Copertina bianca, scritta a caratteri cubitali per far concentrare il lettore sul tema che il critico d’arte Luca Nannipieri, affronta col suo nuovo libro: A cosa serve la storia dell’arte, edito da Skira (224 pagine, 19 euro, ISBN 9788857244624). Perché è importante studiare e conoscere la storia dell’arte? Qual è oggi la funzione della critica d’arte? Perché è fondamentale pensare non solo all’arte dei musei più visitati e celebrati, ma anche a quella conservata nei piccoli musei, nelle chiese di provincia? E perché l’arte è così fondamentale per le comunità, e come le comunità possono salvare il loro patrimonio artistico? Sono queste alcune delle domande che Nannipieri poone al lettore.
La storia dell’arte ha bisogno non solo di studi specifici su artisti, movimenti, stili, secoli, geografie e tendenze, ma anche di libri che siano in grado di interrogarsi sulle fondamenta della materia, argomenta Nannipieri. Lo storico dell’arte del XXI secolo deve dunque domandarsi per chi sta lavorando, qual è il suo compito, dev’essere in grado di aver presenti i motivi per cui si conservano i manufatti e le opere, e lo stesso vale per il pubblico e per le comunità, specialmente in un momento in cui l’arte, in diverse parti del mondo, viene distrutta, e a maggior ragione in un periodo in cui alle persone viene di fatto impedito l’accesso all’arte per ragioni sanitarie.
La copertina del libro |
In A cosa serve la storia dell’arte, Nannipieri vuole aprire una riflessione sulla responsabilità sociale dello storico e del critico d’arte mettendo a confronto il suo pensiero con quello di alcuni dei grandi fondatori della disciplina, come Johann Joachim Winckelmann, Alois Riegl, Max Dvořák, Alois Riegl, Heinrich Wölfflin, Bernard Berenson, Erwin Panofsky, Arnold Hauser e altri, oltre che con grandi direttori che hanno fatto la storia dei musei italiani (per esempio Franco Russoli, Palma Bucarelli, Ettore Modigliani, Fernanda Wittgens) e storici dell’arte come Pasquale Rotondi, celebre per aver salvato diverse opere durante la seconda guerra mondiale.
“Il critico d’arte, lo storico dell’arte”, scrive Nannipieri, “deve agire, condizionare, indirizzare, modellare, germinare, fondare. Ecco, deve essere un fondatore. Un fondatore di luoghi, di spazi, che prima non c’erano. Luoghi e spazi, pubblici o privati, che abbiano necessità, che siano necessari. Un museo, una gipsoteca, un sito archeologico, un sito monumentale, uno spazio d’arte contemporanea, una sfida architettonica e urbanistica, una biblioteca che prima non c’era e di cui vi era assolutamente bisogno in un paese dove mancava. Questo deve fare un critico d’arte, uno storico dell’arte. Fondare. Costruire. Progettare. Avere una visione. Essere quasi competitivo con Dio nella creazione di luoghi necessari. Se si limita a giudicare, a commentare, chissenefrega: è inutile. Se si limita a scrivere degli artisti, chissenefrega. Meglio - senza dubbio - il salumiere, il ferroviere, l’insegnante, l’architetto, il sarto, il tipografo. Ciascuno di loro risponde a una necessità. Se il critico e lo storico dell’arte (i due termini si equivalgono) devono soltanto giudicare, lasciamoli nell’irrilevanza pubblica dell’arte del giudizio. Saranno sempre più marginali e sempre più inessenziali. Perché non si capisce a cosa servano”.
L’autore del libro, Luca Nannipieri, critico d’arte, ha già pubblicato con Skira il libro Capolavori rubati, dall’omonima rubrica televisiva tenuta al Caffè di RaiUno, mentre dalla rubrica SOS Patrimonio artistico, Rai Eri ha pubblicato il libro Bellissima Italia. Splendori e miserie del patrimonio artistico nazionale. Tra gli altri suoi libri figurano quelli allegati al quotidiano Il Giornale, come L’arte del terrore. Tutti i segreti del contrabbando internazionale di reperti archeologici, Vendiamo il Colosseo. Perché privatizzare il patrimonio artistico è il solo modo di salvarlo, Il soviet dell’arte italiana. Perché abbiamo il patrimonio artistico più statalizzato e meno valorizzato d¹Europa. Dirige Casa Nannipieri Arte, curando mostre e conferenze.