A Carrara sessant'anni d'arte italiana in mostra, da Morlotti alla Transavanguardia fino a oggi


Dal 5 agosto al 30 ottobre 2022, Vôtre Spazi Contemporanei ospita la mostra “Summer Lights”, una collettiva che ripercorre sessant’anni d’arte italiana, da Morlotti a Dorazio, dallo spazialismo alla Transavanguardia fino a oggi. E in più, una personale di Novello Finotti.

Dal 5 agosto al 30 ottobre 2022, Vôtre Spazi Contemporanei a Carrara organizza, nella sede di Palazzo del Medico in piazza Alberica, due mostre (inaugurazione 5 agosto ore 21): la collettiva Summer Lights, a cura di Nicola Ricci e Federico Giannini, e la mostra personale dello scultore Novello Finotti. Summer Lights riunisce le opere di ventiquattro artisti e si inserisce in un filone di mostre sulle tendenze della pittura e della scultura italiana dagli anni Cinquanta a oggi che Vôtre organizza da alcuni anni (l’ultima in ordine di tempo è stata la mostra Uguali Disuguali che si è tenuta tra novembre e gennaio).

Summer Lights, prendendo le mosse dal settantesimo anniversario della fondazione del Gruppo degli Otto, che proponeva una terza via tra astrazione e realtà mentre s’infiammava il dibattito che vedeva contrapposte le posizioni di astrattisti e figurativi, ripercorre alcune delle principali vicende che hanno interessato l’arte italiana dal 1952, esponendo opere di due membri degli Otto, ovvero Antonio Corpora (Tunisi, 1909 – Roma, 2004) ed Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992) per arrivare ai primi anni Duemila attraverso la presenza di dipinti e sculture che presentano ricerche su luci e colore. Dall’astrattismo geometrico di Piero Dorazio (Roma, 1927 – Perugia, 2005) allo spazialismo di Turi Simeti (Alcamo, 1929 - Milano, 2021) e Dadamaino (Edoarda Emilia Maino; Milano, 1930 - 2004), dalla pittura oggettiva di Mario Schifano (Homs, 1934 - Roma, 1998) al neosurrealismo di Aldo Mondino (Torino, 1938 - 2005), dalla Transavanguardia di Sandro Chia (Alessandro Coticchia; Firenze, 1946) ai Nuovi-Nuovi come Salvo (Salvatore Mangione; Leonforte, 1947 - Torino, 2015) e Luigi Ontani (Vergato, 1943), per arrivare, passando attraverso la Nuova Scuola Romana di Piero Pizzi Cannella (Rocca di Papa, 1955), il citazionismo di Athos Ongaro (San Donà di Piave, 1947), il recupero della tradizione di Wainer Vaccari (Modena, 1949) e l’ironia di Maurizio Cannavacciuolo (Napoli, 1954), alle più recenti tendenze incarnate da artisti come Antonia Ciampi (Bologna, 1959), Marco Cingolani (Como, 1961), Angelo Filomeno (Ostuni, 1963), Federico Fusj (Siena, 1967) e Santiago Ydáñez (Jaén, 1967). Non manca inoltre una sezione dedicata agli artisti attivi sul territorio carrarese ma che hanno esposto in contesti internazionali, come Luciano Massari, Silvia Papucci, Roberto Rocchi, Silvio Santini, Enzo Tinarelli.

“Con Summer Lights il pubblico ha modo di visitare una sorta di antologia di cinque decenni di pittura e scultura italiana”, affermano i curatori Ricci e Giannini. “Il percorso segue alcune linee che partono esattamente settant’anni fa e giungono, attraverso filiazioni, reazioni e rielaborazioni, sino ai giorni nostri. Dopo Uguali e Disuguali, che si concentrava per lo più su armonie e dissonanze tra linguaggi spesso opposti, Summer Lights ha un taglio più classico, con l’obiettivo di tracciare una piccola e necessariamente incompleta storia della pittura e della scultura per osservare come i linguaggi elaborati dagli artisti storicizzati sono stati recepiti da quelli delle generazioni successive”.

