Eclettico, ambizioso, raffinato: parliamo di Sebastiano Luciani (Venezia, 1485 – Roma, 1547), meglio conosciuto come Sebastiano del Piombo, tra artisti più versatili e originali del Cinquecento veneziano. Ed è proprio l’arte di Sebastiano ad essere al centro di un approfondito volume della storico dell’arte Enrico Maria Dal Pozzolo, specializzato in pittura veneta del Rinascimento e del Barocco. Il libro, intitolato Sebastiano Del piombo - Da Giorgione a Raffaello e Michelangelo, un pittore musico tra Venezia e Roma (1501-1511), appena uscito per ZeL Edizioni (432 pagine), restituisce un’analisi completa dell’artista. La carriera di Sebastiano del Piombo attraversa due mondi artistici distinti: da un lato, la raffinata cultura veneziana, dove si formò sotto l’influenza di maestri come Giovanni Bellini conosciuto anche come “Zuane Belin” (Venezia, 1430 circa – 1516) e Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 circa – Venezia, 1510); dall’altro invece, la Roma dei grandi mecenati, una città plasmata sotto il tocco geniale di Michelangelo (Caprese, 1475 – Roma, 1564) e Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520). Nella sua città natale, Venezia, Sebastiano assorbì il tonalismo e la sensibilità cromatica che caratterizzavano la pittura locale, mentre a Roma sperimentò un linguaggio monumentale, condizionato dal contatto diretto con Buonarroti, con cui instaurò un rapporto di collaborazione e ispirazione reciproca. Solo nel 1511, su invito del banchiere Agostino Chigi, Sebastiano si trasferì a Roma: lì, all’interno della scena artistica della città eterna, Sebastiano lasciò sicuramente un’impronta indelebile. Seppe infatti integrare la ricchezza della sua formazione veneziana tramite il disegno vigoroso. I risultati? Furono esiti innovativi che lo resero una figura di rilievo, seppur spesso in ombra rispetto ai nomi del periodo. La sua carriera ebbe poi una svolta significativa nel 1531, quando ricevette il titolo di piombatore pontificio della Cancelleria Apostolica, un incarico che gli garantì indubbiamente una sicurezza economica, ma che lo portò a ritirarsi progressivamente dall’arte. Sebastiano infatti si allontanò dalla pratica pittorica preferendo godersi i privilegi e le sicurezze economiche derivanti dall’incarico, come sottolineato da Giorgio Vasari nelle sue maestose Vite del 1550. Nato a Venezia intorno al 1485, l’artista è descritto inoltre da Vasari come un eccellente musicista, particolarmente abile nel suonare il liuto.
“Fu allevato in Vinegia, e dilettossi continovamente delle cose d’amore, e piacqueli il suono del liuto mirabilmente, anzi tanto, che egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente che egli era spesso per quello adoperato a diverse musiche et onoranze et ragunate di persone nobili. Dicono che Sebastiano in Vinegia nella prima sua giovanezza si dilettò molto de le musiche di varie sorti. Ma perché il liuto può sonar tutte le parti senza compagnia, quello continuò, di maniera che insieme con altre buone parti che aveva, lo fece sempre onorare e fra i gentiluomi di quella città per virtuoso conoscere”, così scrive l’autore nella biografia del 1547 Sebastiano Veniziano pittore.
Ad ogni modo, la musica non fu la sua unica vocazione: solo successivamente e non più giovane, decise di intraprendere la carriera artistica, formandosi inizialmente nella bottega di Bellini e, successivamente, sotto la guida di Giorgione. Con quest’ultimo sviluppò un legame stretto, tanto da essere considerato uno dei suoi migliori allievi insieme a Tiziano. Nel 1528 tornò per un breve periodo a Venezia, in occasione del matrimonio della sorella Andriana. Sebbene le informazioni sui suoi primi anni a Venezia siano scarse, il volume dedica ampio spazio a una ricostruzione dettagliata di quel periodo e fa luce su nuove prospettive e interpretazioni legate all’artista. Il libro esamina l’ipotesi suggerita da Vasari secondo cui Sebastiano avrebbe iniziato la sua carriera come musicista e affronta un tema mai approfondito sistematicamente: il ruolo dei pittori-musicisti nella Venezia tra Quattrocento e Cinquecento. Ecco; è questo aspetto che costituisce il nucleo fondamentale della seconda sezione del libro, curata con il contributo di Cristina Farnetti, che esamina il legame tra pittura e musica in un contesto culturale formato dall’influenza di Ottaviano Petrucci (Fossombrone, 1466 – Venezia, 1539), tipografo marchigiano che, a partire dal 1501, rivoluzionò l’editoria musicale. L’opera di Petrucci, con l’obiettivo di diffondere libri di musica polifonica, descrive una chiave di lettura essenziale per decifrare il panorama culturale e artistico del periodo. Sebbene infatti manchino testimonianze dirette che associno Sebastiano alla pratica musicale, il volume Sebastiano Del piombo - Da Giorgione a Raffaello e Michelangelo restituisce un ritratto intenso e completo del contesto sociale e artistico in cui egli operò e approfondisce le relazioni tra pittori, musicisti e committenti. Di particolare interesse è inoltre l’analisi dell’iconografia musicale sviluppatasi a Venezia nei primi due decenni del Cinquecento.
Per quanto riguarda Sebastiano, anche lui doveva esser molto pratico di musica (viene a più riprese definito “pittore/musico” nel libro), e alcuni tratti del suo stile e della sua produzione pittorica evocano l’atmosfera musicale della Venezia del tempo, suggerendo in questo modo un legame indiretto con quel mondo. “Un giovane pittore attratto dalla musica come Sebastiano, che allora fosse entrato nelle principali chiese cittadine, avrebbe potuto ascoltarvi composizioni sacre perlopiù appartenenti al repertorio franco-fiammingo, ormai diffuso capillarmente in tutta la Penisola, anche grazie al radicamento di figure di rilievo come quella di Josquin Desprez”, scrive Dal Pozzolo, e allo stesso tempo, “osservando le pale e i polittici sugli altari, si sarebbe facilmente accorto di come – da una ventina d’anni, o poco più – i richiami alla sfera musicale manifestati dai pittori si fossero fatti più frequenti e che alla ricorrente rappresentazione di strumenti si accompagnasse una precisione crescente nella resa della posizione delle dita e delle posture dei suonatori”. Ma chi erano le figure che, nel panorama artistico dell’epoca, ebbero più confidenza con la musica? Moltissime: tra gli altri, Giorgione con opere come Fregio di Castelfranco Veneto o le Tre età dell’uomo, Tiziano, Vittore Capaccio che ha dipinto musicisti con estrema precisione filologica nel Battesimo dei seleniti o angeli musicanti nella Madonna col Bambino e santi della Cattedrale di Capodistria, e Giovanni Busi, detto il “Cariani” (Fuipiano al Brembo, 1485 circa – Venezia, 1547). Furono loro gli artisti che hanno saputo fondere in maniera più esplicita pittura e musica. Qual è quindi, in questo senso, lo scopo del volume? Approfondire le dinamiche di scambio e influenza tra le personalità e mettere in luce come l’ambiente veneziano, con la sua cultura vivace e la sua inclinazione all’innovazione, rappresentasse un terreno fertile per l’interazione tra le varie espressioni artistiche del tempo. Non solo: la musica potrebbe esser stata determinante per il trasferimento di Sebastiano a Roma, dal momento che (questa è la tesi del libro), forse la folgorazione di Agostino Chigi per Sebastiano dipendeva dal fatto che “quest’ultimo gli apparve un musicista sostanzialmente diverso da tutti quelli cui il patrono era abituato, professionisti e dilettanti” proprio in ragione per il suo interesse per il succitato Petrucci, che forse ebbe qualche influenza sul modo in cui Sebastiano suonava.
