Un anno e mezzo dopo la nascita del progetto Uffizi Diffusi, è tempo di bilancio: quante altre sedi avrà il progetto? In che modo continuerà? Il prossimo anno ci sarà inoltre il primo ritorno di un’opera degli Uffizi in una chiesa del territorio: fino a che punto è possibile riallacciare i nodi con i contesti di provenienza delle opere? E in che modo gli Uffizi Diffusi si collocano col suo più immediato predecessore, la serie di mostre “La Città degli Uffizi”? In questa intervista con Federico Giannini, il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, delinea il futuro del progetto.
FG. Direttore, è passato ormai un anno e mezzo da quando è cominciato il progetto Uffizi Diffusi. Possiamo stilare un primo bilancio? Per esempio qualche numero, come è stata accolta l’iniziativa nei territori ma anche in città, se le aspettative sono state soddisfatte, quali sono state le ricadute... ?
ES. Il bilancio è estremamente positivo. Siamo arrivati a quasi due anni di attività sugli Uffizi Diffusi e la seconda stagione è quasi finita: fin dall’inizio abbiamo sempre fatto anche delle iniziative invernali, e questo aspetto è molto importante perché, al di là del nostro obiettivo di decongestionare i flussi di visitatori attraverso il decentramento, naturalmente pensiamo anche alla destagionalizzazione come obiettivo aggiuntivo, e abbiamo visto che funziona divinamente. Abbiamo dei numeri molto positivi, quest’anno addirittura superano quelli dell’anno scorso. Alcune delle iniziative invernali sono ancora in corso, però sappiamo dai numeri delle prime settimane che anche qui siamo oltre tutte le aspettative. Quindi si può dire che, da un punto di vista anche solo quantitativo, il successo è confermato, ma quello che ci interessa ancora di più sono alcuni dati qualitativi, per esempio il fatto che oltre l’80% delle persone che vengono a vedere una mostra degli Uffizi Diffusi (che comunque non consiste solo di mostre) visita per la prima volta quello specifico museo dove si tiene la mostra. In altre parole, viene pienamente confermato il nostro desiderio (e la nostra speranza) che, grazie alle iniziative degli Uffizi Diffusi, le persone scoprano anche tutti i capolavori magnifici che sul territorio sono già presenti. E questo perché spesso i visitatori vengono per vedere l’iniziativa speciale, ma poi scoprono anche quello che c’è già.
È stato spesso detto che il progetto Uffizi Diffusi abbia due grandi vantaggi: il primo è che avvicina, o riavvicina, le comunità ai musei, e il secondo sta nella sua capacità di diffondere l’arte nei territori con tutte le conseguenze del caso sui flussi turistici, cui abbiamo già fatto cenno. Secondo Lei questo modello è replicabile altrove?
Sicuramente è replicabile presso altre realtà, soprattutto nel centro-nord, non ho dubbi. Però prima di replicarlo ovviamente la priorità è di renderlo più strutturale e di farlo crescere, anche come numero di attività, in Toscana. Salutiamo dunque positivamente le prime due stagioni del progetto, che sono state caratterizzate da una grande crescita e costituiscono veramente un ottimo approdo, però al di là della crescita numerica delle iniziative, il progetto naturalmente deve diventare anche sempre più strutturale: immagino cioè che la gente fra cinque anni, quando verrà in Toscana, si domanderà subito quali saranno le iniziative degli Uffizi Diffusi. Abbiamo infatti riscontrato già adesso che non si tratta soltanto di far sviluppare il turismo di vicinanza, che comunque è importantissimo perché consente alle persone di guardare oltre il proprio campanile, per spingerle a visitare il luogo adiacente (che forse in Toscana è la cosa più difficile di tutte... penso ai fiorentini che mai vanno a visitare l’empolese et similia), e di conseguenza per superare una sorta di campanilismo eccessivo, un campanilismo non di apertura, che significa essere fieri del proprio luogo ed è una cosa sanissima, ma il campanilismo di chiusura, l’atteggiamento del tipo “io non vado lì perché non è la mia città”. Ecco, non si tratta solo di far sviluppare il turismo di vicinanza, ma anche il turismo che viene da lontano: per questo lavoriamo anche dal punto di vista comunicativo, a cominciare dal nostro sito web, dove informiamo su tutte le iniziative fornendo al pubblico anche un’ottima risorsa per chi pianifica un viaggio o una vacanza, pensando soprattutto a chi viene a fare le vacanze in Toscana senza conoscere in maniera approfondita la regione e magari vuole vedere qualcos’altro oltre agli Uffizi o la Torre pendente di Pisa. Un po’ come è già da tempo nel turismo della musica, dove le persone che si spostano per assistere alle produzioni più interessanti.
Uno degli elementi più interessanti del progetto a mio avviso sono gli standard qualitativi della proposta, che si è sempre mantenuta su livelli elevati, col risultato che in sedi periferiche abbiamo assistito a mostre curate e allestite in sostanza come le mostre che si tengono agli Uffizi. Vorrei allora chiedere intanto quali sono stati i criteri che hanno portato alla scelta di certe sedi piuttosto che altre, dal momento che i sopralluoghi che avete compiuto sono stati moltissimi, e poi quali sono gli standard a cui le sedi che ospitano le mostre del progetto si devono adeguare...
Gli standard che noi chiediamo, da un punto di vista tecnico, sono quelli che sono stati recepiti già nell’Atto di indirizzo sui criteri tecnico–scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei del Decreto Ministeriale del 2001, oppure quelli dell’Icom sulla sicurezza delle opere d’arte, che riguarda misure antifurto, misure di sicurezza climatica e così via. Ovviamente le sedi espositive devono rispondere a questi parametri. In più, un criterio per noi molto importante è quello di non mandare opere a casaccio, ma di trovare delle ragioni che connettano le opere d’arte al territorio: può essere un dipinto che si trovasse in quel luogo in passato, può essere che l’artista provenisse da lì, può essere che in un’opera sia raffigurato un santo che viene venerato in quel luogo, ci possono essere connessione tematiche, storiche e così via, perché solo in questo modo viene comunicato al meglio anche il valore identitario dell’arte. Siamo inoltre aperti alla collaborazione e alla co-progettazione con i Comuni (in genere è un Comune l’ente col quale collaboriamo), però non ci limitiamo a questo. Noi mettiamo a disposizione tutta la nostra potenza di fuoco, quella di uno dei grandi musei mondiali di ricerca storico-artistica e questo per noi è importante. Significa che non vogliamo delle mostre superficiali: non ci interessa l’ennesima minestra riscaldata, non ci interessa l’ennesima replica, ci interessa invece produrre cultura e conoscenza basandoci sulla ricerca.
Ricordo che il progetto degli Uffizi Diffusi nacque in un momento in cui proprio da qui, dalle sale dove ci troviamo in questo momento, era partita una proposta che sollevò molte polemiche, ovvero quella di ricollocare alcune opere nelle chiese o comunque nei contesti da cui provengono. Lei aveva fatto l’esempio della Madonna Rucellai, e adesso ha dato seguito a quanto aveva proposto con il progetto di riportare, seppur temporaneamente, la Madonna del Baldacchino di Raffaello, altro capolavoro fondamentale della storia dell’arte, appunto nella Cattedrale di Pescia dove si trovava fino al 1697. Che reazioni ha sollevato questa iniziativa che comunque rientra negli Uffizi Diffusi?