A sinistra: Sandro Chia, Thinking Couple (2000; olio su tela). A destra: Sandro Chia, Dormiente (2002; olio su tela, 140 x 100 cm)
A sinistra: Sandro Chia, Thinking Couple (2000; olio su tela). A destra: Sandro Chia, Dormiente (2002; olio su tela, 140 x 100 cm)
Aldo Mondino, Senza titolo (Dervisci) (s.d.; tecnica mista)
Aldo Mondino, Senza titolo (Dervisci) (s.d.; tecnica mista)
Wainer Vaccari, Sugar Ray Robinson dalla serie Fighters (2003; olio su tela, 119 x 96 cm)
Wainer Vaccari, Sugar Ray Robinson, dalla serie Fighters (2003; olio su tela, 119 x 96 cm)
Ennio Morlotti, Bosco (1967; olio su tela, 60 x 80 cm)
Ennio Morlotti, Bosco (1967; olio su tela, 60 x 80 cm)
Piero Dorazio, Quiete (1998; olio su tela, 40 x 60 cm)
Piero Dorazio, Quiete (1998; olio su tela, 40 x 60 cm)

La personale di Novello Finotti (Verona, 1939) riunisce invece alcune importanti sculture dell’artista veneto, noto per le sue opere situate a metà tra realtà e fantasia, artista che lavora con il marmo e con il bronzo e che ha esposto in tutto il mondo. Nato a Verona nel 1939, Finotti vive e lavora tra Sommacampagna e Pietrasanta. Dopo aver studiato all’Accademia Cignaroli ha esordito diciannovenne nel 1958, esponendo le sue opere ad Assisi, per poi prendere parte al III concorso internazionale del bronzetto. Nel 1964 ha esposto a New York e due anni più tardi debutta alla Biennale di Venezia, dove tornerà nel 1984 con una sala personale. Finotti conta anche due presenze alla Quadriennale di Roma (1976 e 1986). Tra le sue principali mostre personali si ricordano quelle tenute presso la Galleria Jolas a Milano (1972), l’Ambasciata Italiana di Tel Aviv, Israele (1976), la Jolas Jackson Gallery, New York (1977), la Galerie Berg Home, San Gallo, Svizzera (1977) l’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco (1980), Palazzo Te, Mantova (1986), la Galleria Marilena, Liakopoulus, Atene (1980), la Galleria Forni, Bologna (1991 e 2005), la Galleria Credito Valtellinese, Refettorio delle Stelline, Milano (1995), la Nardin Gallery, New York (1998), il Castello Scaligero di Malcesine (2000), l’Abbazia di Rosazzo a Manzano.

Le due mostre si possono visitare presso le sale di Vôtre Spazi Contemporanei (Palazzo del Medico, piazza Alberica 5, Carrara) dal martedì al sabato dalle 17 alle 20, dal 5 agosto al 30 ottobre. Inaugurazione aperta a tutti venerdì 5 agosto alle ore 21. La mostra è a ingresso gratuito. Per informazioni telefonare al numero +39 3384417145, inviare una mail all’indirizzo associazionevotre@gmail.com oppure visitare il sito https://www.votrespazicontemporanei.it. Di seguito il testo introduttivo alla mostra, di Federico Giannini.

Summer Lights

Il 1952 figura tra gli anni fondamentali per l’arte italiana del secondo Novecento: alla Biennale di Venezia di quell’anno, Lionello Venturi presentava per la prima volta al pubblico e alla critica il gruppo degli “Otto Pittori Italiani”, da lui patrocinato, e nato da una precisa volontà che Antonio Corpora aveva espresso allo stesso Venturi: il desiderio di rifondare la pittura italiana aprendo una terza via tra astrazione e figurazione, superando le divisioni rigide che avevano imbrigliato il dibattito artistico del tempo (gli “otto”, ovvero Afro Basaldella, Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato ed Emilio Vedova, non volevano esser definiti né realisti né astrattisti), e adoperando, avrebbe scritto Venturi, “quel linguaggio pittorico che dipende dalla tradizione iniziatasi intorno al 1910 e comprendente l’esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti”.

