Brescia, al Museo di Santa Giulia una grande mostra sul Rinascimento bresciano


Dal 18 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, il Museo di Santa Giulia a Brescia dedica una grande mostra al Rinascimento bresciano, con focus sui tre grandi nomi, ovvero il Moretto, il Romanino e il Savoldo, per analizzare arte e contesto storico di un momento di grandissimo fermento artistico in città.

Dal 18 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, Brescia ospita una grande mostra dedicata al Rinascimento in città che parte da una lunga serie di domande. Come si viveva nel Cinquecento in una delle città più popolose dell’Europa moderna? Quali sentimenti muovevano gli animi? Quali mode erano in auge? Come si metteva a fuoco e fiamme una città, con quali armi? A quali santi si era devoti? A chi si chiedeva protezione? Come ci si informava? Come ci si vestiva e come ci si faceva ritrarre? Come ci si sposava? E il ruolo delle donne? Quali libri si leggevano, che musica si ascoltava? Quale il rapporto con la natura e con l’antico? E l’amore? E la morte da che parte stava? Cosa rese la pittura bresciana straordinaria? E cosa la pose come base della rivoluzione artistica di Caravaggio? Chi fu Fortunato Martinengo? Questi gli interrogativi a cui cerca di rispondere Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552, la nuova mostra di Fondazione Brescia Musei, a cura di Roberta D’Adda, Filippo Piazza e Enrico Valseriati.

Un percorso con oltre 50 opere d’arte, con prestiti nazionali e internazionali, provando a restituire al pubblico di oggi lo spirito di un’epoca. Troppo spesso il Cinquecento bresciano con Alessandro Bonvicini detto il Moretto (Brescia, 1498 circa – 1554), Girolamo da Romano detto il Romanino (Brescia, 1484/1487 – 1560) e Giovanni Girolamo Savoldo (Brescia, 1480 circa – post 1548) è stato raccontato come un episodio isolato, confinato nella storia dell’arte: questo progetto vuole dimostrare ben altro e cioè una risultanza di fatti, sentimenti e di un contesto che lega la storia degli uomini e delle donne, la politica, la cultura e la religione all’arte. In particolare, l’obiettivo è testimoniare come e perché la pittura raggiunse risultati sorprendenti, facendosi linguaggio precursore di maestri come Giovanni Battista Moroni e Caravaggio, base della straordinaria tradizione della cosiddetta pittura della realtà. Il Cinquecento a Brescia è eccentrico, tormentato da tensioni religiose e dai drammi della guerra, alla ricerca dell’armonia, tra il lusso delle famiglie nobiliari di una città ricca e potente, l’operosità di molti e il fermento culturale.

In mostra dipinti, oggetti, libri, armi, strumenti musicali diventano testimoni di un periodo che si apre con il brutale Sacco della città (1512), la crisi sociale, economica, morale che ne consegue e prosegue con la rinascita, colma di inquietudine così come di desiderio verso un nuovo tempo di pace e prosperità. Brescia nel 1506 è una città di circa 60.000 abitanti, tra le venti città più popolose del continente europeo, più di Roma e più di Madrid; è uno dei centri nevralgici della Repubblica di Venezia in terraferma, un grande emporio commerciale e produttivo. Questi dati non solo danno conto della convergenza di interessi esistenti su Brescia, uno dei maggiori centri economici, sociali e culturali dell’Europa del tempo, ma fanno meglio intendere cosa significò il 1512 quando le truppe francesi, condotte da Gaston de Foix, saccheggiarono la città uccidendo circa 8.000 uomini e donne, incendiando e distruggendo, e cosa ne conseguì. La notizia divenne ben presto globale e si trasformò in spavento collettivo. Una tragica anticipazione di quello che sarebbe stato, di lì a pochi anni, il più violento e simbolico saccheggio dell’Europa moderna, il Sacco di Roma (1527). Un capovolgimento dell’ordine costituito che ebbe ripercussioni immediate a Brescia: migliaia di vittime, distruzione di case, chiese e patrimonio, violenze e stupri, fuga di molti, interruzione di cantieri e il rallentamento brutale dell’economia; ovunque, in termini di paura. Diverse anche le conseguenze a lungo termine: la città non tornò più a essere altrettanto popolata (assestandosi intorno ai 40.000 abitanti, venendo presto superata da altri centri europei) e conobbe un periodo di profonda crisi sociale, morale, religiosa, seppur mossa da energie in risposta a tutta quella devastazione. Un trauma che, come capita, generò fermento: si avviò infatti un ‘nuovo clima’ che questa mostra vuole raccontare attraverso le opere, perlopiù pittoriche, e gli artisti che vissero in quegli anni tanto complessi quanto intensi.

Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini
Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini
Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini
Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini
Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini
Allestimenti della mostra. Foto: Alberto Mancini

Difficile oggi comprendere appieno un’epoca lontana cinquecento anni, possibile ed affascinante però viaggiare lungo la storia grazie a una serie di testimonianze, in particolare artistiche, molti indizi e diverse suggestioni, anche per comprendere quali e quanti sentimenti siano, a tutt’oggi, attuali ma soprattutto avere consapevolezza che tutto è connesso: società, cultura, religione, politica. Il volto di questo progetto ma anche il termine cronologico, è Fortunato Martinengo: il nobile bresciano nasce infatti in quel 1512 e muore nel 1552. Fortunato Martinengo è un conte, scrive poesie, è un musicista, fonda l’Accademia dei Dubbiosi, prende parte ai movimenti ereticali dell’epoca. Vedovo in giovane età, il suo ritratto dipinto da Moretto – in mostra grazie allo straordinario prestito dalla National Gallery di Londra – è uno dei più affascinanti del Cinquecento, con una posa che ricorda la tradizione della melanconia, trasognata e misteriosa e riesce a sintetizzare lo spirito del tempo.

Oltre al luogo di nascita, molti i punti di contatto tra i tre maestri così come molte le diversità. Savoldo è il più anziano e quello che forse più si distacca dagli altri due, anche per la sua lunga permanenza a Venezia, sviluppando un linguaggio poetico non sempre di facile lettura e raffinate ricerche illuministiche. Romanino è certamente l’interprete più spontaneo e, con l’andar del tempo, più ruvido della scena artistica anche grazie alla sua capacità di mettere in scena contesti di verità di popolo e scene affollate. Moretto viene celebrato da Vasari come “delicatissimo ne colori e tanto amico della diligenza”, straordinario interprete del naturalismo lombardo, come Romanino, riceve e recepisce stimoli provenienti dalla cultura figurativa nordica, padana, toscana e veneta.

A Brescia il Cinquecento è un’epoca in cui, oltre agli artisti, risaltano personalità carismatiche, anche in ambito religioso e intellettuale. Sono gli anni di Angela Merici (amica di Moretto e in contatto con Romanino), fondatrice nel 1535 della Compagnia di Sant’Orsola, della poetessa Veronica Gambara, e di Agostino Gallo che teorizza il rapporto armonico con la natura, rispecchiato in molti dipinti. Fuori Brescia: “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto” scrive Ariosto nel 1516: il periodo è appassionante, sono gli anni precedenti al Concilio di Trento, delle grandi inquietudini religiose, gli anni di Pietro Bembo e di Tiziano e del soggiorno a Bergamo di Lorenzo Lotto che in una lettera chiama Moretto, nel 1528, fratello.

La mostra, divisa in sezioni (Sterminio, Devotione, Armonia, Virtù, Affanni), è ospitata presso il Museo di Santa Giulia, accompagnata da una serie di itinerari in città, si propone come occasione per immergersi in un periodo storico comprendendone gli aspetti artistici e umani. Un percorso tra arte, storia, filosofia e religione che svela un Rinascimento che ha saputo celebrare le donne, che ha identificato nella natura uno spazio di armonia e una fonte di possibile sviluppo, che non è rimasto indifferente ai primi fermenti di riforma religiosa e che è stato segnato da una immane tragedia ma ha saputo superarla. È il racconto di una città che indaga la sua storia e la sua identità attraverso i capolavori della sua più grande stagione pittorica.

