Dopo il successo del suo esordio editoriale con il libro #divulgo (un racconto di diversi secoli di storia dell’arte condotto attraverso l’analisi di alcuni grandi capolavori), per il giovane storico dell’arte Jacopo Veneziani arriva la seconda pubblicazione, sempre per i tipi di Rizzoli: si tratta di Simmetrie. Osservare l’arte di ieri con lo sguardo di oggi (175 pagine, 22,90 euro, EAN 9788891831545), in cui Veneziani mette a paragone coppie di grandi artisti per proporre al lettore accostamenti sorprendenti e rivelatori. Veneziani, piacentino, classe 1994, è il volto nuovo della divulgazione storico-artistica: dottorando alla Sorbona, specialista del Settecento, ha prima conquistato il pubblico dei social grazie al suo account Twitter, seguito da quasi 40mila follower (@JacopoVeneziani: ogni giorno diffonde e commenta immagini di opere d’arte con l’hashtag #divulgo che è diventato una specie di suo marchio di fabbrica), e poi ha catturato il pubblico televisivo, diventando uno dei volti della trasmissione Le Parole della Settimana su Rai3 e facendo, sempre su Rai3, il giurato per Il borgo dei borghi.
Il suo “sogno” è quello di seguire le orme di Alberto Angela, ma si può dire, senza tema di smentita, che Veneziani abbia poco da invidiare al re incontrastato della divulgazione televisiva. Elegante, posato, coinvolgente e rigoroso, Jacopo Veneziani è la grande promessa della cultura in televisione e c’è solo da sperare che il suo fulminante percorso vada avanti inarrestabile: e per chi ancora non lo conosce, il libro Simmetrie può essere un buon punto di partenza per familiarizzare col suo modus operandi. La principale caratteristica della divulgazione di Veneziani, oltre alla freschezza narrativa che contraddistingue sia la sua presenza televisiva che i suoi prodotti editoriali, è la capacità di affrontare gli argomenti raccontando storie senza cadere eccessivamente nell’aneddotico e facendo risaltare i motivi per cui oggi osserviamo e ammiriamo un’opera d’arte del passato. È così anche per Simmetrie.
La copertina del libro |
I confronti tra artisti anche apparentemente molto lontani (ecco tutte le coppie: Masaccio e Lucio Fontana, Caspar David Friedrich e Mark Rothko, Paolo Uccello e Marcel Duchamp, Louise-Élisabeth Vigée Le Brun ed Egon Schiele, James Abbott McNeill Whistler e Piet Mondrian, Johannes Vermeer e René Magritte, Rosso Fiorentino e Henri Matisse, Gustave Caillebotte ed Edward Hopper, il Maestro del Trionfo della Morte e Pablo Picasso, Francisco Goya e Hilma af Klint) non sono il gioco di uno studioso annoiato, ma sono sostenuti da un impianto teorico di alto livello che Veneziani esplicita nella sua sua introduzione. “Alle orecchie di molti eruditi”, sostiene Veneziani, “affermare che un affresco del Beato Angelico ricorda il dripping di Jackson Pollock è un’aberra-zione equivalente a sostenere che Giulio Cesare fu ucciso da un colpo di pistola”. Cosa succede invece se per una volta si provasse a osservare le opere del passato “senza fingere di ignorare i percorsi intrapresi dall’arte dei secoli successivi”? Veneziani cita Georges Didi-Hubermann (che per primo accostò il Beato Angelico a Jackson Pollock), che affermava che “non solo è impossibile comprendere il presente ignorand il passato”, ma “è necessario conoscere il presente (basarsi su di esso) per comprendere il passato e porgli già le domande giuste”. Prima di Didi-Hubermann, prosegue Veneziani, “lo storico dell’arte tedesco Carl Einstein aveva sottolineato l’esigenza di abbandonare tutti quei modelli positivistici, evoluzionistici e teleologici che sottendono spesso l’analisi storica delle immagini e Walter Benjamin aveva dichiarato di voler ‘spazzolare nel senso opposto il pelo troppo lucido della storia’ per ‘rivelare la pelle sottostante, la carne nascosta delle cose’. Incoraggiato dai lavori di Didi-Hubermann, Einstein, Aby Warburg e altri, Veneziani ha provato ad assumersi il rischio dell’anacronismo senza però concedersi a “interpretazioni soggettive deliranti”, avvisa, “utilizzandolo come perno per stabilire confronti inediti e provare così a sbloccare nuovi punti di vista sull’arte di ieri e di oggi”. Il motivo di questa operazione? Comprendere gli sviluppi dell’arte attraverso il passato e al tempo stesso considerare alcuni aspetti delle opere antiche in grado di emergere con l’aiuto degli artisti del Novecento.
