Il Comune di Brescia e la Fondazione Brescia Musei, diretta da Stefano Karadjov, presentano per la prima volta in Italia, dall’16 novembre 2019 al 6 gennaio 2020, al Museo di Santa Giulia, una personale dell’artista e giornalista curda Zehra Doğan (Diyarbakir, Turchia, 1989).
Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche è un progetto originale curato da Elettra Stamboulis e costituisce la prima mostra di impianto critico curatoriale dedicata all’opera della fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha” e sarà aperta al pubblico da sabato 16 novembre 2019 al 6 gennaio 2020. Dopo il grande successo della performance organizzata lo scorso maggio presso la Tate Modern di Londra, città in cui Zehra Doğan ha scelto provvisoriamente di vivere il proprio esilio, l’artista è ora protagonista a Brescia di una potente esposizione, in occasione della sua partecipazione al Festival della Pace, organizzato dal Comune di Brescia e dalla Provincia di Brescia.
L’arte di questa artista si interseca e intreccia con la vicenda personale e, inevitabilmente, con i drammatici eventi politici della più stringente attualità. La mostra fa luce sulla sua poetica, affrontandone le tematiche e i motivi ricorrenti, evidenziandone la complessità linguistica e mostrando l’ampia gamma di supporti e tecniche utilizzate per produrre opere d’arte: oggetti inconsueti, estremamente fragili, ma di grande potenza espressiva.
Il percorso espositivo concepito da Elettra Stamboulis riunisce circa 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.
Accanto alle immagini, anche brani del diario scritto durante la prigionia. Si tratta di riflessioni in cui Zehra Doğan più volte fa riferimento ad artisti che nel corso della storia hanno manifestato il proprio dissenso senza pagarne, almeno apparentemente, le conseguenze e a quegli artisti che invece si rifiutano di prendere una posizione.
La mostra dà conto della necessità irrefrenabile di produrre e raccontare non tanto la propria, quanto l’altrui condizione con l’immagine e la parola. Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto: ne emerge una amplissima gamma di strumenti e materiali, spesso legata alle particolari contingenze entro le quali le opere hanno trovato vita. Qualunque elemento tratto dal quotidiano incorre nella creazione, come il caffè, gli alimenti, il sangue mestruale o i più tradizionali pastelli e inchiostri, quando reperibili.
Una prima sezione della mostra è dedicata alle macchie, forme generatesi dalla casuale sovrapposizione di materiale a un supporto scelto in quel momento come superficie creativa. A partire dalle macchie l’artista delinea un immaginario simbolico, dominato dalla figura umana sintetizzata nell’esaltazione di alcune componenti specifiche come gli occhi, le mani e gli attributi della femminilità. La figura femminile, quale singolo individuale o corpo collettivo, costituisce la seconda sezione di questo itinerario. Attivista femminista, tra i primi giornalisti internazionali ad avere raccolto le testimonianze delle donne Yazide scampate all’ISIS, Doğan dedica alla rappresentazione della donna la parte più vasta della propria produzione.
Il corpo rientra nella rappresentazione politica con scene di guerra in cui di nuovo incorre la predominanza della presenza femminile, a sottolineare come la prima delle battaglie da vincere sia quella contro il patriarcato. Pablo Picasso, quello di Guernica e dell’elaborazione di un linguaggio specifico della disperazione è, nelle parole dell’artista stessa, il punto di riferimento fondamentale per definire una narrativa del dolore.
Conclude la mostra un nucleo di opere create dopo l’esperienza in carcere.
Zehra Doğan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan, il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita. In tutto questo periodo, l’artista non ha mai cessato la propria attività artistica e giornalistica, realizzando opere con materiale di recupero, collaborando con le compagne detenute nella costruzione di immagini e nella realizzazione di un giornale di bordo che documentasse la loro detenzione.
La mostra Avremo anche giorni migliori - Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche è affiancata da un ricco programma di attività di approfondimento per il pubblico adulto, per le famiglie e le scuole, a cura dei Servizi educativi della Fondazione Brescia Musei. Tra questi appuntamenti, anche un incontro aperto al pubblico in mostra con l’artista dedicato alla memoria di Hevrin Khalaf, in calendario sabato 23 novembre alle 16.00.
La mostra è resa possibile grazie all’impegno del web magazine Kedistan (“Il Paese dei gatti” in turco) che ha curato il salvataggio e il trasporto delle opere di Zehra Doğan dalla Turchia e che si occupa dell’archivio dell’artista e di Associazione Mirada, partner del progetto.
Un ringraziamento particolare per la sensibilità dimostrata al progetto a Abracadabra Cooperativa Sociale onlus, alla Associazione Cuochi Bresciani, alla Strada del Vino Colli dei Longobardi che concorreranno al buffet dell’inaugurazione aperto a tutta la cittadinanza.
Per tutte le informazioni potete visitare il sito ufficiale della Fondazione Brescia Musei. Di seguito alcune foto delle opere in mostra.
Zehra Doğan, Kuş kadinlar, “Donne uccello” (2019, carcere di Tarso; penna a sfera su tessuto, 150 x 142 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
ehra Doğan, Kervan 1, Caravan 1 (2017, carcere di Diyarbakir; curcuma, caffè, penna da disegno su carta, 21 x 30 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Zehra Doğan, Fatıma’nın Eli, “Mano di Fatima” (Novembre 2018, carcere di Diyarbakir; tè, caffè, ricamo, penna a sfera su federa, 58 x 34 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Zehra Doğan, Gever (26 febbraio 2018, carcere di Diyarbakir; penna a sfera, tè su asciugamano, 146 x 97 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Zehra Doğan, Hayallerim, “I miei sogni” (2018, carcere di Diyarbakir; olio alimentare, matita nera, succo di melograno, vernice procurata clandestinamente su carta da lettera, 21 x 30 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Zehra Doğan, Özdinamik, “Auto-dinamica” (2017, carcere di Diyarbakir; penna a sfera, caffè, curcuma, succo di prezzemolo su giornale, 67 x 56 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Zehra Doğan, Senza titolo (2019, Londra; miscele naturali su tela, 77 x 50 cm). Photo credit: Jef Rabillon |
Titolo mostra | Avremo anche giorni migliori – Zehra Do?an. Opere dalle carceri turche | Città | Brescia | Sede | Museo di Santa Giulia | Date | Dal 16/11/2019 al 06/01/2020 | Artisti | Zehra Doğ | Temi | Arte contemporanea |
Brescia, l'artista curda Zehra Doğan in mostra con le opere che raccontano la sua esperienza nelle carceri turche |