È una delle scoperte più importanti degli ultimi tempi: l’Ecce Homo che stava per andare in asta a Madrid da Ansorena (qui il racconto) e che è stato bloccato prima della vendita in quanto riconosciuto da diversi studiosi come un possibile autografo di Caravaggio. A pronunciarsi a favore del nome di Michelangelo Merisi (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610) sono stati al momento Massimo Pulini, autore di un saggio già molto discusso e pubblicato all’indomani della diffusione della notizia, e Maria Cristina Terzaghi (solitamente molto cauta e prudente nel formulare attribuzioni). Secondo Terzaghi, la possibilità che si tratti di un’opera di Caravaggio emerge dal confronto con le altre opere autografe di Caravaggio, dalle mani di pilato che palesano lo stesso utilizzo dei gesti presente nella Madonna del Rosario di Vienna, dalla sovrapposizione dei piani (il gioco di prospettiva tra l’invenzione di Pilato che si sporge dal balcone, la figura di Cristo e il soldato che gli mette il mantello sulle spalle), dai riscontri tra la testa di Cristo e le opere napoletane dell’artista lombardo.
Abbiamo raggiunto Rossella Vodret, studiosa tra i massimi esperti di Caravaggio, per avere un parere sulla scoperta, sempre tenendo presente che si tratta soltanto di prime impressioni, che l’opera si presenta in uno stato di conservazione tutt’altro che ottimale, e che occorrerà valutarla meglio dopo almeno una pulitura e dopo gli studi scientifici. Rossella Vodret ha scritto molti saggi scientifici e diversi libri su Caravaggio (tra cui il volume, pubblicato da Silvana Editoriale, con l’opera completa di Caravaggio), oltre ad aver curato mostre sul grande pittore milanese: l’ultima, Dentro Caravaggio, si è tenuta a Palazzo Reale a Milano tra il 2017 e il 2018. L’intervista è a cura di Federico Giannini.
Caravaggio (attr.), Ecce Homo (olio su tela, 111 x 86 cm) |
FG. Dottoressa Vodret, che ne pensa di questo dipinto?
RV. Ho visto per la prima volta quest’opera qualche giorno, attraverso una fotografia che mi ha inviato Keith Christiansen. Appena l’ho vista ho fatto un salto sulla sedia, cosa che non mi capita spesso. È vero che l’opera è molto sporca, quindi è difficile dare dei pareri senza vederla ed esaminarla dal vivo, meglio se dopo una pulitura e senza che siano fatte indagini diagnostiche. Però ci sono degli elementi che mi hanno colpito immediatamente, primo fra tutti il volto di Pilato così intenso che si rivolge direttamente a chi guarda, con uno sguardo così penetrante e doloroso che ci coinvolge emotivamente nell’azione che si sta svolgendo (io almeno ho avuto questa sensazione). Lo sguardo di Pilato ha la funzione che normalmente nei quadri di Caravaggio hanno gli oggetti: lui inserisce spesso in primo piano qualche elemento che cerca di invadere lo spazio dello spettatore, proprio per creare il rapporto emotivo con chi guarda e abbattere il muro tra spazio reale e spazio dipinto. In questo caso non ci sono oggetti, ci sono gli occhi di Pilato, che però hanno un effetto coinvolgente anche maggiore. Tra l’altro ho avuto subito la sensazione che la figura di Pilato fosse un autoritratto tardo: vediamo un Caravaggio invecchiato, dimagrito rispetto agli autoritratti giovanili, però secondo me è lui, non ho molti dubbi.
Quali sono, oltre a quelli che ha già menzionato, gli elementi che potrebbero farci pensare a Caravaggio?
Nonostante tutte le riserve, dovute allo stato di conservazione veramente drammatico, ci sono degli elementi che saltano agli occhi, malgrado la patina di sporcizia che offusca il quadro: prima tra tutti la forza di questa composizione, tutta incentrata sulla figura centrale del Cristo in piena luce (e tra l’altro con la geniale invenzione della quinta oscura di Pilato che la fa risaltare ancora ancora di più), la costruzione dei panneggi, la struttura forte delle mani, con un lampo di luce sull’unghia del pollice di Pilato, che attrae lo sguardo e che è un elemento spesso usato da Caravaggio, le pennellate bianche sotto la palpebra inferiore degli occhi di Pilato, la realizzazione degli occhi e della bocca di Cristo, che sono molto simili a quelli del David Borghese. Poi ci sono ulteriori osservazioni relative alla tecnica esecutiva, rese visibili grazie ad una foto in HD che mi è stata inviata. Mi riferisco a una serie di particolarità esecutive specifiche di Caravaggio, come i corposi abbozzi di biacca a zig-zag che l’artista usa soprattutto a partire dal 1605 e che si ritrovano in diverse opere, come il San Girolamo Borghese, il San Girolamo di Montserrat, la Flagellazione di Capodimonte. Sono degli abbozzi molto particolari attraverso i quali il pittore fissa sulla preparazione scura della tela i punti in cui posizionare le zone di massima luce. È una caratteristica che, fino a oggi, non ho trovato in altri pittori. Nell’Ecce Homo ci sono punti gli abbozzi a zig zag sul torace, sulla spalla e sul braccio di Cristo, tutti in piena luce. Sono sue anche le incisioni, anche se ormai sappiamo che le incisioni le fanno un po’ tutti gli artisti del periodo, ma queste sono perfettamente compatibili con quelle che ritroviamo sui quadri autografi di Caravaggio.
