Pochi artisti come Ai Weiwei (Pechino, 1957) hanno dedicato tanta attenzione, tanta costanza e tanta parte della propria produzione al tema della crisi dei migranti e dei rifugiati. Non solo con le opere (spiccano, tra le tante, Reframe, l’installazione con cui nel 2016 l’artista cinese ha coperto i finestroni del piano nobile di Palazzo Strozzi con i gommoni dei migranti, La legge del viaggio, altra installazione presentata nel 2017 a Praga e composta dalle sagome di 300 migranti, e ancora Safe Passage, i giubbotti salvagente con cui sempre nel 2017 ha ricoperto le colonne della Konzerthaus di Berlino), ma anche con film e libri. Tra questi ultimi, il più recente è Umanità, uscito per la prima volta nel 2018 per i tipi della Princeton University Press (con il titolo di Humanity) e portato in Italia quest’anno dalla Damocle Edizioni, casa editrice indipendente di Venezia specializzata in tascabili e libri d’artista.
Umanità è una raccolta di citazioni di Ai Weiwei curata da Larry Warsh, collaboratore di lunga data dell’artista: tutti gli estratti si concentrano sul tema della crisi dei rifugiati. O meglio: sulla “crisi umana”, dal momento che l’artista, in occasione della mostra di Praga del 2017, dichiarava che non esiste una crisi dei rifugiati, ma semplicemente una crisi umana, dato che in molti, nel rapportarsi con i migranti, hanno perso i proprî valori fondamentali. Le citazioni sono tratte da interviste che Ai Weiwei ha rilasciato soprattutto tra il 2015 e il 2017, quando la crisi, spinta e alimentata soprattutto dalle atrocità della guerra civile in Siria, era all’apice. All’epoca (era la fine del 2015) l’artista aveva anche deciso di recarsi in visita per qualche tempo sull’isola di Lesbo, uno dei principali avamposti della crisi nonché importante tappa sulla cosiddetta rotta balcanica: nel corso degli anni, l’isola greca ha visto passare decine di migliaia di profughi in arrivo soprattutto dalla Siria e dall’Afghanistan.
Ai Weiwei, Reframe (2016) |
Ai Weiwei, La legge del viaggio (2017) |
Ai Weiwei, Safe Passage (2017) |
Si tratta di un flusso che non si arresta: da un articolo pubblicato su Internazionale all’inizio dell’agosto di quest’anno si apprende che nell’hotspot (ovvero il centro di identificazione dei migranti) di Moria, un piccolo borgo a poca distanza da Mitilene (la principale città dell’isola) sono attualmente accolti circa settemila migranti (a fronte di una capienza del campo decisamente inferiore: dovrebbe essere di tremila persone la capacità di accoglienza massima). O meglio: ci “vivono”, afferma la giornalista Stefania Mascetti. Perché spesso le procedure per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato sono lunghe, e in attesa di una risposta occorre sostare nell’hotspot. Di conseguenza, i migranti si devono attrezzare per passare all’interno del campo settimane o mesi. Una specie di baraccopoli con tende e container dove si vive in condizioni ai limiti della decenza (anzi, spesso anche al di sotto di tali limiti). L’organizzazione Open Migration, che si occupa di elaborare dati sulle migrazioni, in un suo rapporto sul caso dei migranti di Lesbo ha sottolineato che il sovraffollamento dei centri d’accoglienza “determina condizioni igienico-sanitarie scarse e rischio di malattie”, e in particolare “nei mesi invernali il campo ha sofferto di inadeguato riscaldamento, con una condizione ambientale spesso sotto gli zero gradi e con sistemazioni spesso costituite da tende”. Il tutto si traduce in un “rischio molto alto per la salute e l’incolumità delle persone ospitate: secondo il Comitato Internazionale di Soccorso, il 64% degli assistiti soffre di depressione e il 29% ha provato a togliersi la vita”.
La situazione degli arrivi in Grecia, negli ultimi anni, è migliorata: il numero degli sbarchi è drasticamente diminuito a partire dal 2016. Ma nel 2015, l’anno in cui la guerra in Siria infuriò nella sua più terribile brutalità, gli sbarchi nel paese affacciato sull’Egeo furono 856.723, secondo i dati rilevati dall’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Per dare un’idea di quale fosse la gravità della situazione, si pensi che nello stesso anno gli sbarchi in Italia furono 153.842, circa un quinto. In Grecia oggi la situazione rimane seria: nel 2018 si sono contati 32.494 arrivi (anche in questo caso è utile un paragone con gli altri due principali paesi affacciati sul Mediterraneo: nello stesso anno sono stati 23.370 in Italia e 58.569 in Spagna), e nel 2019, al 18 di agosto, se ne registrano 29.028 (contro i 14.883 della Spagna e i 4.393 dell’Italia). Non migliorano però le condizioni dei centri d’accoglienza: lo scenario di Lesbo si ripete in diverse parti del mondo. E spesso ai migranti viene anche negata la loro dignità di esseri umani.