La terza sezione di Sebastiano Del piombo - Da Giorgione a Raffaello e Michelangelo si concentra sull’evoluzione stilistica e artistica di Sebastiano, un argomento che ha attirato l’attenzione della critica moderna grazie a studiosi come Rodolfo Pallucchini, Michael Hirst, Mauro Lucco e Alessandro Ballarin. Nonostante infatti i progressi compiuti nella costruzione e definizione del suo profilo, continuano ad esistere diversi dubbi sulle sue prime opere e sulla loro cronologia. Ecco quindi che si propone una sequenza particolarmente valida dei lavori di Sebastiano: sequenza che traccia un percorso che parte dal 1505 (anno in cui si documenta il suo primo dipinto), fino al 1511, anno, appunto, del suo trasferimento definitivo a Roma. Nel primo periodo del Cinquecento, già anticipato precedentemente, Sebastiano affermò la propria pratica artistica caratterizzata da una sintesi tra l’eredità veneta e le impressioni romane. Il legame tra le due tradizioni sia culturali che artistiche ha dato perciò vita ad una ricerca artistica che avrebbe trovato la sua piena espressione solo negli anni successivi. Un elemento chiave dell’analisi è la relazione complessa tra Sebastiano e Giorgione, figura centrale per la sua formazione. Vasari e Marcantonio Michiel, letterario, collezionista d’arte e fonte particolarmente attendibile, ne confermano l’influenza. Entrambi ipotizzano che Sebastiano abbia collaborato con Giorgione e Vincenzo Catena dopo aver lasciato l’atelier del maestro Bellini. Tra le opere di quel periodo, le ante dell’organo della chiesa di San Bartolomeo realizzate nel 1508, rappresentano un momento importante della sua carriera, di grande valore, significato, ma soprattutto l’inizio della sua autonomia creativa. Da non dimenticare è inoltre la pala della chiesa di San Giovanni Crisostomo, capolavoro descritto anche da Vasari e Sansovino.
Una simile prospettiva permette di inquadrare anche tre Madonne attribuite a Giorgione e che potrebbero testimoniare, in diverse fasi di evoluzione stilistica, la presenza di Sebastiano accanto al maestro. Per le prime due l’attribuzione resta una possibilità plausibile, mentre per una terza l’ipotesi assume un grado di probabilità più elevato. Tale conclusione si fonda su un’intuizione di Rodolfo Pallucchini formulata nel 1935, poi approfondita nel volume dedicato a Luciani del 1944 e ulteriormente sviluppata da Sydney Freedberg, sia in forma sintetica nel suo Painting in Italy 1500-1600, sia con maggiore dettaglio nel saggio dedicato al giovane Sebastiano. La prima è la Madonna col Bambino o Madonna leggente del 1505 e conservata nell’Ashmolean Museum di Oxford. Nel XVIII secolo l’opera venne attribuita al maestro di Castelfranco quando faceva parte della collezione del duca di Tallard. L’attribuzione giorgionesca fu in realtà accettata dalla maggior parte degli studiosi. L’unica voce autorevole contraria fu quella di Jayne Anderson che la riteneva opera di un anonimo di formazione del Bellini influenzato dallo stile giorgionesco del 1506. Se però consideriamo la tecnica pittorica e l’armonia della Vergine con la figura della Natività Allendale o Adorazione dei pastori Allendale del 1500 e conservata a Washington, l’idea che un’opera del genere possa essere stata realizzata a Venezia senza il coinvolgimento della bottega giorgionesca appare improbabile. Si tratta più di un’opera di rara bellezza, inondata di luce, che mostra una libertà formale quasi preimpressionistica. Analogamente a Palma il Vecchio, autore di una tavola dalla composizione simile conservata a Berlino, Giorgione trasse ispirazione da una xilografia di Hans Burgkmair, riprendendone dettagli caratteristici come il cuscino di nappe.