Il linguaggio del gruppo, che rifiutava qualunque estremismo e aspirava alla libertà di potersi esprimere con forme che fossero in grado di trasfigurare la realtà senza però rifiutarla o negarla, era destinato a riscuotere successo sin da quella prima occasione espositiva: sarà sufficiente rammentare come, appena dopo la Biennale del 1952, Palma Bucarelli, allora direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, decise d’arricchire le raccolte del museo acquistando un’Alba di Corpora per 72.170 lire (poco più di mille euro attuali), scelta anche per i suoi caratteri formali, essendo opera in cui “il colore-luce si espande al di là dell’impaginazione strutturale, penetra come un raggio di sole nella griglia della superficie, con una dialettica interna e spontanea che già colloca Corpora a parte nel contesto post-cubista astrattizzante del dopoguerra”. È a partire da queste suggestioni, nel settantesimo anniversario della fondazione del Gruppo degli Otto, che la mostra Summer Lights, in accordo con le recenti esposizioni di Vôtre tese a ripercorrere le vicende degli ultimi decenni dell’arte italiana, e in particolare della pittura e della scultura, si colloca lungo la serie di rassegne antologiche sull’arte italiana recente della galleria carrarese, con l’obiettivo di tracciare i fili di parte della cultura pittorica italiana tra gli anni Cinquanta e i primi anni Duemila, nello specifico con una serie di dipinti che presentano ricerche sulla luce e sui colori.

L’esperienza degli Otto sarebbe durata molto poco: l’uscita di due esponenti di spicco, Morlotti e Vedova, avrebbe decretato la fine del gruppo già nel 1954. Morlotti, in particolare, aveva abbandonato gli Otto per accostarsi agli “ultimi naturalisti” riuniti sotto l’egida di Francesco Arcangeli, animato dall’intenzione di riportare al centro dell’azione artistica la natura, intesa nella sua più pura essenza fisica d’elemento “che si guarda, si respira, si sente, si soffre ancor prima che la si dica in parole”, come scriveva lo stesso Arcangeli nel saggio Gli ultimi naturalisti pubblicato quell’anno su Paragone. In parallelo, sul versante opposto, la pittura astratta seguitava a produrre i suoi esperimenti: terminata l’esperienza di Forma 1, che riconosceva nel formalismo “l’unico mezzo per sottrarci ad influenze decadenti, psicologiche, espressionistiche”, Piero Dorazio, che giovanissimo, a soli vent’anni, fu tra i firmatari del manifesto in cui si stabiliva che “la forma è mezzo e fine”, rimase sulle sue posizioni anche dopo lo scioglimento del gruppo nel 1951 e continuò sulla via dell’astrattismo geometrico: il quadro, per Dorazio, non doveva rappresentare altro che se stesso, e l’artista d’origini romane sarebbe sempre rimasto coerente a quest’intento poetico, pur variando le ricerche sulle composizioni, sui colori, che negli anni Sessanta tendevano a formare strutture a reticoli per suggerire la presenza d’uno spazio, e successivamente avrebbero dialogato tra loro per ottenere contrasti di luce e d’ombre sempre più marcati. Negli stessi anni s’affermavano in Italia le ricerche degli spazialisti guidati da Lucio Fontana e che, sostenuti da una poetica innovativa e radicale e da un lucido impianto teorico, sovvertirono l’arte mondiale considerando l’opera come “una somma di elementi fisici, colore, suono, movimento, tempo, spazio, concependo un’unità fisico-psichica, colore l’elemento dello spazio, suono l’elemento del tempo, e il movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio” (così nel Manifesto tecnico dello spazialismo del 1951): le dimensioni fondamentali dell’esistenza si fondono assieme nelle opere degli artisti spaziali, rappresentati in Summer Lights da Turi Simeti, autore d’una “pittura tridimensionale” capace di scardinare la comune percezione del quadro e d’innescare inediti e originali rapporti tra colore e luce modulati direttamente dalle forme che Simeti conferiva alle sue opere, e da Dadamaino (Edoarda Emilia Maino), che esordì a Milano alla fine degli anni Cinquanta presentandosi coi suoi Volumi che, eredi dei Concetti spaziali di Fontana, guardavano alla tela come a un oggetto, a una forma monocromatica da esplorare nelle profondità della sua dimensione fisica.

Negli anni Sessanta, la risposta alle poetiche astratte e informali avrebbe imboccato tre diverse vie, la più fortunata delle quali fu, per adoperare le parole di Maurizio Fagiolo dell’Arco, “l’arte che si volge all’oggetto, al simbolo, alla realtà: una ‘nuova oggettività’ attenta come non mai alle impronte della città e allo spazio umano”. In questa nuova oggettività, che palesava diversi punti di tangenza con la Pop Art che s’impose all’attenzione del mondo intero a partire dalla Biennale di Venezia del 1964, si collocava la figura di Mario Schifano, artista della mediazione tra pittura e fotografia, ovvero pittore che “assimila dall’immagine fotomeccanica non già la resa minuziosa e veristica del dettaglio, ma, al contrario, l’istantaneità e la pregnanza”. Accanto alla pittura oggettiva rappresentata da Schifano, Fagiolo dell’Arco collocava l’arte programmata e l’arte neosurrealista: quest’ultima trovò uno dei suoi esponenti più originali nella figura di Aldo Mondino, artista versatile che durante la sua carriera conobbe cambiamenti di poetica anche radicali (come quando, verso la fine degli anni Ottanta, avvicinatosi alle culture orientali, cominciò a produrre i celebri tappeti e i dervisci).

Il cosiddetto ritorno alla pittura che scosse gli anni Ottanta dopo un decennio dominato dall’Arte Povera, dall’arte concettuale, dal minimalismo, dal Neo-Dada, dalla Land Art e dalla Body Art, tendenze che avevano relegato ai margini degl’interessi di pubblico e critica le ricerche di chi lavorava con tele e pennelli, produsse anche in Italia nuovi fermenti, che sfociarono nell’affermazione di fenomeni di reazione come la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva che, nel 1979, scelse un gruppo d’artisti emergenti, ovvero Sandro Chia (presente in mostra con una Thinking Couple e con un Dormiente), Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino, Nicola De Maria, Marco Bagnoli e Remo Salvadori per proporre al pubblico un’arte in grado di “ritornare ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto, inteso come ‘lavoro dentro’, come escavo continuo dentro la sostanza della pittura” (così Bonito Oliva introduceva, nel 1979, l’articolo La Transavanguardia italiana col quale presentava il gruppo). Il movimento, pur presentandosi senza una poetica formale comune, condivideva alcuni elementi di base, come il soggettivismo, l’eclettismo, l’attraversamento dell’avanguardia (da cui il nome) per mezzo d’un’arte fondata sulla manualità, sulla sorpresa, sulla pulsione intima dell’artista e di conseguenza sulla mancanza d’un’ideologia di base. Centrale, nell’opera di Sandro Chia, è la figura umana, letta attraverso un linguaggio neoespressionista fondato sull’utilizzo di linee e colori caratterizzati da grande arditezza, irruenti, di forte impatto sull’osservatore. Un anno più tardi, nel 1980, un altro critico, Renato Barilli, fondava il gruppo dei Nuovi-Nuovi che, allontanandosi tanto dalle avanguardie quanto dal radicalismo della Transavanguardia, optava per una mediazione postmoderna tra passato e presente, tra recupero della storia dell’arte mediante uno spiccato citazionismo ed elaborazione delle immagini ottenute col mezzo fotografico: “Dall’esplosione all’implosione”, avrebbe scritto Barilli nel catalogo della mostra Dieci anni dopo che sancì la nascita del gruppo, “dalla proiezione verso il futuro al recupero del passato, dalla fuga fuori dei sacri recinti dell’arte a un tuffo nel cuore del sistema museale più protetto e riconosciuto”. In rappresentanza dei Nuovi-Nuovi, Summer Lights propone opere di Salvo e di Luigi Ontani: se il primo s’era affermato con lavori che citavano scopertamente la grande arte del passato per poi approdare a una pittura di paesaggio caratterizzata da vivacità di colori ed estrema semplicità grafica, il secondo muove dai tableaux vivants per poi navigare di continuo tra pittura, scultura, mosaico e fotografia elaborando una poetica giocosa e irriverente che pesca dall’antico e dal moderno esprimendo appieno la propensione postmoderna all’appropriazione e alla rielaborazione. Nello stesso clima di “ritorno al passato” si muovono, seppur con risultati estremamente differenti, le figure di Wainer Vaccari, Athos Ongaro e Maurizio Cannavacciuolo: Vaccari guarda all’arte del passato (in particolare alla pittura rinascimentale, al simbolismo e alla Neue Sachlichkeit) per produrre una pittura distante, inquietante e senza tempo, Ongaro si presenta sin dagli esordi con un’arte votata all’eclettismo più insolente, mentre Cannavacciuolo si propone con le sue opere elaborate che nascondono diversi livelli narrativi sotto trame complesse e intricate, anche sul piano formale. Accanto alla Transavanguardia, ai Nuovi-Nuovi e agli artisti che non si riconobbero in alcun movimento ma le cui figure s’imposero per l’originalità del loro linguaggio, negli anni Ottanta s’affermò un ulteriore gruppo, quello della Nuova Scuola Romana, guidato da Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella (quest’ultimo presente in mostra) e Marco Tirelli, uno degli ultimi importanti movimenti dell’arte italiana: nata ufficialmente nel 1984 con la mostra Ateliers che si tenne al Pastificio Cerere di Roma, la Nuova Scuola Romana (nota anche come “Scuola di San Lorenzo”) si rifaceva alla Scuola Romana degli anni Venti, quella di Scipione, Mario Mafai e Antonietta Raphaël, con l’idea di superare l’arte concettuale e l’Arte Povera per proporre un ritorno non soltanto alla manualità e alle arti tradizionali, ma alla stessa sensibilità dell’artista, e facendosi portatrice, ha scritto Patrizia Ferri, di un’accezione “glocale” dove “si interfacciano una tendenza centrifuga e una centripeta, di attenzione alla memoria e di ampliamento verso una dimensione più globale e condivisa dell’esperienza artistica, alla luce di una sobrietà ereditata dalle ricerche analitiche rispetto all’internazionalismo selvaggio e più vincente, sia per quanto riguardano le cifre di mercato che sul piano dei valori estetici”.

