Dal barocco alla gloria, la scultura milanese del Seicento in un volume di Susanna Zanuso


Dal rigore stilistico del Duomo alle opere di Dionigi Bussola e Marco Antonio Prestinari, il panorama della scultura a Milano nel Seicento è oggetto di un approfondito libro di Susanna Zanuso, “La scultura del Seicento a Milano”. Ecco di cosa parla.

Milano, XVII secolo. In un periodo di grande fermento culturale e artistico ma anche fortemente segnato dalle vicissitudini politiche e sociali del tempo, la Capitale del Ducato, a quel tempo sotto il dominio della monarchia spagnola, si differenziava all’interno del panorama artistico italiano per la sua raffinata e peculiare produzione scultorea. E proprio la scultura milanese del Seicento è l’oggetto di un approfondito libro, da poco uscito, della storica dell’arte Susanna Zanuso, che da anni studia questo tema: s’intitola La scultura del Seicento a Milano (412 pagine, 60 euro, ISBN 9788894489231) e vuole essere, come dichiara Walter Padovani, presidente dell’Associazione Amici di Federico Zeri che lo ha pubblicato, uno “strumento di approfondimento con un ricco repertorio di opere note e soprattutto meno note, quando non inedite, affiancato da una ventina di biografie di artisti anche sconosciuti”. Un libro che si presenta con una struttura molto semplice: un saggio introduttivo seguito da diversi capitoli monografici dedicati alle personalità della scultura che operarono nella Milano seicentesca.

Le opere lombarde del Seicento, ricorda Zanuso proprio nel suo saggio d’apertura, sono caratterizzate da due fattori principali: la marcata aderenza alle tradizioni del territorio e la tendenza alla chiusura stilistica rispetto alle influenze esterne. L’indipendenza formale non è considerata un limite per la Milano del Seicento, viene piuttosto affermata come il fulcro della sua forza creativa, una potenza capace di sviluppare un linguaggio incomparabile, pur rimanendo in dialogo con i centri artistici dell’epoca. Sebbene criticata da studiosi come Rudolf Wittkower, la chiusura stilistica milanese ha permesso lo sviluppo di un linguaggio artistico del tutto autonomo.

La copertina del libro
La copertina del libro

L’importanza del cantiere del Duomo di Milano

Un panorama che può essere ricondotto alla costruzione del Duomo di Milano e delle sue decorazioni scultoree, un’attività architettonica complessa. Il risultato si presenta come un’opportunità imperdibile per la formazione e l’affermazione di una generazione di scultori locali. Organizzati in una scuola rifondata nel 1612 grazie all’eredità del nobile e politico Guido Mazenta, i maestri e gli allievi del cantiere del Duomo collaborarono insieme in un sistema dal rigore tecnico aderendo alle esigenze devozionali e commemorative del tempo.

Ma per cosa si contraddistingue di preciso la scultura della scuola milanese? Indubbiamente, secondo Zanuso, per l’immediatezza nell’espressione, una calcata drammaticità, oltre ad un forte radicamento nelle esigenze spirituali del periodo. Tutte caratteristiche evidenti in opere come il gruppo scultoreo Caino e Abele di Dionigi Bussola (1615 – Milano, 1687), realizzato tra il 1663 e il 1672 per l’esterno del Duomo, emblema dell’identità culturale della città. Sebbene la propensione per l’autosufficienza artistica milanese, non mancavano le aperture verso l’esterno. Episodi come il tentativo nel 1644 di coinvolgere artisti come Andrea Bolgi detto il Carrarino (Carrara, 1606 – Napoli, 1656), collaboratore di Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680), Bussola o Carlo Antonio Bono, testimoniano l’interesse di Milano nel confrontarsi con i principali centri artistici dell’epoca. Bolgi, ad esempio, autore della Sant’Elena, una delle quattro statue poste nei piloni della cupola di San Pietro e realizzata tra il 1629 e il 1639, era noto per la sua capacità di tradurre i principi dell’arte barocca del Bernini in un linguaggio del tutto personale dal grande impatto emotivo. Lo scopo della città rifletteva quindi la volontà dei committenti milanesi di aggiornare la scena artistica locale, portandola in sintonia con le innovazioni stilistiche provenienti da Roma, allora epicentro del barocco europeo. Nonostante ciò, le influenze esterne non hanno mai compromesso l’identità della scuola milanese, che pur mantenendo il proprio carattere distintivo è stata capace di assimilare elementi nuovi e farli propri. Il cantiere della cattedrale si delineava quindi come l’emblema fiorente di una tradizione artistica singolare e innovativa che ha trovato forma nella materia caratterizzante del marmo di Candoglia.

Pregevole, maestoso, raffinato e caratterizzato da sfumature che spaziano dal bianco al rosa, il marmo è la scelta più giusta per il rivestimento della basilica. La motivazione? La decisione risiede nella voglia di trasmettere con determinazione una potenza visiva in grado di coinvolgere i fedeli, accettando allo stesso tempo alcune limitazioni alla precisione esecutiva rispetto a materiali più malleabili. Alla scelta del marmo di Candoglia si unisce inoltre anche una visione e valenza apotropaica delle opere scultoree che hanno contribuito a creare mistero e magnificenza. E quando parliamo di “valenza apotropaica” facciamo riferimento ad un’intenzione che attribuisce a un oggetto, un’immagine o un’azione la capacità di allontanare il male o le influenze negative. Ecco, le opere del Duomo hanno questa funzione.

Molti dei progetti, come le volte delle cappelle o l’impresa degli Angeli adoranti collocati nelle nicchie dei piloni prospicienti il coro, prevedevano sculture posizionate a un’altezza irraggiungibile per lo sguardo umano. In realtà, più che per il dettaglio delle singole opere, la grandiosità dell’intero complesso colpiva per l’enorme quantità di opere presenti. Già alla fine del Seicento infatti, Carlo Torre, grande conoscitore della pittura della sua epoca, catalogava “quattromila e quattrocento statue, e nelle interiori e nelle esteriori parti”, conteggio che evidenziava l’imponenza della cattedrale.

Dionigi Bussola, Caino e Abele (1663-1672; Milano, Duomo)
Dionigi Bussola, Caino e Abele (1663-1672; Milano, Duomo)
Giovanni Battista Maestri detto Volpino (attribuiti a), Angeli adoranti (Milano, Duomo)
Giovanni Battista Maestri detto Volpino (attribuiti a), Angeli adoranti (Milano, Duomo)

Gli artisti del primo Seicento: dagli ultimi legami col manierismo al barocco

Tra le opere più significative del cantiere possiamo sicuramente sottolineare i rilievi delle Storie della Vergine nel tornacoro del Duomo, avviati nei primi anni del XVII secolo da Gianandrea Biffi (1580/1581 – Milano, 1630/1631) e Marco Antonio Prestinari (Claino, 1570 - Milano, 1621). Biffi, erede di Francesco Brambilla il Giovane, di cui fu l’allievo, assunse il ruolo del maestro in Duomo alla sua morte nel 1599. Particolarmente abile nella creazione di modelli in materiali plastici come cera e terracotta, Gianandrea Biffi dava forma a bozzetti destinati a essere plasmati in marmo o bronzo da altri artigiani, tra cui scultori, orefici e fonditori. Marco Antonio Prestinari invece, di formazione più ampia, tra il 1600 e il 1602 ebbe importanti rapporti con la corte di Parma e Piacenza. Tutto ciò gli permise di allargare la sua conoscenza artistica. La sua produzione, caratterizzata inizialmente da una vena manierista, si manifesta in opere come i Telamoni michelangioleschi del santuario di Saronno e l’Ercole con il leone nemeo (riscoperto da poco). Con il passare degli anni, il suo stile si mosse verso un classicismo più decoroso, colto e misurato in sintonia con gli ideali artistici del cardinale Federico Borromeo (Milano, 1564 – 1631), che lo considerava il miglior scultore della sua epoca.

Un contributo di grande rilievo al cantiere è stato dato inoltre dallo scultore e pittore Giovanni Bellandi, vicino all’ambiente artistico genovese, il cui stile si differenziava per un approccio indipendente e progressista. Nei rilievi come le Nozze di Cana del 1620, Bellandi analizzava soluzioni stilistiche in grado di trasformare il marmo in una disciplina quasi pittorica, ispirandosi alle espressioni artistiche dei pittori e scultori Giovanni Battista Crespi detto il Cerano (Romagnano Sesia, 1573 – Milano, 1632) e Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1574 – Milano, 1625). Bellandi aveva già lavorato in cantieri prestigiosi come Sant’Alessandro e la Certosa di Pavia, entrambi dominati nella prima metà del secolo dalla presenza di scultori provenienti da Genova: nonostante ciò il suo stile così tanto indipendente, non trovò in realtà ulteriori sviluppi. Ora, oltre a Giovanni Bellandi, Gianandrea Biffi e Marco Antonio Prestinari, all’interno del panorama della scultura Seicento milanese furono presenti figure come Giovan Pietro Lasagna e Giovanni Battista Maestri, detto il Volpino.