In verità, l’impiego di una fonte visiva di origine tedesca risulterebbe in realtà coerente con le abitudini di Sebastiano, noto appunto per l’adozione di materiali grafici provenienti dalla tradizione tedesca. Un’analisi più approfondita ha evidenziato contraddizioni qualitative e ha sollevato dubbi sulla percentuale di autografia. Tutto questo ha suggerito l’intervento di un assistente. La radiografia, già interpretata nel 1978 da Ludovico Mucchi, sostiene l’idea di una sovrapposizione di mani, proponendo l’ipotesi che la seconda mano possa essere quella di Sebastiano, con una collaborazione che si colloca intorno al 1506, forse in concomitanza con il dipinto dei Tre filosofi del 1509. La qualità pittorica dell’opera, insieme alla sua affinità con la Sacra Famiglia Benson (1500) anch’essa conservata a Washington, rende improbabile che sia stata realizzata senza il coinvolgimento della bottega di Giorgione. L’ipotesi che Sebastiano possa aver collaborato con Giorgione in alcune opere appare legittima, considerando le affinità già sottolineate da Freedberg, come quella tra la figura di Gesù nella tavola della Madonna leggente e quella presente nella Madonna col Bambino e i santi Caterina e Giovanni Battista o Sacra contemplazione del 1505 (Venezia, Gallerie dell’Accademia). Sebbene il dubbio riguardo alla collaborazione non sia dimostrabile, la possibilità che Sebastiano abbia contribuito all’esecuzione di alcune parti dell’opera è piuttosto credibile, specialmente in virtù delle analogie stilistiche e delle condizioni di conservazione che hanno mutato alcuni tratti, come il volto della Vergine. Per quanto riguarda la Sacra conversazione, la scena raffigura la Madonna seduta con il Bambino Gesù sulle cosce, mentre i due santi, Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista sono posti ai lati. Battista indica la croce e prefigura la Passione futura di Cristo ed enfatizza il tono drammatico contemplativo della scena. La luce che innalza i personaggi e la finestra che apre sul paesaggio contribuiscono a creare una composizione totalmente armoniosa. Oltre a ciò, la scena così illuminata scopre anche dettagli paesaggistici che rimandano a quelli presenti sullo sfondo dei Tre filosofi di Giorgione. Tutto ciò conferisce quindi una continuità stilistica tra le opere.
Tra le principali novità del volume figura un recupero per gli esordi di Sebastiano del Piombo, vale a dire una tavola conservata in collezione privata e raffigurante una Giovane donna a mezzo busto di profilo, presentata per la prima volta nel libro di Dal Pozzolo, molto simile a un’analoga opera attestata già nell’Ottocento, in passato attribuita a Vincenzo Catena e nel 2016 assegnata a Sebastiano del Piombo. Nel volume, Dal Pozzolo restituisce a Catena quest’ultima opera e ritiene che l’opera di cui si dà conto per la prima volta nel volume sia invece opera di Sebastiano: sono talmente simili che forse venne usato lo stesso cartone. Nel 2020, grazie alla disponibilità dei proprietari, le due opere sono state messe a confronto ed è emerso che entrambi gli esemplari dimostrano un’origine veneta di primo ‘500, sono nati nello stesso ambiente, e che le leggere difformità stilistiche (quella inedita denota uno sguardo più profondo e una costruzione plastica della mano meno gracile) lascino supporre due mani diversi: l’opera di maggior qualità sarebbe dunque da assegnare a un pittore più sensibile quale era Sebastiano, attribuzione confortata anche dal confronto con opere successive, come la pala di San Giovanni Crisostomo (e in particolare la figura di santa Caterina).
Per quanto riguarda le opere dubbie, l’autore del volume esprime prudenza sul Pastore con flauto di Wilton House (soggetto variamente replicato: l’esemplare inglese è quello di maggior qualità e, se fosse di Sebastiano, sarebbe la sua prima testimonianza di iconografia musicale nota), così come sul Suonatore di cornetto del Kunsthistorisches Museum di Vienna, mentre viene scartata la possibilità di autografia per la Cerere di Berlino, considerata una copia malgrado anche nel passato recente diversi importanti studiosi abbiano difeso la paternità di Sebastiano, così come per la Visitazione delle Gallerie dell’Accademia, ritenuta opera della cerchia di Sebastiano, forse dell’erede Giovanni Cariani, al quale il libro dedica un intero capitolo, per poi avviarsi alla conclusione con approfondite analisi dei celebri capolavori romani.
Il volume ha un approccio che si potrebbe definire riformatore. Combina prospettive multidisciplinari, i capitoli affrontano temi fondamentali attraverso un’analisi dettagliata delle opere, delle fonti storiche e del contesto culturale in cui Sebastiano operò. Particolare rilievo è dato ai suoi rapporti con figure note dell’epoca, come Isabella d’Este, Agostino Chigi e Andrea Antico, le cui influenze furono determinanti nel modellare il suo percorso sia artistico che umano. Oltre ad approfondire diversi aspetti della figura di Sebastiano del Piombo, lo studio presenta anche una nitida rappresentazione di un’epoca segnata da un forte fermento creativo e da un linguaggio continuo tra discipline diverse.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.