Che cos’è l’astrazione in arte? È quell’“ambito espressivo orientato all’analisi, alla ricerca interiore, finanche alla spiritualità, votato, per sua intima natura, al più alto indice di libertà, mettendosi, senza riserve, al cospetto del fruitore e della sua intimità”, nella convinzione che l’arte astratta, come scriveva Peter Halley, “debba volgere verso una dimensione intellettuale […] e l’opera non debba essere per tutti”. È questa la definizione dell’astrattismo secondo Roberto Floreani, pittore, tra i principali astrattisti italiani contemporanei: la si trova nel suo più recente libro, Astrazione come resistenza, edito da De Piante (380 pagine, 25 euro, ISBN 9791280362124), che si pone sostanzialmente due obiettivi: da un lato, tracciare una storia dell’astrazione dalle origini fino a oggi, e dall’altro delineare uno stato dell’arte analizzando il panorama dell’astrazione contemporanea, tenendo conto del fatto che oggi l’arte più in generale è lasciata ai margini del dibattito pubblico.
Si potrebbe partire dal fondo, cominciando dal titolo: perché l’astrazione è una forma di resistenza secondo Floreani? In una società complessa e problematica come quella attuale, e al contempo superficiale e materialista, dove le persone vivono spesso nell’incertezza e nell’assenza di punti di riferimento, inondate di informazioni, l’astrazione assume le dimensioni di una ricerca interiore che dall’arte può espandersi per investire altri ambiti. “In un periodo storico individuato come recessivo nei contenuti più profondi e di abbandono al più cinico materialismo, dov’è il prezzo a determinare il valore”, scrive Floreani, “l’Astrazione, caratterizzata da una costante ricerca d’interiorità, già dichiarata negl’intendimenti dei suoi protagonisti più illustri, può considerarsi, ancor oggi, un autentico argine di resistenza spirituale, un ambito dove l’opera può veicolare un messaggio altrettanto significativo, della stessa natura” (un intero capitolo del libro, intitolato “La de-spiritualizzazione del contemporaneo e l’Astrazione”, analizza nel dettaglio questa situazione). Quella di Floreani è anche una critica a quella che lui definisce “Post-Arte”, intendendo con questo termine tutte quelle ricerche di artisti, siano essi pittori, scultori, fotografi o artisti che operano coi mezzi dell’installazione, della performance e via dicendo, fondate “più sull’immagine che sul significato. Post-Arte che, secondo Floreani, ha il suo pioniere nella figura di Marcel Duchamp, del quale viene tuttavia elogiata la funzione dissacratoria nei riguardi dell’arte del suo tempo: oggi, per l’autore del libro, i ruoli tuttavia si sono invertiti e l’arte anche più ottusamente provocatoria e meno pregna di significato gode comunque di grande disponibilità di risorse economiche oltre che di efficaci sistemi di comunicazione. Non manca infatti, nel libro, una rilevante parte dedicata alla critica del sistema dell’arte contemporanea, partendo dal presupposto che la Post-Arte dominante di oggi “raccoglie curiosamente non la distanza indignata di chi non riesce a capirla, proprio perché provocatoria, secondo la lezione già conosciuta dalle avanguardie, ma un apparente consenso di massa acritico, immediato, generalizzato, automatico, pilotato dalla comunicazione, innescata ad hoc con grandi disponibilità economiche e quindi, sul modello televisivo, persuasiva”. La novità rispetto al passato è che si è prodotta quella che l’autore chiama “avanguardia di consenso”, una situazione mai verificatasi prima nella storia, “dove l’incomprensibile ai più diviene automaticamente apparente patrimonio di tutti, dove non si verifica l’autentico desiderio di porsi domande, ma l’inesausta bramosia di presenziare, l’ambizione ad ‘esserci’, fregiandosi di una ‘comprensibilità dell’incomprensibile’ in realtà fittizia, assecondando quegli, ormai abusati, 15 minuti di celebrità, seppur di riflesso, annunciati da Andy Warhol”. Un panorama di accettazione acritica, dove manca anche il dibattito, dove pochissime sono le personalità che portano avanti un discorso critico (Floreani elenca tutte quelle che a suo avviso se ne occupano).
In tutto questo Floreani riconosce che l’astrazione contemporanea, rispetto ad altri tipi di arte, gode di minor attenzione e si muove in canali più sotterranei, pur godendo comunque di una continuità coerente con le ricerche degli astrattisti storici. Vengono citati, tra i contemporanei più originali, l’americano Peter Halley, che ha cominciato la propria carriera negli anni Ottanta, menzionato da Floreani come figura trainante, al pari del conterraneo Philip Taafe, la cui ricerca combina astrazione e figurazione innestandole a tecniche tipiche della Pop Art come la serigrafia o il collage: due artisti, scrive Floreani, che hanno esplorato due diverse tendenze dell’astrazione: se in Halley “predomina una sorta di distacco meditativo con esiti spirituali”, in Taafe c’è un “forte coinvolgimento emozionale: Vivo costantemente nel quadro mentre lo dipingo, come avrà modo di dichiarare, descrivendo quindi uno stato ipnotico, una condizione d’incorporeità, mantenendo, per contro, sempre un controllo tecnico di altissima qualità pittorico-compositiva”.