Summer Lights prosegue esaminando le modalità con cui diversi artisti nati negli anni Sessanta o poco dopo hanno elaborato i diversi linguaggi dell’arte italiana. Tra gli artisti che guardano al passato figurano Angelo Filomeno, che adopera la tecnica del ricamo con rimandi a temi e soggetti dell’antico (il pubblico in mostra troverà una sua grande vanitas in seta), Santiago Ydáñez, spagnolo ma a lungo attivo in Italia che si è distinto per i suoi espressivi ritratti di dimensioni monumentali, e Marco Cingolani, che ha trovato una propria via, singolare ed estremamente originale, tra neoespressionismo e astrattismo, fondando la sua grammatica sull’utilizzo pressoché virtuosistico del colore. Si collocano invece sul versante dell’astrazione artisti come Federico Fusj, animato da una continua tensione a fondere tra loro modalità espressive anche lontane col fine d’esplorare le potenzialità della materia, e Antonia Ciampi la cui ricerca è spinta dalla volontà di trovare punti di contatto tra l’essere umano e il cosmo.

Un omaggio agli artisti di Carrara, oppure attivi sul territorio carrarese, chiude la rassegna per innescare un dialogo tra le opere di alcuni importanti esponenti della cultura artistica locale (ma che hanno esposto in contesti internazionali) e quelle del percorso storico di Summer Lights. Spazio pertanto alle Terre silenziose di Luciano Massari che si misurano con un Volume di Dadamaino, alle esplosioni colorate di Silvia Papucci, agli esperimenti con marmo e led di Roberto Rocchi, alle forme pulite e sinuose di Silvio Santini, al mosaico contemporaneo di Enzo Tinarelli per dimostrare come il panorama carrarese continui a serbare uno slancio vivace e costante.


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