Le reazioni sollevate sino a qui sono tutte di grande entusiasmo, non solo a Pescia e a Pistoia. Vorrei però tornare sul primo punto: quando avevo proposto, già nel primo mese della pandemia di Covid-19, cioè a fine marzo del 2020, di riportare alcune opere scelte alle chiese, la polemica stranamente non nacque a Firenze, dove l’aspetto che mi ha sorpreso di più è stata proprio la mancanza di polemica, perché in passato era già stata avanzata un’altra proposta di portare la Madonna Rucellai in Santa Maria Novella. Solo una quindicina di anni prima c’erano state infatti più di mille persone che avevano fatto una raccolta firme con centinaia di sottoscrizioni, e per alcuni politici e intellettuali del periodo sembrava quasi una questione di vita o di morte riportare l’opera lì. Bene, nessuna delle persone che all’epoca si pronunciarono a favore del rientro dell’opera adesso ha preso posizione: questo a me va benissimo, ma l’ho trovato molto indicativo, perché all’epoca la proposta era connessa a un progetto che prevedeva di far pagare l’ingresso alla chiesa e di suddividere i fondi tra l’ordine domenicano e il Comune di Firenze. Oramai le giunte sono cambiate, ma in retrospettiva si è rilevato che questa proposta dei primi anni 2000 fosse una mossa puramente politica, senza alcun fondamento museologico, storico-artistico o addirittura religioso, e questo naturalmente fa sempre dispiacere. Tuttavia, per quanto riguarda poi il caso concreto, era chiaro, anche sulla base della risposta ufficiale della curia (ovvero che sarebbero stati disponibili ad accogliere l’opera solo in caso che lo Stato pagasse per tutto), che la mia proposta non avrebbe avuto seguito, e quindi per i prossimi decenni non c’è dubbio che la Madonna Rucellai, malgrado la mia proposta, rimarrà esposta agli Uffizi. Peraltro in una sala dove c’è un allestimento che funziona molto bene: da direttore degli Uffizi del resto non posso dire che dispiacesse, tuttavia bisogna anche ribadire che, diversamente da quanto abbiamo letto su alcuni giornali, quello attuale non è l’allestimento originale di Scarpa, Michelucci e Gardella che invece avevano scelto, proprio come ancoraggio di questa sala, il Crocifisso di Cimabue di Santa Croce che poi è ritornato in Santa Croce. Quindi, anche se l’idea di mettere queste tre pale d’altare in questa sala non è altro che un afterthought, l’allestimento non verrà toccato. Dicevamo che la discussione non è nata sui media fiorentini, e neanche sui media italiani: è nata infatti sui media anglosassoni e anche di lingua germanofona, e l’aspetto positivo della polemica è che comunque in quelle aree ha provocato il ritorno di alcune opere d’arte dai musei nelle chiese. L’aspetto interessante della polemica è quindi la risonanza globale della proposta, e il fatto che si discuta a livello mondiale delle funzioni diverse di un’opera d’arte in un museo o in una chiesa, oltre che delle potenzialità e dei rischi. È una discussione che è appena iniziata e che adesso continua tra gli esperti e il pubblico soprattutto anglosassone. Sono contento di aver gettato questo sasso nello stagno.
Ma secondo Lei comunque fino a che punto si possono ricucire i contesti? Lasciando perdere la Madonna Rucellai e parlando della Madonna del Baldacchino, non c’è dubbio che l’opera abbia una storia legata al collezionismo granducale e dunque agli Uffizi, quindi non è pensabile che un’opera simile lasci per sempre il museo. È però possibile, a Suo avviso, pensare a rientri permanenti sul territorio, magari non di opere che hanno una storia importante legata ai loro musei, ma per esempio di opere che si trovano nei depositi?
È possibile ed è augurabile: consideriamo che, in Toscana, i depositi afferiscono non soltanto agli Uffizi ma anche alla Direzione Regionale dei Musei della Toscana, quindi è vero che noi abbiamo dei tesori enormi più grandi di altre istituzione museali, ma ci sono anche molti altri istituti, specialmente le soprintendenze, che hanno depositi pieni di opere d’arte che provengono dalle chiese. Il rischio di lasciare a lungo nei depositi opere che provengono dai territori è che dopo alcuni anni o alcuni decenni nessuno, nel luogo di provenienza, si ricordi più dell’esistenza delle opere, o di dove siano finite. Quindi quei luoghi vengono derubati della loro identità. Tutte le cose che sono nei depositi potrebbero e dovrebbero tornare. Ovviamente bisogna procedere un passo alla volta, talvolta è una cosa semplice (spesso alcune opere possono tornare nei luoghi di provenienza dopo un semplice restauro), in altri casi è più complesso, e questo è un grande compito per il futuro: ormai sono più le soprintendenze che nei loro magazzini possiedono un numero maggiore di opere dal territorio rispetto ai musei. Ed è però un peccato avere alcune parti delle decorazioni in deposito e non fruibili in loco.
Torniamo sull’argomento Uffizi Diffusi: uno dei progetti in cantiere è quello degli “Uffizi del mare” a Livorno, che avrà sede alle Terme del Corallo. A che punto siamo con i lavori?
Siamo proprio all’inizio del recupero di questo straordinario immobile, ma come avevo detto fin dall’annuncio del progetto, non può consistere soltanto nel recupero di un immobile: quello che va fatto è ricucire l’urbanistica del cuore di Livorno, abbattendo il bruttissimo cavalcavia che hanno costruito e sostituendolo con il nuovo sistema di percorrenza delle strade. In questo momento sono proprio allo studio alcune ipotesi che prevedono l’apertura di sottopassaggi, e posso dire (e posso confermare) che l’amministrazione comunale ha lavorato attivamente in questi sedici mesi dall’avvio del progetto per risolvere tutti questi problemi. Questo vale anche per la Regione Toscana e per i vari ministeri coinvolti, che hanno seguito la questione mettendo anche a disposizione alcuni fondi per proseguire con il restauro. Quanto ai contenuti del progetto, si tratta di un’opera architettonica legata al liberty e quindi sarebbero da portare delle opere dai depositi della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Livorno, anche se è presto per dire quali opere arriveranno. È un progetto bellissimo ma ci vorranno ancora anni, però i livornesi hanno sempre una grande pertinacia e anche con questo progetto lo hanno già dimostrato, perché sono state le associazioni le prime a liberare le rovine di questo edificio e il lavoro continua anche adesso.
Molti dei visitatori degli Uffizi della “vecchia guardia”, per così dire, ogni volta che sentono parlare di Uffizi Diffusi immancabilmente non possono fare a meno di citare un suo predecessore, il progetto “Città degli Uffizi”, la serie di mostre che il museo periodicamente organizzava fuori da Firenze prima della riforma Franceschini e dell’autonomia. Quali sono le affinità e le differenze degli Uffizi Diffusi rispetto a quel progetto?
La Città degli Uffizi ha avuto quasi una ventina di iterazioni, però in genere in un solo luogo ogni anno, e rispetto agli Uffizi Diffusi ci sono attinenze e ci sono differenze. Il titolo, intanto, era scelto male perché fuori da Firenze non esiste una “Città degli Uffizi”. Cioè, Empoli non è la “città degli Uffizi”, è una città dove gli Uffizi non ci sono, è una città diversa. Poi questo progetto alla fine è un po’ degenerato perché è stato portato in luoghi che non hanno niente a che fare con la Toscana, dalla Lombardia fino al Meridione, e quindi ha un po’ perso il suo filo rosso. E poi le sedi erano spesso le stesse, mentre noi in due anni abbiamo già collaborato con molti più luoghi diversi che tutta la serie di mostre della Città degli Uffizi in più di dieci anni. Però l’idea era buona e sicuramente va inclusa tra i vari precursori che hanno ispirato anche gli Uffizi Diffusi. Un’altra fonte importante di ispirazione e di sviluppo è stata l’iniziativa, che non aveva nessun nome, di Antonio Paolucci in collaborazione con Rosanna Caterina Proto Pisani che ha restaurato, riordinato e reso fruibile alcuni piccoli musei nel territorio, soprattutto della provincia di Firenze, e nacque dal fatto che la soprintendenza di Firenze aveva queste responsabilità territoriali. Antonio Paolucci soprattutto è stato il grande motore dell’iniziativa e sentiva la grande responsabilità verso il territorio, e tra l’altro già negli anni Settanta, prima di poter restaurare i piccoli musei, lui stesso organizzava delle iniziative (ad esempio con le scuole) che prevedevano la catalogazione delle opere d’arte nel loro territorio. Infine, terzo precursore è stato il progetto della Fondazione CR Firenze Piccoli Grandi Musei. Sono tutti esempi virtuosi che abbiamo cercato di mettere insieme, di rendere sistematici, senza lasciare niente al caso, senza lavorare magari perché qualcuno conosce qualche sindaco di qua o di là o aveva qualche collegamento familiare con qualche luogo. È stato importante soprattutto rendere gli Uffizi Diffusi un progetto sistematico e di pensare proprio all’intera Toscana. E anche questo è molto diverso rispetto ai progetti precedenti, che sostanzialmente si limitavano soprattutto alla provincia di Firenze.