Vengono citati soprattutto artisti americani perché secondo Floreani gli Stati Uniti dedicano all’astrazione un’attenzione difficilmente riscontrabile altrove. In Italia, per esempio, a suo avviso si assiste a una marginalizzazione che ha radici ben definite, ovvero è dovuta alla scarsa attenzione che le istituzioni italiane hanno dedicato a quella che Floreani chiama “la via italiana dell’astrazione”, ma anche alla stessa critica italiana del secondo dopoguerra che ha visto alternarsi nomi apertamente ostili al futurismo e che “evitando una ricostruzione obiettiva di quel periodo, stravolgendone sia gli intenti che il significato, ne hanno reso difficilmente interpretabili le influenze”. La rivalutazione dell’astrazione italiana è dunque un fatto recente, e Floreani cita i nomi di quanti, virtuosamente, hanno cominciato a rimediare a decenni di disattenzione e marginalizzazione: spicca, in particolare, il nome del gallerista Gian Enzo Sperone, animatore di alcune importanti mostre che hanno contribuito a ricollocare gli astrattisti italiani.
Non meno interessante rispetto alle sezioni del libro dedicate all’arte contemporanea sono dunque quelle in cui Floreani ricostruisce la storia dell’astrazione, non senza novità di rilievo, che molto hanno fatto discutere sin da quando Astrazione come resistenza è uscito, a fine 2021. Floreani, ridimensionando il ruolo di Vasilij Kandinskij da sempre considerato il primo pittore astratto (per l’autore le cose stanno diversamente, e inoltre ritiene che il portato di altre figure del tempo, a cominciare da quella di Kazimir Malevič, siano state più significative nello stabilire, per esempio, “cosa l’arte e in particolare l’astrazione abbia potuto concepire nel rapporto con l’‘altrove’), ricollega le origini dell’astrazione ad alcuni artisti che operarono a fine Ottocento, e in particolare Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, Hilma af Klint e Marianne von Werefkin, proto-astrattisti che muovono dall’arte simbolista in direzione dell’astrattismo, e sottolinea con dovizia il ruolo decisivo di certi movimenti di fine Ottocento, come quello teosofico, ai quali va riconosciuto d’aver posto l’accento sui “poteri latenti dell’uomo” e d’aver contribuito ad aver spostato l’interesse degli artisti sull’interiorità piuttosto che sui fenomeni osservabili (“nell’astrazione, fin dalle origini”, scrive Floreani, “il ruolo dell’artista e del critico-veggente si sono sommati e sovrapposti”). Appartiene a questa schiera d’artisti condizionati dalla Teosofia una figura come quella di Hilma af Klint: le ricerche recenti hanno dimostrato che l’artista svedese può esser ritenuta antesignana e prima protagonista dell’astrattismo, in anticipo su Kandinskij (le cui prime prove astratte vengono da Floreani spostate al 1913, e non al 1910 come comunemente ritenuto, perché il suo primo acquerello astratto del 1910 era in realtà la bozza di un paesaggio, come ammesso dallo stesso Kandinskij): nella serie Destinate al tempio di Hilma af Klint, opere rigorosamente astratte, “sono già presenti”, scrive l’autore, “tutti gl’intendimenti artistico-spirituali che saranno poi propugnati da Kandinskij, ma elevati all’ennesima potenza e realizzati almeno quattro anni prima (con ogni probabilità sei o sette)”.
La via italiana dell’astrazione comincia invece con Giacomo Balla e le sue Compenetrazioni iridescenti del 1912, anche in questo caso un’opera che anticipa Kandinskij, com’era già stato riconosciuto anche da Raffaele Carrieri che scriveva che “i suoi dipinti dopo il 1912 precedono lo stesso Kandinskij” e che “al contrario di Boccioni, le sintesi astratte di Balla sono dei ritmi coordinati fuori dall’oggetto: il moto in sé, senza l’oggetto che lo determini”. È un’astrazione diversa sia rispetto a quella di Hilma af Klint e di Kandinskij, che cerca il modo d’esprimere una sensazione interiore, sia rispetto a quella di Malevič e del suprematismo, che è astrazione puramente razionale: l’astrazione di Balla è “scientifica”, per così dire, e si concentra su fenomeni quali il moto, la velocità, l’iridescenza, indagati comunque secondo logiche “governate da sensazioni interiori”.
Se dunque Hilma af Klint può esser considerata la capostipite dell’astrattismo espressionista, da cui deriveranno le ricerche di Klimt e, successivamente, anche quelle dell’espressionismo astratto di Pollock e compagni, Balla è il fondatore dell’astrattismo formale. Una primogenitura che fa sì che molti astrattisti italiani del tempo, come Balla, Severini, Dudreville, Evola, Magnelli, Prampolini e altri non patiscano più “complessi di subalternità rispetto ai precursori Delaunay e Kupka e nemmeno nei confronti dei docenti del Bauhaus o dei protagonisti dello sfavillante mercato parigino dominato da Picasso”.
La disamina di Floreani continua poi con la storia dell’astrazione fino a oggi, rivalutando anche esperienze oggi non così note, per esempio il gruppo Kn riunitosi attorno al critico Carlo Belli e alla Galleria del Milione (contava artisti come Giuseppe Marchiori, Leonardo Sinisgalli e Dino Bonardi), oppure quella dell’Art Club fondato a Roma nel marzo del 1945, fino a giungere a situazioni invece ben più consolidate nella storiografia, come il MAC (Movimento Arte Concreta). Conclusione con qualche nota sulla Crypto Arte e sugli NFT, con un Floreani che avverte il lettore sull’eventualità di trovarsi di fronte a un “sistema concepito a scopo di lucro”, a un “fenomeno legato al mercato finanziario che, con l’arte, non ha, per sua stessa ammissione, nulla a che vedere”.
Astrazione come resistenza, con il suo taglio storico-critico, la sua narrazione incalzante e l’attenzione riservata soprattutto a esperienze meno note, oppure da rivalutare, si pone dunque come un saggio rilevante sia per riscoprire e ricostruire con più precisione le origini dell’astrattismo, sia per valutare alcune linee dell’astrattismo contemporaneo. Un libro che, a più di un anno di distanza dalla sua uscita, continua a sollevare dibattito.
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