In occasione dei festeggiamenti per il suo primo compleanno, la Rete dei Musei d’Arte del Mendrisiotto, che comprende il Museo Vincenzo Vela, il m.a.x. museo a Chiasso, il Museo d’arte Mendrisio, la Pinacoteca cantonale Giovanni Züst a Rancate e il Teatro dell’architettura, propone per domenica 5 settembre l’ingresso gratuito, visite guidate ed eventi nei cinque musei della Rete. Tra questi, presso il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto alle ore 17, si terrà l’incontro con l’artista e regista Adriano Kestenholz, autore della videoinstallazione Vincenzo Vela. Il sogno della materia allestita nelle sale della sede museale fino al 12 settembre 2021. L’installazione rientra in un progetto transmediale più ampio promosso in occasione del bicentenario della nascita di Vincenzo Vela. L’intero progetto, che include un documentario musicale e una serie di sette clip musicali, è disponibile sul sito di RSI Radiotelevisione svizzera. In questa intervista, a cura di Ilaria Baratta, Adriano Kestenholz ci racconta il progetto.
IB. In occasione del bicentenario della nascita di Vincenzo Vela, ha deciso di dedicare una videoinstallazione musicale e un documentario all’artista svizzero. Perché lo ha voluto omaggiare? Cosa La lega a Vincenzo Vela?
AK. Mi hanno sempre affascinato le gipsoteche. Ricordo molto bene la scossa emotiva avuta alla prima visita della gipsoteca di Canova a Possagno. Il bianco! Il bianco su bianco, le variazioni del bianco, le sue sfumature, la luce e le ombre: il volume, la plasticità, le forme esclusivamente generate dall’incontro tra la luce e il bianco. Ecco ciò che inizialmente ha portato a interessarmi all’opera di Vincenzo Vela: la sua casa-museo, il luogo in cui erano conservati i suoi progetti, le sue idee, i suoi modelli in gesso. Un luogo autentico, magico, intriso dallo spirito dell’artista.
Da regista ha creato una videoinstallazione site-specific che lega le opere di Vincenzo Vela conservate nel museo a lui dedicato alle immagini e alla musica: quasi un’opera totale, si potrebbe dire. Quali percezioni e sensazioni vuole far scaturire nel visitatore attraverso quest’opera totalizzante? Quale rapporto si crea tra i modelli in gesso e le rispettive opere custodite in diversi luoghi d’Italia, Francia e Svizzera?
Credo che in campo artistico la totalità sia utopia, quindi non parlerei troppo di opera totalizzante; anzi se applicata programmaticamente l’idea di opera d’arte totale rischia di portare con sé non poche impasse. Dell’opera non si dà sistema. Le opere non si lasciano imbrigliare e difficilmente sottostanno a un principio di padronanza, sia del loro creatore (l’artista) sia del loro fruitore che nel fruirle le ricrea e le ricostruisce a modo suo. È proprio questo elemento di incompletezza che gioca e agisce nella mia videoinstallazione e che induce il visitatore a completare l’opera con la propria immaginazione. Sono sempre rimasto legato all’affermazione di Lessing secondo la quale “ non vediamo mai senza nel contempo anche immaginare”. Quindi se vi è una forma minima d’intenzionalità in questo progetto è forse quella di creare un dispositivo immersivo capace di lasciare al visitatore la propria libertà d’immaginazione. L’installazione è composta da diverse sequenze video sincronizzate l’una con l’altra e proiettate sulle pareti del museo, sui modelli in gesso e su alcuni veli semitrasparenti: sono sequenze che girano in loop, sequenze rispetto alle quali il visitatore diventa una sorta di flaneur. A seconda del momento e del luogo in cui si trova il visitatore, le diverse proiezioni dell’installazione rilasciano per così dire il loro senso, come i fiori rilasciano un profumo quando ci soffermiamo nei loro pressi o passiamo loro accanto. L’incontro tra la ricorsività delle proiezioni e il percorso attuato dallo spettatore crea innumerevoli rapporti tra i modelli in gesso e le immagini delle rispettive opere in marmo e in bronzo collocate in diversi luoghi lontani dalla casa-museo. Il lontano si fa vicino. Lo spazio immersivo dell’installazione invita a un viaggio che va oltre i recinti architettonici del museo.