Poiché il Suo mandato è in scadenza, ci si interroga su come si articolerà in futuro il progetto. Intanto possiamo dire che c’è un accordo tra Uffizi e Fondazione CR Firenze fino al 2026, quindi la continuità almeno nel medio periodo immaginiamo sarà assicurata: quali scenari comunque potrebbero aprirsi in futuro? E ancora, a febbraio del 2021 Lei annunciava che gli Uffizi diffusi avranno cento sedi: a che punto siamo sulla strada verso questo obiettivo?
La prospettiva è quella di aumentare fino oltre le cento sedi, e siamo sulla buona strada (anche se attualmente è ancora presto per annunciare quali saranno le nuove città interessate dal progetto: lo faremo a tempo debito), perché abbiamo superato un terzo delle sedi dopo solo due anni, quindi anche se si tratta di dare continuità all’intero progetto è importante darla anche ai singoli, ed è utile avere un’offerta costante. Ciò non significa che dobbiamo sempre avere qualche attività in tutti i luoghi, gli Uffizi Diffusi possono essere attivati in una sede anche un anno sì e un anno no. In altri luoghi invece può esserci più continuità: prendiamo il caso di Ravenna, dove ora abbiamo una sala di opere dantesche degli Uffizi nella Casa di Dante, e quindi questo elemento offre una continuità di relazione che fa sì che i potenziali visitatori vengano attratti dalla stabilità dell’offerta. Quest’ultima del resto è fondamentale, così come lo è la crescita. E poi lavoreremo per metterli in sistema. Questo ovviamente può avvenire solo in un secondo momento ma, per esempio, l’idea di collegare concretamente i singoli siti con piste ciclabili come in questo momento viene fatto tra Montelupo Fiorentino ed Empoli, è sicuramente un aspetto molto virtuoso, così come lo è l’integrazione tra il turismo culturale e museale con il turismo enogastronomico, atletico, naturalistico, eccetera. Su questo aspetto c’è ancora molto da fare, ma diciamo che i presupposti sono ottimali. Credo che già adesso gli Uffizi Diffusi abbiano raggiunto un dinamismo che sarà difficile rallentare o fermare, perché in ogni luogo dove si è visto un successo ovviamente nasce anche la voglia di continuare, quindi mentre all’inizio era fortemente legato alla mia persona ovviamente l’idea è che anche in futuro, quando non sarò più qui, il progetto possa non solo continuare, ma anche continuare a crescere. Poi è molto importante avere alcune presenze più forti sul territorio: Lei ha già menzionato gli Uffizi del Mare, ma sicuramente anche la Villa dell’Ambrogiana di Montelupo Fiorentino sarà indispensabile per attivare tutte le altre ville medicee della seconda cerchia, quelle che sono più distanti da Firenze, perché costituisce proprio l’anello mancante: finché non ci sarà la grande succursale della Villa dell’Ambrogiana non fioriranno mai le altre ville. In sostanza, continuare è una necessità assoluta. Però anche per quest’ultimo progetto i primi soldi sono già arrivati e siamo sulla buona strada. Per fortuna è troppo tardi per fermare un progetto come gli Uffizi Diffusi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).