Nel passaggio che segna il tramonto del tardo manierismo e l’affermarsi del barocco romano, emersero inoltre artisti come Gaspare Vismara (Milano, 1588 – Arese, 1703) e Lasagna, entrambi sopravvissuti alla peste del 1630 e attivi fino ai primi anni Cinquanta. I due scultori vennero chiamati a realizzare opere ispirate ai progetti di Cerano, tra cui le sculture della facciata di San Paolo Converso e i rilievi per il Duomo. In particolar modo, nel 1631 Vismara cercò di affermare la propria arte con la Carola d’angeli destinata alla porta maggiore della Cattedrale, opera che egli stesso definì tra le più impegnative e grandiose mai realizzate. In realtà il risultato non raggiunse pienamente le aspettative. Del lavoro di Vismara vi sono riferimenti a opere studiate e create per collezioni private, tra cui un Cupido che faceva parte della Galleria del Castellazzo del collezionista Galeazzo Arconati.

Marco Antonio Prestinari, Ercole e il leone nemeo (Collezione privata)
Marco Antonio Prestinari, Ercole e il leone nemeo (Collezione privata)
Giovanni Bellandi, Nozze di Cana (1620-1623; Milano, Duomo, tornacoro)
Giovanni Bellandi, Nozze di Cana (1620-1623; Milano, Duomo, tornacoro)
Gaspare Vismara, Carola d’angeli (1636; Milano, Museo del Duomo)
Gaspare Vismara, Carola d’angeli (1636; Milano, Museo del Duomo)

I protagonisti dei decenni centrali del Seicento a Milano

La produzione di opere di piccole dimensioni, aspetto considerato secondario nella tradizione artistica milanese, ha rappresentato un terreno fertile di sperimentazione per molti artisti locali. Sicuramente un campo trascurato dagli studi storici, attualmente si rivela come una chiave di lettura fondamentale per comprendere l’evoluzione della scultura milanese tra il XVII e il XVIII secolo. Ad ogni modo, Giovan Pietro Lasagna protagonista della Milano del Seicento, risulta essere tra gli scultori più interessanti dell’epoca. Tra le opere più note è presente il gruppo marmoreo di Venere e Adone, anch’esso da poco riscoperto, che conferma la capacità dell’artista di fondere stili e influenze diverse. Nel suo lavoro si percepisce infatti un confronto tra il manierismo di Francesco Prestinari, caratterizzato da una tensione formale complessa, e la fluidità pittorica e narrativa del Cerano. Un elemento centrale nell’attività di Lasagna emerge inoltre dai documenti che, tra il 1642 e il 1643, registrano diversi compensi per la creazione di statuette equestri destinate alla famiglia Trivulzio. Sebbene i bronzetti non siano stati individuati, suggeriscono infatti che Lasagna fosse un creatore di manufatti decorativi di piccolo formato, oltre che un maestro di opere monumentali.

Nel 1645, due ulteriori figure vennero coinvolte nei lavori del Duomo: Dionigi Bussola, appena tornato da un periodo di studio e lavoro a Roma, e Carlo Antonio Bono, suo collaboratore e amico. Bono aveva studiato con Francesco Mochi (Montevarchi, 1580 – Roma, 1654), tra gli iniziatori del barocco italiano, conosciuto sia per il suo approccio energico, che per l’attenzione al dettaglio anatomico, aspetto evidente nell’opera Annunciazione del 1603. L’influenza di Mochi si fece sentire su Bono e su altri artisti milanesi come Procaccini e Bellandi, citati precedentemente. Con Bussola che divenne protostatuario, quindi direttore dei lavori del Duomo nel 1658, si affermò una nuova generazione di scultori.