Adriano Kestenholz, Vincenzo Vela. Il sogno della materia, veduta dell’installazione |
Adriano Kestenholz, Vincenzo Vela. Il sogno della materia, veduta dell’installazione |
Adriano Kestenholz, Vincenzo Vela. Il sogno della materia, veduta dell’installazione |
Adriano Kestenholz, Vincenzo Vela. Il sogno della materia, veduta dell’installazione |
Adriano Kestenholz, Vincenzo Vela. Il sogno della materia, veduta dell’installazione |
Quale aspetto dell’arte di Vincenzo Vela intende sottolineare con il titolo "Il sogno della materia”?
Vincenzo Vela. Il sogno della materia è un titolo volutamente enigmatico. Un titolo che lancia delle questioni piuttosto che rispondere a delle domande. Come si materializza un progetto? Quale è il soggetto? La materia è anche sogno? La materia sogna? Nel titolo vi è poi un’allusione all’apparente immaterialità dell’immagine digitale: quale è la materia nella quale l’opera del Vela va ad incarnarsi dal momento in cui viene trasposta in un altro linguaggio? Di quale materia stiamo parlando quando un’opera viene riproposta attraverso altri media?
Da cosa Le è scaturita l’idea di realizzare questa videoinstallazione? Come l’ha realizzata concretamente?
Ho sempre notato che nelle produzioni cinematografiche classiche si consumano molte energie e risorse per dar corpo unicamente a una sola forma espressiva; segnatamente un documentario, una fiction o magari una serie. L’idea di declinare un “soggetto” attraverso vettori mediatici diversi, di renderlo per così dire transmediale , nasce proprio da questa constatazione e da una sorta di economia in ambito produttivo. Detto in modo un po’ ironico la mia idea di transmedialità, nasce dal concetto di riciclo, pertanto di ottimizzazione delle risorse produttive. I materiali visivi che compongono i tre vettori del progetto (la videoinstallazione, il documentario e le webclip) sono più o meno sempre gli stessi ma declinati e montati in funzione di ciascun vettore in modo differente e unico rispetto al filo conduttore che è la musica.
La composizione musicale che accompagna la videoinstallazione è di Andreas Pflüger e si ispira a sette tematiche dell’opera dello scultore ticinese. Può spiegare meglio cosa s’intende.
Alla base del progetto vi è la musica intesa come linguaggio universale capace di amplificare emotivamente ciò che proviamo di fronte alle opere d’arte. In questo caso i gessi e le sculture di Vincenzo Vela. Nelle produzioni audiovisive la musica solitamente entra in un secondo momento, viene per così dire ad aggiungersi al lavoro fatto precedentemente sull’immagine. In questo progetto invece, come in altri miei lavori di genere documentaristico-installatorio ( Mosaici di Piazza Armerina , basato su una composizione di Carlo Florindo Semini o Segantinian a basato su una composizione di Luigi Quadranti) la musica precede di fatto la realizzazione del film e della installazione. Quindi, dopo aver liberamente reperito sette tematiche legate all’opera di Vincenzo Vela, ho voluto lasciare all’estro di Andreas Pflüger, compositore con il quale collaboro da anni, il compito di interpretare queste tematiche con la propria sensibilità. Ne è nata una composizione per soprano e ensemble, in sette movimenti. L’intera videoinstallazione, che si presenta al visitatore come installazione multicanale, è quindi basata sulla performance dell’esecuzione musicale, diretta dal maestro Alessandro Calcagnile. Se dovessi mettere un esergo a questo mio lavoro citerei la frase di Bernardo di Chiaravalle che recita “Ascolta e vedrai!”
Quale valore aggiunto dà il fatto di proporre una videoinstallazione dedicata a Vela proprio nella casa-museo dell’artista?
La videoinstallazione non è che una delle forme di espressione contemporanea capace di riconsegnare al nostro tempo l’arte di ieri togliendola dal suo essere soltanto inerte memoria. Luoghi come la casa-museo di Vincenzo Vela sono luoghi inesauribili, pagine aperte suscettibili di continue riletture, potenti contenitori di cultura, bellezza e creatività.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.