Ai Weiwei. Ph. Credit Beck Harlan |
Ai Weiwei, Umanità (2019; Damocle Edizioni) |
Conscio di questa situazione, dopo la sua visita all’isola di Lesbo, Ai Weiwei ha deciso di dar vita al lungometraggio Human Flow, un film, presentato nel 2017 alla 74ma Mostra del Cinema di Venezia, dedicato alla condizione globale dei rifugiati. L’artista ha voluto infatti ricordarci che non ci sono soltanto i migranti a noi più vicini, quelli che attraversano il Mediterraneo: in tutto il mondo ci sono persone che cercano rifugio dalle guerre e dalla miseria. Ed è questa la convinzione che ha portato alla nascita di Umanità. Le citazioni sono suddivise in sette sezioni (“Umanità”, “Crisi”, “Confini”, “Potere”, “Sradicamento”, “Libertà”, “Azione”) e sono estratti da contesti più ampî (per ogni citazione è comunque sempre presente il riferimento: si tratta peraltro di interviste quasi tutte pubblicate anche online, così che il lettore ha la possibilità di reperirle facilmente per intero, dal momento che per ognuna viene fornito l’indirizzo). Tuttavia, sono animate da una forza capace di far sì che, da sole, possano colpire e arrivare al lettore. C’è, ovviamente, il rischio che un libro di citazioni sfoci nella liturgia: un pericolo apparentemente accresciuto dal formato scelto per il libro (un tascabile, elegante e scarno, privo d’illustrazioni, eccezion fatta per una foto di Ai Weiwei a Lesbo in apertura e un’altra immagine della sua mostra a Praga in chiusura. Questo rischio viene però mitigato (e forse anche azzerato) dal fatto che Ai Weiwei non cerca di convincere il lettore, ma prova, semmai, a raccontare il suo punto di vista (da artista che, peraltro, ha dovuto cercare rifugio all’estero) e provando a riassumere in brevi punti un argomento estremamente complesso, così che ognuno possa farsi la sua idea.
È un’azione anche profondamente politica, se non altro per il fatto che Ai Weiwei sceglie un linguaggio diretto, che non è il linguaggio giornalistico dei dati e dei numeri, non è una fotografia della realtà: è semmai un racconto che punta alla capacità di empatia del lettore. Da conoscitore delle tecniche della comunicazione di massa, Ai Weiwei propone al pubblico, con Umanità, una sorta di barriera, di difesa, di rimedio contro lo storytelling dei movimenti xenofobi e razzisti. Ma non per alzare un inutile muro contro muro: semplicemente per farci arrivare un’altra voce e metterci nella condizione di scegliere. Ricordandoci che l’arte è sempre un’esigenza profondamente politica.
Di seguito, alcune citazioni da Umanità di Ai Weiwei:
“Un rifugiato può essere chiunque. Potresti esserlo tu, o io. La cosiddetta crisi dei rifugiati è una crisi umana”.
“Voglio far vedere la bellezza dei rifugiati. Voglio far vedere che, anche nelle vicissitudini più difficili, la bellezza c’è ancora. Ciò che è bello e ciò che è oscuro esistono nella stessa immagine”.
“Da esseri umani, abbiamo la fortuna di avere l’immaginazione. I nostri cuori possono essere tanto grandi da consentirci di immaginare al di là del confine fisico. In questo senso, gli esseri umani sono tanto belli. Per questo abbiamo la poesia, abbiamo la musica, abbiamo l’arte”.
“I diritti umani devono sempre essere difesi, ovunque; e facendo ciò si reca vantaggio a tutti”.
“L’arte concerne l’estetica, la morale, la nostra fede nell’umanità. Senza questo, l’arte semplicemente non esiste”.
“La parte più difficile sta nel fatto che vedi che i rifugiati hanno un bisogno disperato di essere capiti. Non è tanto che abbiano bisogno di soldi. Hanno bisogno che la gente li guardi e li veda come esseri umani”.
“Nei momenti più tristi della nostra storia, l’umanità ha dovuto dimostrare il proprio valore dimostrando di essere umana verso la propria specie”.
“Penso che abbiamo perduto la nostra capacità di provare compassione. Forse ha qualcosa a che fare con la nostra era dell’informazione. Ogni giorno vediamo le disgrazie dei rifugiati sui notiziarî, quindi sappiamo quello che avviene. Nel contempo, le immagini ci ottundono. Pensiamo che la tribolazione sia così grande che non possiamo farci nulla”.
“Da essere umano, credo che ogni crisi o tribolazione che accade a un altro essere umano dovrebbe essere come se accadesse a noi”.
“Lasciare che i confini determinino il tuo pensiero è incompatibile con l’era moderna”.
“Oggi, il mondo intero è ancora in lotta per la libertà. In tale situazione, solo l’arte può rivelare la profonda voce interiore di ogni individuo, senza badare a confini politici, razionalità, razza o religione”.
“Credo che siamo fortunati che l’informazione possa scorrere ed essere trasmessa mediante i social media quasi in tempo reale. Possiamo schierarci contro il potere”.
“In politica si fanno certamente molti sacrifici, ma si devono comunque difendere i diritti di base, altrimenti non vale la pena fare il politico”.
“Da quando sono esistiti gli esseri umani, gli esseri umani hanno migrato. È così che siamo diventati tanto intelligenti, mescolati, e più tolleranti”.
“Non provo nessunissima ira. Tutte le mie difficoltà hanno reso preziosa la mia vita. Mi hanno sfidato e mi hanno fatto vedere le cose in modo diverso. Anche le persone che mi hanno messo in quelle condizioni così difficili agivano da esseri umani”.
“Non è mai troppo tardi per fare qualcosa”.
Ai Weiwei
Umanità
Damocle Edizioni, 2019
145 pagine
10 euro
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo