Quasi trecento pagine (288 per la precisione), di cui duecento di tavole a colori, un formato importante (24 per 32,5 cm), la firma di uno dei massimi esperti dell’argomento: sono le caratteristiche del libro Nel segno di Bruegel di Manfred Sellink, monografia sul grande Pieter Bruegel il Vecchio (Breda, 1525/1530 circa - Bruxelles, 1569) edita da Skira e tra le novità del catalogo dell’editore milanese, dal momento che è stata presentata a fine 2019. L’autore, Manfred Sellink, è il direttore del Koninklijk Museum voor Schone Kunsten (Reale Museo di Belle Arti) di Anversa, in Belgio, ed è autore del catalogo ragionato del pittore brabantino, ma non solo: nel suo curriculum Sellink vanta l’identificazione di un disegno inedito di Bruegel e la scoperta di un dipinto dell’artista in una collezione privata spagnola (oggi invece custodito al Museo del Prado: si tratta de Il vino della festa di san Martino, risalente al 1566-1567).
Il volume si presenta come un affondo sui principali temi dell’opera di Bruegel, commentati attraverso un percorso di cinquantotto capolavori, tra cui non mancano alcune delle più celebri opere dell’artista di Breda, dalla Costruzione della torre di Babele del 1563 (oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna) al Paese della cuccagna del 1567 (conservato alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera), dalla Dulle Griet di Anversa per arrivare alla Parabola dei ciechi del 1568 (una delle poche opere di Bruegel conservate in Italia: si trova al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli). Il principale punto di forza di Nel segno di Bruegel sta proprio nell’apparato iconografico: i dettagli vengono proposti lungo tutto il libro con immagini ad alta risoluzione e si ha modo d’apprezzare ogni singola e più minuta pennellata (mentre i quadri interi, anche se con quattro immagini per pagina, sono invece proposti a inizio libro, catalogati in ordine cronologico), e interessante è l’idea di dedicare spazio anche alla produzione grafica, grazie alla presenza, in apertura di catalogo (e, ovviamente, a punteggiare l’intero volume), di alcuni dei più significativi disegni di Bruegel (mancano invece le incisioni, per una precisa scelta dell’autore). Quella di Bruegel, spiega Sellink nell’introduzione del libro, è un’arte capace “di rendere in maniera realistica, o meglio illusionistica, persino i particolari più minuti”, dal momento che “l’attenzione per i dettagli era una caratteristica essenziale della miniatura, che nei Paesi Bassi meridionali conobbe un periodo di fioritura tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento”. Nell’opera di Bruegel, spiega Sellink, “si osserva un evidente influsso di Simon Bening e dei suoi contemporanei, ed è probabile che egli stesso abbia avuto una formazione come miniatore, forse presso Mayken Verhulst, sua futura suocera e famosa miniactirce. Si spiegherebbe così non solo il suo interesse per i particolari minuti e raffinati, ma anche l’abilità tecnica nel mantenere riconoscibile e leggibile fin nei minimi dettagli ciò che disegnava e dipingeva”.
Ovviamente non è soltato l’attenzione per i dettagli minuti a render grande l’arte di Bruegel: sul piano tecnico, l’integrità formale delle sue composizioni risponde sempre a un ordine logico ben definito che arrivava dopo studi molto accurati (ne sono testimoni i pochi schizzi rimasti, anche se, ipotizza Sellink, probabilmente l’artista dovette produrne a centinaia, se non migliaia). Sul piano dei contenuti, l’artista è passato alla storia soprattutto per il suo spiccato senso dell’umorismo, messo a frutto anche nelle situazioni più tragiche del quotidiano. Il libro, dopo un’introduzione dedicata ai paesaggi, genere nel quale Bruegel ha lasciato alcuni capolavori come il Paesaggio invernale con trappola per uccelli e dove comunque non viene meno il suo “sguardo sul mondo” (come, peraltro, da titolo della prima sezione: un mondo dove l’uomo è alla mercé della natura malgrado tenti di prendere il sopravvento su di lei), propone un approfondimento dedicato all’“epoca turbolenta” in cui l’artista visse. Un’epoca di sconvolgimenti politici, sociali, religiosi, un’epoca di povertà e di violenza, che Bruegel, da brabantino che visse all’epoca della riforma protestante, avvertì in maniera particolarmente pressante, dal momento che le sue terre, com’è noto, furono attraversate da un’ondata iconoclasta che non risparmiò quadri, libri, immagini di ogni tipo. Le amare riflessioni di Bruegel sulla povertà riempiono dipinti come la Lotta tra il carnevale e la quaresima, I mendicanti storpi o il succitato Vino della festa di San Martino dove assistiamo a una tragicomica rissa tra poveri (la festa si celebrava l’11 novembre ed era usanza offrire vino ai poveri: e qui, spiega Sellink, Bruegel ha voluto sottolineare “il paradosso di un atto di misericordia che finisce con l’alimentare intemperanza”, secondo i modi del gusto per l’assurdo e per l’irragionevole che connotava il sarcasmo fiammingo e olandese).
E sempre gli scontri religiosi del tempo portarono Bruegel a confrontarsi con il tema del sistema dei vizi e delle virtù stabilito dalla morale dell’epoca (e per morale, ovviamente, s’intende la morale religiosa), che vengono esplorati non soltanto nei dipinti che si concentrano sugli episodi della vita del tempo, ma sono anche oggetto di una serie di disegni per incisioni dove vizi e virtù vengono personificati: la pigrizia è dunque una donna che dorme sopra un asino poggiando la testa su di un cuscino tenuto da un diavolo, la superbia è una dama riccamente abbigliata che si guarda in uno specchio ed è accompagnata da un pavone, la gola è un banchetto di mostri che s’ingozzano fino a stramazzare al suolo e, dall’altra parte, la speranza guida in porto una nave salvandola dal mare tempestoso, la fede è una chiesa gremita di fedeli, la prudenza è invece un’operosa comunità di contadini che si prepara all’inverno. Tutte le allegorie di Bruegel sono peraltro popolate di “demoni e mostri”, che diventano protagonisti della quarta sezione del libro, dove Bruegel è accostato a Bosch (“entrambi i maestri”, spiega Sellink, “dispiegano una fantasia e un’inventiva straordinarie nel creare mostri e creature bizzarre d’ogni sorta, trasformando animali, uomini e oggetti quotidiani nei capricci più stravaganti”). Il pittore seppe però dar vita anche a visioni meno sconvolgenti, con allegorie in grado di veicolare contenuti edificanti, anche se mai in maniera diretta e giocando sempre sul filo dell’ambiguità (come nei Giochi di bambini, dove molti dei piccoli protagonisti paiono quasi adulti in miniatura più che bambini, a sottolineare da una parte come il gioco e il divertimento non abbiano età, e dall’altra come sia labile il confine tra gioco e follia).
La terzultima sezione continua sul filo dell’ironia (“Arguzia e ironia” è il titolo), con un approfondimento sui toni dell’umorismo di Bruegel, che vede uno dei suoi tratti salienti nell’uso del paradosso e dell’allusione, e l’umanità varia (bambini, contadini, mendicanti, scolari, cacciatori) che il pittore di Breda dipinge sulle sue tavole e disegna sui suoi fogli diventa protagonista di un capitolo dedicato a “Volti ed emozioni”, dal momento che Bruegel fu tra i primi artisti, nei Paesi Bassi, a indagare sistematicamente le emozioni dei suoi personaggi, soprattutto nelle sue scene contadine. La “gioia di vivere” è invece l’ultimo tema approfondito da Sellink, secondo cui questo sentimento verrebbe evocato dall’intera produzione di Bruegel: grande osservatore e indagatore della realtà contemporanea (anche se nella sua opera difficilmente c’è “realismo” per come lo potremmo intendere oggi: le sue opere sono più una continua e costante allusione che delle analisi), pittore dotato di un’inventiva fuori dal comune e capace delle più inusitate bizzarrie, Bruegel fu artista comunque in grado di trasmettere un’intensa vitalità: a testimoniarlo, opere come la Primavera, la Fienagione, la Mietitura, il Paese della cuccagna, la Danza campestre con cui il libro si chiude.
Nel segno di Bruegel vuole essere anzitutto una pubblicazione divulgativa destinata anche a un pubblico che ha poca familiarità con l’arte olandese e fiamminga del tempo: un “viaggio”, come lo definisce lo stesso Sellink, attraverso i motivi che hanno animato la sua arte, e pur non mancando dell’approccio scientifico tipico di uno studioso del suo calibro, il direttore del Museo di Belle Arti d’Anversa, nella premessa, ha ben specificato d’aver voluto dare al libro anche una sfumatura personale. Il motivo è da ricercare nell’arte stessa di Bruegel: del pittore brabantino sappiamo infatti molto poco e, come s’è visto, le sue opere non sono mai scontate, non sono mai dirette, si prestano in continuazione a diverse letture e a diverse interpretazioni, ragione per la quale l’approccio a Bruegel talvolta può subire dei condizionamenti dovuti ai differenti modi in cui il fascino dei suoi dipinti arriva a chi lo riceve. Ecco quindi lo scopo del libro: “trasmettere”, spiega Sellink, “qualcosa della fascinazione, della meraviglia e dell’ammirazione che l’opera magistrale di Pieter Bruegel non cessa di suscitare in me”. Lo studioso ovviamente non lascia che l’artista parli da sé, ma il suo commento si rivela una piacevole e stimolante guida ai tanti mondi di uno degli artisti più sorprendenti del Cinquecento.
Manfred Sellink
Nel segno di Bruegel
Skira editore
2018
288 pagine (cartonato)
45 euro
Scheda del libro sul sito dell’editore
Nelle immagini di seguito: la copertina del libro e un dettaglio dalla Lotta tra il Carnevale e la Quaresima (1559; olio su tavola, 118 x 164,5 cm)
Nel segno di Bruegel: un viaggio tra i mondi del grande artista del Cinquecento in un libro di Manfred Sellink |