Sara Piccinini, classe 1983, è la nuova direttrice della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, una delle principali collezioni d’arte contemporanea d’Italia, dove spiccano opere dei più grandi artisti dalla metà del Novecento ai giorni nostri. Piccinini lavora nell’istituto reggiano dal 2007 (ovvero dalla data di apertura) e lo ha dunque visto nascere e crescere, fino ad arrivare al suo nuovo incarico. Abbiamo intervistato la giovane direttrice che ci ha spiegato quale sarà l’approccio che contraddistinguerà la sua direzione, ci ha anticipato alcuni dei prossimi progetti, e in generale ci ha parlato degli obiettivi che animano la prestigiosa collezione. L’intervista è a cura di Ilaria Baratta.
Sara Piccinini. Ph. Bruno Cattani |
IB. Da gennaio 2021 Lei è la nuova direttrice della Collezione Maramotti, tra le più note collezioni d’arte contemporanea di spicco in Italia, ma in realtà festeggia il suo quattordicesimo anno nella sede espositiva. Lavora infatti qui dal 2007 e dal 2018 è stata Senior Coordinator della Collezione. Cosa significa per Lei essere diventata direttore di un museo in cui ha trascorso già molti anni della sua vita e che quindi conosce molto bene? Durante questi anni quali sono state le evoluzioni e i cambiamenti nella Collezione?
SP. Iniziare il mio percorso nel momento in cui la Collezione stessa ha preso forma e ha aperto al pubblico mi ha dato la grande possibilità di seguire da vicino ogni evento, ogni sfida, e di crescere costantemente. La Collezione presenta diverse peculiarità, rispetto alle modalità di fruizione, di comunicazione, di organizzazione interna, così come in termini di progettualità. La gestione e la valorizzazione di queste specificità è sicuramente qualcosa che diventa possibile anche grazie a un’esperienza di anni e alla condivisione di una visione, che è quella di una famiglia. Penso che l’evoluzione della Collezione negli anni sia stata organica, coerente: la maggior parte dei progetti temporanei si sono configurati come esplorazioni contemporanee nel campo del medium pittorico, un fil rouge che collega tutta la raccolta, dalle prime opere esposte in permanente (che risalgono alla fine degli anni Quaranta) ai giorni nostri. Così come c’è sempre stata una grande attenzione a intercettare momenti con tratti di innovazione, di rottura, di slancio nella ricerca di un artista, figura che occupa una posizione centrale in Collezione: la sua voce, il suo rapporto diretto con i collezionisti e con lo staff della Collezione, il suo coinvolgimento in tutti gli aspetti della realizzazione e della presentazione dei progetti. Come realtà con forti radici nel territorio e vocazione internazionale, negli anni abbiamo rafforzato e ampliato la nostra rete di collaborazioni, sia a livello locale, ad esempio con la Fondazione I Teatri o con il Festival di Fotografia Europea, sia all’estero, dalla Whitechapel Gallery, di cui siamo partner, insieme a Max Mara, del Max Mara Art Prize for Women, alle numerose istituzioni con cui siamo entrati in collegamento per prestiti di opere o intere mostre, o di cui abbiamo accolto gruppi di patrons, direttori e curatori.
Quale linea seguirà nella direzione della Collezione? Quali punti considera fondamentali per la direzione di una sede museale?
Riprendendo la mia prima risposta, credo che sia molto importante, soprattutto in una realtà come la nostra, comprendere a fondo e in qualche modo fare proprio un approccio, che è quello della famiglia che ha fortemente voluto la creazione di questo spazio e che con coerenza di pensiero desidera che sia portato avanti e condiviso. Non siamo un museo pubblico, siamo una collezione privata aperta al pubblico (gratuitamente). Non ci sono pretese di esaustività, di ricognizione lineare della scena dell’arte contemporanea; è lo specchio di una storia personale di collezionismo iniziata negli anni Sessanta e che prosegue ancora oggi. Non siamo interessati ad alti numeri in termini di visite, che fin dall’apertura e indipendentemente dalla situazione post-covid sono state su prenotazione e contingentate. Non organizziamo visite guidate, ma accompagniamo i visitatori in un percorso di scoperta, che è diverso per ognuno. Il desiderio è quello di offrire a persone appassionate e motivate un’esperienza intima, personale, un tempo lento dedicato all’arte. I modi di raccontarsi cambiano ed evolvono, lo hanno fatto durante tutti questi anni e con la situazione provocata dalla pandemia, con le riflessioni che questa sta ponendo sul presente e sul futuro, stanno mutando ancor più rapidamente. Ma la filosofia alla base di un luogo, di una realtà espositiva come la nostra, non può cambiare radicalmente, significherebbe in qualche modo tradire la sua identità.
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Fausto Melotti, Giuseppe Uncini, Mario Schifano, Tano Festa Ph. C. Cesare Di Liborio |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di / artworks by: Jannis Kounellis. Ph. C. Luis Aniceto/Cesura |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, open space 2° piano, opere di / artworks by: Huma Bhabha, Mark Manders, Erick Swenson Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Jules De Balincourt. Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Krištof Kintera Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Gert&Uwe Tobias Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti Veduta di sala, opere di Christopher Wool, Rosemarie Trockel Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti Veduta interna, opera di Ross Bleckner Ph. C. Luis Aniceto/Cesura |
Nella presentazione della Collezione Maramotti si legge che la Collezione guarda al futuro dell’arte con una particolare e costante attenzione all’evoluzione dei nuovi linguaggi artistici, soprattutto alla pittura e all’interrogazione critica sullo statuto dell’opera d’arte. Da questo punto di vista cosa ci aspetta secondo Lei sul breve termine nell’arte contemporanea?
La pittura è un linguaggio antico che, anche attraverso periodi di messa in discussione, non si è mai arrestato. In questo momento mi sembra che l’attenzione e una certa sensibilità per la pittura stiano tornando alte, ma a prescindere dalle oscillazioni periodiche di critica o di gusto, gli artisti continueranno a confrontarsi con tutte le potenzialità di questo medium. Che può anche diventare veicolo, insieme ad altre forme di espressione artistica (di cui la Collezione non è priva), di un’interrogazione sul valore e sul significato della creazione e dell’opera stessa, oggi. Come un’opera è in rapporto con la vita, quali domande pone, quali sguardi altri offre, cosa mette in discussione, di quale esperienza (cognitiva, intellettuale, sensoriale) è portatrice, cosa mette in movimento? Attraverso quali immagini endomateriche, citando la scrittrice Nadia Fusini, gli artisti possono metterci positivamente in crisi, possono generare una risposta attiva in chi osserva, un cambio di sguardo, una percezione inedita, un’azione?
Attraverso vari progetti, la Collezione Maramotti ha dato spazio negli anni ai giovani artisti. Ha già in programma progetti a riguardo?
Abbiamo in programma l’apertura di una mostra a fine febbraio di ruby onyinyechi amanze, un’artista nata nel 1982 in Nigeria, che vive tra Philadelphia e New York. Sarà la sua prima esposizione in Italia, come spesso accade per i progetti che presentiamo. Amanze ha realizzato un nuovo disegno pluridimensionale per la Pattern Room della Collezione, lavorando su una scala monumentale mai sperimentata prima. La lunga parete centrale della sala sarà completamente coperta da 15 grandi fogli di spessa carta cotone su cui l’artista è intervenuta utilizzando tecniche diverse. Amanze esplora la carta come medium quasi sculturale, da manipolare e di cui sperimentare forze e fragilità. Il suo immaginario è abitato da figure ed elementi ricorrenti (umani, ibridi, oggetti, architetture) attraverso cui indagare il concetto di spazio. In autunno presenteremo poi un nuovo progetto di Bruno Pogačnik Tremow e Ivana Vukšić (nati nel 1981 in Croazia, con base a New York), noti come TARWUK, che stanno ora lavorando all’ultima delle quattro grandi sculture che esporremo, insieme a una serie di disegni.
La Collezione Maramotti ha sede attualmente nell’edificio in cui Achille Maramotti fondò Max Mara, famosa casa di moda, nel 1951. C’è o è esistito un legame tra la collezione d’arte e la moda?