La partenza è affidata al confronto Masaccio-Fontana: come Masaccio aveva conquistato la terza dimensione in pittura, aprendo la “finestra sul mondo” teorizzata nel 1435 dal De Pictura di Leon Battista Alberti, così Fontana intendeva sviluppare una nuova concezione dello spazio annullando le distanze tra l’oggetto e lo spazio, riportando lo spettatore nella realtà attraverso il taglio, non limitandosi a rappresentare lo spazio, ma spingendosi a crearlo con buchi e tagli capaci di condurre l’osservatore verso una nuova dimensione. “Andare oltre il piano usuale del quadro”, scrive Veneziani, “significava tuffarsi nel vuoto, disegnare una traiettoria verso l’ignoto come quella seguita dall’Apollo 11 nel luglio 1969, dieci mesi dopo la morte dell’artista, per portare i primi uomini sulla luna”. Masaccio e Fontana, dunque, legati dalle rivoluzioni che entrambi hanno portato rinnovando radicalmente la concezione dello spazio per com’era intesa fino al momento in cui il loro astro percorse il cielo dell’arte. Per Friedrich e Rothko, invece, la comunanza è nell’atteggiamento: nel Monaco in riva al mare dell’artista tedesco vediamo infatti un frate in atteggiamento contemplativo di fronte a un paesaggio vuoto, costruito “sovrapponendo un sottile lembo di terra, le acque infide di un mare bio e un immenso cielo grigio carico di nuvole, tre campiture orizzontali a un passo dall’astrazione che sembra quasi anticipare la pittura di Mark Rothko”. La pittura di Friedrich fa sì che il paesaggio diventi luogo in cui l’interiorità del pittore e quella dello spettatore s’incontrano: in Rothko avviene più o meno la stessa cosa, dal momento che l’artista lituano-statunitense superò l’idea del “tramite” (la figura del monaco) per fare in modo che “noi stessi siamo il monaco davanti al mare, in piedi in un silenzio contemplativo, come se stessimo guardando un tramonto o una notte di luna”, scrisse lo storico dell’arte Robert Rosenblum.
Jacopo Veneziani |
Altro confronto, altro tema: è sull’autoritratto che viene impostato il dialogo tra Louise-Élisabeth Vigée Le Brun ed Egon Schiele. L’artista francese fece largo uso dell’autoritratto, che nella sua arte diventa un modo per trasmettere “i pensieri su tela di un’artista che (vivendo sulla propria pelle il turbolento passaggio dalla monarchia allo Stato moderno”, scrive Veneziani, “non smise un istante di interrogare il suo essere donna, madre e pittrice”. Allo stesso modo, Schiele si servì regolarmente del mezzo dell’autoritratto per orientarsi in un mondo in profondo cambiamento: è su questo territorio che Veneziani stabilisce il legame tra i due artisti, separati da un secolo di storia. E separati da circa cento anni sono anche Francisco Goya e Hilma af Klint: così come Goya cercò di esplorare gli abissi più profondi dell’essere umano (il male, la violenza, la negatività), allo stesso modo la pittrice svedese volle avventurarsi in mondi altrettanto inesplorati, per cercare di rappresentare ciò che non si poteva vedere, anticipando le ricerche di artisti come Vasilij Kandinskij e Paul Klee, considerati i pionieri dell’arte astratta (studi recenti hanno dimostrato come Hilma af Klint sia arrivata all’astrazione qualche anno prima di Kandinskij).
Ogni capitolo di Simmetrie si presenta al lettore con opportune citazioni di storici dell’arte e critici che si sono occupati degli artisti di cui Veneziani parla, e alla fine del libro è possibile trovare una bibliografia essenziale per approfondire gli argomenti del volume: dietro alla divulgazione di Jacopo Veneziani c’è un tradizionale e accurato lavoro sulle fonti, che porta alla fine a un prodotto giovane, in grado di affascinare il pubblico con un’esposizione chiara, non avventata, che segue con rigore i canoni della divulgazione scientifica e si propone con brio al lettore, senza semplificazioni (o, peggio, banalizzazioni), ma con la capacità di rendere più accessibili anche gli artisti tradizionalmente più ostici (come Paolo Uccello, Mondrian, gli stessi Fontana e Rothko), per comporre una storia dell’arte “alternativa” (per il pubblico, ma non per gli studi, dato che è ben radicata nella letteratura scientifica) e che peraltro, nel caso di Simmetrie, rifugge la logica degli artisti “che piacciono”. Un autore, Jacopo Veneziani, che se continuerà su questa strada farà parlare di sé ancora molto a lungo e (vogliamo scommettere) diventerà presto uno dei nomi più familiari al grande pubblico.