Gli artisti, pur adottando i canoni decorativi del barocco romano che prevedevano l’uso di putti e drappeggi elaborati, svilupparono anche un linguaggio narrativo decisamente più intimo e modesto, in contrasto con le rievocazioni solenni tipiche di Roma. Un esempio? Le Allegorie delle Scienze di Bussola realizzate tra il 1670 e il 1673 ne sono dimostrazione. Attraverso i diversi attributi simbolici e i gesti che rivelano le varie personalità, le figure femminili delle Allegorie incarnano le diverse discipline scientifiche. La stessa narrazione è evidente anche nelle cappelle dei Sacri Monti, dove Bussola rappresentò scenograficamente e con coinvolgente teatralità, diversi episodi biblici. Accanto all’artista inoltre si distinse Giovanni Battista Maestri, detto il Volpino, suo collaboratore. A differenza delle opere di Bussola, le opere del Volpino si caratterizzano per una visione artistica più intima e meditativa. Nonostante una carriera breve, il Volpino fu una figura importante nella scultura milanese, come infatti dimostrano le autorevoli commissioni che ricevette e i ritrovamenti, tra cui un ritratto allegorico femminile ad oggi conservato in Spagna.

Giovan Pietro Lasagna, Venere (già Milano, mercato antiquario) e Adone (Collezione Gian Enzo Sperone)
Giovan Pietro Lasagna, Venere (già Milano, mercato antiquario) e Adone (Collezione Gian Enzo Sperone)

Verso il Settecento

Ulteriore protagonista del periodo milanese fu Carlo Simonetta, genero di Bussola e attivo negli anni Ottanta del Seicento. Tra le sue opere più note sono presenti le decorazioni della cappella del Crocifisso nella chiesa di Santa Maria alla Porta, dove Simonetta dimostrò un’innata abilità nell’uso della luce e dell’ombra per creare gli effetti drammatici caratteristici del barocco. La sua influenza si propagò anche nei suoi allievi, tra cui Stefano Sampietro e Francesco Moderati, che portarono avanti la tradizione milanese nei cantieri della città che romani. Inoltre, fondamentale è stato il contributo di artisti come Giuseppe Rusnati (Gallarate, 1650 – Milano, 1713) e Camillo Rusconi (Milano, 1658 – Roma, 1728), che completarono la scena scultorea di Milano portando lo stile creativo diretto della scuola romana. Entrambi diedero all’interno della città un linguaggio artistico che univa le caratteristiche suggestive del barocco alle peculiarità della Capitale del Ducato. Giuseppe Rusnati si formò inizialmente a Milano ma sviluppò il suo linguaggio artistico grazie a un soggiorno romano che gli permise di studiare da vicino le opere del Bernini e Algardi. Tra le opere più rappresentative di Rusnati vi sono la Madonna con bambino custodita nella chiesa di Sant’Antonio Abate a Milano e le decorazioni per le cappelle laterali del Duomo, dove l’artista riuscì ad unire monumentalità e intimità.

Il risultato? Un esempio dell’equilibrio tra tradizione lombarda e innovazione barocca. Camillo Rusconi invece fu tra i massimi esponenti della scultura milanese del tardo Seicento e dei primi decenni del Settecento. Nato a Milano, si trasferì a Roma per completare la sua formazione, dove entrò in contatto con gli ambienti artistici più influenti dell’epoca. In terra romana si distinse per la qualità tecnica delle sue opere come il Sant’Andrea in San Giovanni Laterano e per la capacità di creare immagini dotate di una potenza drammatica. Tornato a Milano giocò un ruolo fondamentale nel trasformare la scultura sacra. Introdusse infatti un approccio nuovo, diverso, caratterizzato da un uso sapiente della luce e da una sensibilità verso la composizione spaziale.

Dall’analisi della scultura seicentesca che si sviluppa dalla capitale del Ducato e che Susanna Zanuso conduce attraverso il saggio e poi con i capitoli sui singoli artisti emerge quindi un panorama diversificato, popolato da artisti caratterizzati da espressioni fortemente individuali. Oggi, con una maggiore attenzione rivolta agli scultori milanesi del Seicento, lo stesso Wittkower potrebbe infatti riconoscere che il loro valore risiede nell’aver sviluppato formule singolari, sperimentali e altre volte in anticipo sui tempi, guidate comunque da una prospettiva autonoma e originale capace di produrre risultati rilevanti per lo scenario milanese.


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Noemi Capoccia

L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia

Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.




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