C’è un forte legame e una storia circolare tra la famiglia che ha fondato e porta avanti il gruppo Max Mara, che è la stessa che ha creato la collezione d’arte, e il territorio in cui azienda, famiglia e collezione hanno le loro radici. L’edificio in cui si trova la Collezione, che è del 1957 ed era la prima sede originale costruita per Max Mara, è stato rinnovato con grande rispetto della sua storia industriale e creativa, per accogliere le opere d’arte. Prima del 2007 le opere della collezione non erano condivise con il pubblico, ma alcune erano state esposte in ambienti comuni della fabbrica, per favorire ispirazione e stimoli ai creativi. Max Mara è anche sempre stata un’azienda attenta al mondo delle arti visive, al coinvolgimento di artisti in progetti speciali. Un esempio è il Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery, di cui la Collezione è il terzo partner, e che è dedicato ad artiste emergenti che operano nel Regno Unito. Ma per quanto riguarda la Collezione Maramotti, non siamo una collezione d’impresa, non ci muoviamo con logiche che dipendono dal mondo della moda.
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di David Salle, Sandro Chia. Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Eric Fischl, Malcolm Morley Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta interna, opera di Mark Manders Ph. C. Gabriele Micalizzi/Cesura |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, open space 1° piano, opere di Mario Merz Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, open space 1° piano, opere di Anselm Kiefer, Ettore Colla Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, opere di Sigmar Polke, Anselm Kiefer Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti, Veduta di sala, open space 2° piano, opere di Vito Acconci, Mark Dion Ph. C. Dario Lasagni |
Collezione Maramotti. Ingresso lato Nord. Ph. C. Claudia Marini |
Se dovesse accompagnare adesso un visitatore al museo, in questo momento storico... su quali opere della Collezione si soffermerebbe di più?
Su quelle che interessano di più al visitatore. È quello che cerchiamo di fare sempre, lasciare spazio al rapporto diretto e personale con le opere. Per cui non sempre sono richieste parole. Diamo informazioni, seppur abbastanza sintetiche, sulla storia della Collezione, la sua identità, l’edificio che la ospita. Ma per quanto riguarda i singoli artisti o i lavori siamo attenti a non imporre una serie di informazioni predefinite. Preferiamo che ogni persona possa dedicare i propri tempi, o eventuali domande, a ciò che più sente affine. Il numero limitato di pubblico che accogliamo, per ogni visita, è concepito da sempre anche in questa funzione: rende possibile il nostro quotidiano tentativo di offrire un accompagnamento personalizzato.
In questo periodo di pandemia, il museo ha dovuto inevitabilmente concentrarsi sull’online. Quali limiti e quali pro ha portato l’online al Suo museo? Crede che continuerà a utilizzarlo anche quando la situazione pandemica finirà?
Naturalmente gli strumenti online sono una grande risorsa e molto importante in questo momento specifico, per non interrompere una forma di connessione con l’esperienza artistica. Ma credo che il suo utilizzo debba essere consapevole, non improvvisato e strutturato con un orizzonte lungo. Posto che la fruizione di contenuti digitali non può in alcun modo sostituirsi a un’esperienza reale, fisica, può accompagnare in modo intelligente, estendere e moltiplicare i livelli di esplorazione, magari concentrandosi su temi di approfondimento e su materiali che non sono normalmente accessibili al pubblico. Ad esempio, stiamo realizzando una serie di pillole video su opere del nostro storage e su libri rari della nostra biblioteca. Abbiamo coinvolto alcuni degli artisti rappresentati in Collezione nella produzione di #paroledartista, contributi audio/video originali per raccontarsi e condividere un pensiero su un’opera, su questo momento storico, o sulla loro ricerca in generale. Così come proseguiamo nella realizzazione di video con interviste agli artisti che presentano progetti nei nostri spazi. E continueremo a immaginare modi e forme per dare voce agli artisti e raccontare la Collezione.
Per concludere, può anticiparci progetti espositivi futuri?
Oltre a ruby amanze e ai TARWUK, per il 2021 stiamo lavorando a due momenti espositivi con materiali dalla nostra biblioteca e dai nostri archivi, in prosecuzione di un discorso iniziato da qualche anno ma che ha preso una forma propria e una dimensione notevole nel 2019 con la mostra Rehang: Archives. In parallelo, stiamo continuando a collaborare con I Teatri di Reggio Emilia per presentare in autunno una nuova performance site specific nei nostri spazi. Sarebbe la settima esperienza di questo tipo, di dialogo fra coreutica, arti visive e architettura, dopo aver ospitato, negli anni, coreografi del calibro di Trisha Brown, Shen Wei e Dimitris Papaioannou e le loro compagnie.L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.