Moretto, Ritratto di Fortunato Martinengo (1542; olio su tela, 113,6 x 93,9 cm; Londra, National Gallery)
Moretto, Ritratto di Fortunato Martinengo (1542; olio su tela, 113,6 x 93,9 cm; Londra, National Gallery)
Giovanni Girolamo Savoldo, Giovane con flauto (1525 circa; olio su tela, 74,3 × 100,3 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, proprietà Unicredit Art Collection)
Giovanni Girolamo Savoldo, Giovane con flauto (1525 circa; olio su tela, 74,3 × 100,3 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, proprietà Unicredit Art Collection)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Adorazione della reliquia della santa croce con i santi Faustino e Giovita (Stendardo delle sante croci) (1520; olio su tela, 225 x 152 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Adorazione della reliquia della santa croce con i santi Faustino e Giovita (Stendardo delle sante croci) (1520; olio su tela, 225 x 152 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore con flauto (1540 circa; olio su tela, 97 x 78 cm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)
Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore con flauto (1540 circa; olio su tela, 97 x 78 cm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)
Girolamo Romani detto Romanino, Ritratto di gentiluomo (1530-1540 circa; olio su tela, 76 x 65 cm; Allentown, Allentown Art Museum)
Girolamo Romani detto Romanino, Ritratto di gentiluomo (1530-1540 circa; olio su tela, 76 x 65 cm; Allentown, Allentown Art Museum)
Nicola da Urbino, Punizione di Marsia (1525 circa; ceramica, 42 cm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)
Nicola da Urbino, Punizione di Marsia (1525 circa; ceramica, 42 cm; Los Angeles, J. Paul Getty Museum)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto Ritratto di gentildonna come Salomè (1537 circa; olio su tavola, 58,5 x 38 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto di gentildonna come Salomè (1537 circa; olio su tavola, 58,5 x 38 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Dama in bianco (1540-1545 circa; olio su tela, 106,4 x 87,6 cm; Washington, National Gallery of Art)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Dama in bianco (1540-1545 circa; olio su tela, 106,4 x 87,6 cm; Washington, National Gallery of Art)
Girolamo Romani detto Romanino, Concerto campestre (1520-1530 circa; penna e inchiostro bruno, acquerello bruno e gesso nero su carta, 29,1 x 40,9 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art
Girolamo Romani detto Romanino, Concerto campestre (1520-1530 circa; penna e inchiostro bruno, acquerello bruno e gesso nero su carta, 29,1 x 40,9 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto Martinengo (1540 circa; olio su tela, 67,8 x 83,8 cm; Montichiari, Museo Lechi)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto Martinengo (1540 circa; olio su tela, 67,8 x 83,8 cm; Montichiari, Museo Lechi)
Agostino Busti detto il Bambaja, La Battaglia di Brescia (1517-1522; marmo, 96 x 118,5 x 23 cm; Milano, Museo d'Arte antica del Castello Sforzesco)
Agostino Busti detto il Bambaja, La Battaglia di Brescia (1517-1522; marmo, 96 x 118,5 x 23 cm; Milano, Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco)
Paris Bordon, Madonna con il Bambino, San Giorgio e San Cristoforo (Pala Manfron) (1526-1527 olio su tela, 217 x 164 cm; Lovere, Accademia Tadini)
Paris Bordon, Madonna con il Bambino, San Giorgio e San Cristoforo (Pala Manfron) (1526-1527 olio su tela, 217 x 164 cm; Lovere, Accademia Tadini)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Sant’Orsola e le compagne (1536-1539; olio su tela, 210 x 141 cm; Museo d'Arte antica del Castello Sforzesco, proprietà Fondazione IRCCS)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Sant’Orsola e le compagne (1536-1539; olio su tela, 210 x 141 cm; Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco, proprietà Fondazione IRCCS)
Girolamo Romani detto Romanino, Uomo in armatura con cappello piumato e spadone (1514-1515 circa; olio su tela, 79,7 × 68 cm; New Orleans, New Orleans Museum of Art, The Samuel H. Kress Collection)
Girolamo Romani detto Romanino, Uomo in armatura con cappello piumato e spadone (1514-1515 circa; olio su tela, 79,7 × 68 cm; New Orleans, New Orleans Museum of Art, The Samuel H. Kress Collection)

In prestito opere da musei come: MET di New York, National Gallery di Washington, Getty Museum di Los Angeles, oltre a New Orleans, Allentown, National Gallery di Londra, Kunsthistorisches di Vienna e Szépművészeti di Budapest. Dall’Italia: Pinacoteca di Brera, Castello Sforzesco, Accademia Carrara di Bergamo, Museo di Castelvecchio di Verona, Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli, insieme a prestiti dal territorio lombardo e, in mostra, parte del patrimonio di Pinacoteca Tosio Martinengo e della Diocesi di Brescia che conservano alcuni tra i più importanti corpora di opere di Moretto, Romanino e Savoldo. I visitatori sono infatti invitati a completare l’immersione nel Cinquecento bresciano sia grazie a un percorso in città, tra edifici sacri e non solo, tra questi, la Chiesa dei Santi Nazaro e Celso che conserva il Polittico Averoldi di Tiziano – giunto a Brescia nel 1522 – sia nelle sale della Pinacoteca cittadina con le grandi pale d’altare di Moretto e Romanino. Il progetto permette inoltre ad alcune opere, dopo secoli, di tornare in città: è il caso dello Stendardo dei Disciplini dipinto da Moretto, in prestito da Possagno, già di proprietà di Antonio Canova, anche oggetto di un restauro realizzato in occasione della mostra. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira con testi di Letizia Barozzi, Barbara Bettoni, Marco Bizzarrini, Roberta D’Adda, Marco Faini, Querciolo Mazzonis, Fabrizio Pagnoni, Ester Pietrobon, Alessandra Quaranta, Barbara Maria Savy, Elisabetta Selmi. Diverse le attività educative previste per scuole di ogni ordine e grado, famiglie e adulti. Laboratori, workshop, una fitta programmazione di visite guidate, percorsi tematici permettono di conoscere il Cinquecento a tutti i pubblici.

Nella prima sezione, la drammaticità del Sacco di Brescia è evocata dalla Presa di Brescia dello scultore milanese Agostino Busti detto Bambaia, concepita per il monumento funebre del comandante francese che guidò l’operazione militare: Gaston de Foix. Fresco di restauro è invece lo Stendardo dei disciplini di Moretto, conservato nel Tempio Canoviano di Possagno. L’opera, appartenuta ad Antonio Canova, documenta l’importanza assunta nella Brescia del Cinquecento dalle confraternite laiche e dalle pratiche di orazione mentale in uso presso di esse: lo mette in luce il dettaglio – umano come solo Moretto è in grado di reinterpretarlo – del disciplino che di fronte all’apparizione della Vergine si leva frettolosamente il cappuccio per vederla e per farsi vedere meglio. Le inquietudini generate dal Sacco trovano pacificazione, come illustrato nella terza sezione della mostra, nella musica e nella natura, sintetizzate dal Pastore con flauto di Savoldo dal Getty Museum di Los Angeles. L’effigiato, probabilmente un gentiluomo sotto mentite spoglie, incarna lo spirito dell’intellettuale del tempo, dedito alla pratica musicale e attratto dalla vita rurale a contatto con la natura. Virtù, lusso e modalità di autorappresentazione sono veicolate nella quarta sezione della mostra, in cui spicca lo sfolgorante Gentiluomo (Allentown Art Museum) di Romanino, ammantato da un indimenticabile veste d’oro damascata. L’immagine guida dell’intera esposizione è il celebre ritratto di Fortunato Martinengo, nel cui sguardo enigmatico Moretto ha riversato le passioni, i dubbi, le aspirazioni e i sentimenti che caratterizzano i decenni raccontati dalla mostra.

