simbolica di solito ha senso, come dimostrato dagli innumerevoli altri cani, gigli e palme usati da altri maestri nello stesso contesto. Ma forse ci sono dei limiti alla teoria del ’simbolismo mascherato’. Ad esempio, come si interpreta il lenzuolo appeso al bordo del tavolo nell’Ultima cena di Bouts? È un presagio del sudario in cui Cristo sarà avvolto il giorno dopo? O è solo una tovaglia in un panneggio splendidamente dipinto? I coltelli sulla tavola anticipano le torture che attendono Cristo? O servono solo per tagliare a metà i panini? A volte ciò che si vede è semplicemente quello che è, secondo la mostra. Il metodo della lettura simbolica si è talmente radicato che rischiamo di cadere nella trappola di interpretare ogni vetro ed elemento decorativo come qualcos’altro. I teologi hanno contribuito a plasmare il mondo di Bouts e molte delle sue scene contengono davvero un doppio significato. Ma guardarlo attraverso una lente diversa porta una boccata d’aria fresca: questa la tesi della mostra. Il pittore che ritrae oggetti e costumi così come apparivano ai suoi tempi, semplicemente per creare un’atmosfera (per loro) contemporanea.
Il ’gran finale’ della mostra è l’Ultima cena di Dieric Bouts. Per questa mostra, l’opera più famosa di Bouts si sposterà temporaneamente dalla chiesa di San Pietro al museo M Leuven, dove è oggetto di un approfondimento.
Per tutte le informazioni è possibile visitare il sito del museo M Leuven.
Immagine: Dieric Bouts, Ultima cena (1464-1468; olio su tavola, 185 x 294 cm; Lovanio, San Pietro)
Titolo mostra | Dieric Bouts. Creator of images | Città | Lovanio | Sede | M Leuven | Date | Dal 20/10/2023 al 14/01/2024 | Artisti | Dieric Bouts | Temi | Rinascimento, Quattrocento, Arte antica |
A Lovanio una grande mostra su Dieric Bouts, maestro del Rinascimento fiammingo |