La mostra è anche occasione per porre l’attenzione su alcune opere non abitualmente esposte o accessibili al pubblico: innanzitutto, il retro dello Stendardo dei disciplini di Moretto (Possagno, Tempio Canoviano) raffigurante Due santi – mutuati dalle incisioni di Dürer – oppure l’Arpicordo (Brescia, Musei Civici) dell’organaro bresciano Gianfrancesco Antegnati, restaurato per l’occasione. Era irrintracciabile dal 1924 l’arazzo raffigurante Marte, Venere e Cupido (Amsterdam, collezione privata), realizzato su cartone di Romanino e parte di un ciclo di sei esemplari allestiti in occasione del Matrimonio tra Girolamo Martinengo da Padernello ed Eleonora Gonzaga di Sabbioneta, celebrato a Brescia nel febbraio del 1543; viene presentato per la prima volta al pubblico anche il ritratto di Scipione Porcellaga del Museo di Castelvecchio (Verona) recentemente attribuito a Moretto.

Numerose opere in mostra non si vedono a Brescia da alcuni decenni. Il Filosofo (Vienna, Kunsthistorisches Museum) di Savoldo, fu esposto l’ultima volta in occasione della mostra monografica sull’artista del 1990; così anche tutta una serie di capolavori di Moretto, la cui ultima presenza a Brescia è registrata per la grande mostra dedicata al Bonvicino nel 1988. Tra questi si annoverano, solo per citarne alcuni, il San Rocco medicato da un angelo (Budapest, Szépművészeti Múzeum), il Cristo nel deserto tra gli animali (New York, The Metropolitan Museum of Art) e l’Uomo con clessidra (New York, The Metropolitan Museum of Art). Andando indietro nel tempo, risale al 1939 – in occasione della mostra La pittura del Rinascimento a Brescia – l’esposizione in città del Gentiluomo di Romanino (Allentown Art Museum), mentre si possono ammirare per la prima volta in assoluto a Brescia capolavori come l’Uomo in armatura con cappello piumato e spadone (NOMA – New Orleans Museum of Art) sempre di Romanino o il San Giovanni Battista nel deserto (Los Angeles, LACMA – Los Angeles County Museum of Art) di Moretto. Non era mai stato a Brescia anche il Ritratto di Altobello Averoldi della National Gallery of Art di Washington, opera di Francesco Francia; lo stesso vale per il grande piatto urbinate in maiolica, dipinto con lo stemma della famiglia Calini, che arriva dal Getty Museum di Los Angeles a raccontare una storia finora sconosciuta ai più.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira con schede critiche e con un apparato di saggi che mettono in relazione i temi pittorici con letteratura, musica, filosofia, scienza a firma di Letizia Barozzi, Barbara Bettoni, Marco Bizzarrini, Marco Faini, Querciolo Mazzonis, Fabrizio Pagnoni, Ester Pietrobon, Alessandra Quaranta, Barbara Maria Savy, Elisabetta Selmi. La mostra è visitabile grazie al supporto della App di visita gratuita Easyguide nella quale si potrà anche ascoltare la traccia sonora del madrigale a quattro voci O morte? – Holà! leggibile sugli spartiti posti l’uno alle spalle e l’altro davanti al Flautista di Savoldo, gentilmente concessa dalla Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia. Due i Dossier (Giunti) dedicati ai maestri bresciani pubblicati in occasione della mostra negli anni di elaborazione del progetto: il primo Moretto e il Rinascimento bresciano (#413), firmato dai tre curatori del programma espositivo oggi in presentazione, il secondo Romanino (#425), curato da Francesco Ceretti, Roberta D’Adda e Nicola Turati. Due anche le storie originali pubblicate dal magazine Topolino (Panini Comics) per raccontare ai bambini e alle famiglie l’atmosfera e i protagonisti della mostra bresciana: Minni, Pippo e il mistero del Topoldo (#3549) ispirata al Flautista di Savoldo e Gastone e l’illustre Fortunato (#3595), al personaggio di Fortunato Martinengo, in edicola nella settimana di inaugurazione e sempre su Panini.it.

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraIl Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552
CittàBrescia
SedeMuseo di Santa Giulia
DateDal 18/10/2024 al 16/02/2025
ArtistiGiovanni Gerolamo Savoldo, il Moretto, il Romanino
CuratoriRoberta D'Adda, Enrico Valseriati, Filippo Piazza
TemiRinascimento, Cinquecento, Arte antica, Brescia

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