Caravaggio, Davide con la testa di Golia (1609-1610; olio su tela, 125 x 100 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Caravaggio, San Girolamo penitente (1605-1606; olio su tela, 112 x 157 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Caravaggio, San Girolamo in meditazione (1605; olio su tela, 118 x 81 cm; Montserrat, Museo del Monastero di Santa Maria) |
Caravaggio, Flagellazione di Cristo (1607; olio su tela, 286 x 213 cm; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, in deposito dalla chiesa di San Domenico, proprietà del Fondo Edifici di Culto - Ministero dell’Interno) |
Ci sono dunque buone possibilità che questa volta si tratti effettivamente di un’opera di Caravaggio?
Posso dire che, francamente, non mi capita spesso di valutare un’opera senza vederla dal vivo e in questo stato di conservazione, e di avere al contempo tutti questi elementi che mi portino a pensare che ci siano buone probabilità che si tratti di un’opera di Caravaggio.
Tra l’altro, nel famoso saggio sull’Ecce Homo di Genova che Roberto Longhi pubblicò nel 1954, veniva presentata un’opera identica a quella di Madrid, sebbene di minor qualità (almeno a giudicare dalle foto). Il fatto che esistano copie avvalorerebbe dunque ulteriormente la possibilità che il dipinto spagnolo sia di Caravaggio?
Indubbiamente. Ci sono moltissime derivazioni da Caravaggio, è chiaro che questo probabilmente era un quadro ben noto: soprattutto in Sicilia ci sono varie derivazioni. Lo stesso quadro di Genova, che chiaramente non è suo, fa supporre che si tratti di una derivazione, con varianti, da questo originale. Anzi, questa diffusione del modello è un elemento che va a confermare che il quadro era ben noto ed era un modello e, allo stesso tempo, la sua possibile autografia.
L’opera pubblicata come derivazione da Caravaggio nel saggio di Longhi del 1954 |
Caravaggio (?), Ecce Homo (1605-1610 circa; olio su tela, 128 x 103 cm; Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco) |
Cosa possiamo dire invece sulla provenienza?
Molti hanno collegato questo quadro alla committenza Massimo del 1605 (il presunto concorso che secondo me, in realtà, non c’è mai stato: si tratta di una costruzione a posteriori del nipote di Cigoli, l’artista risultato vincitore). Tuttavia io sono convinta che l’opera non abbia una provenienza Massimo, anche se Bellori cita un Ecce Homo della collezione Massimo che sarebbe stato portato in Spagna. Ma il quadro Massimo è citato negli inventari, senza il nome dell’autore, come un “quadro grande”, quindi non credo che sia possibile identificarlo con la tela di Madrid, che di certo grande non è. Ed è un “quadro grande” anche quello che è stato richiamato in queste ore, l’Ecce Homo della collezione Lezcano citato nel 1631: quello di Madrid misura in altezza solo 111 cm, dunque oggettivamente non si può dire “grande”. Invece mi sembra più giusta una provenienza proposta dalla raccolta di García de Avellaneda y Haro, conte di Castrillo, che fu viceré di Napoli tra il 1653 e il 1659. Sappiamo da un inventario della sua collezione del 1657 che possedeva due quadri originali di Caravaggio: una Salomè (quella del Palazzo Reale di Madrid), e un Ecce Homo con soldato e Pilato che misurava cinque palmi, una misura molto vicina alle dimensioni di questo dipinto. Quadri che, concluso il suo incarico, il vicerè portò in Spagna. D’altronde (è una cosa che sto studiando proprio in questi giorni e quindi mi fa piacere citarla) i quadri di Caravaggio che si trovavano a Napoli dopo la sua morte dovevano essere parecchi, perché leggendo bene i documenti e soprattutto le lettere di Diodato Gentile [vescovo di Caserta tra il 1604 e il 1616 e nunzio apostolico a Napoli tra il 1611 e il 1616, ndr] a Scipione Borghese pubblicate da Vincenzo Pacelli, si capisce chiaramente che Caravaggio, partendo con la feluca per tornare a Roma, aveva portato molti quadri con lui: erano il suo lasciapassare per tornare a Roma e ringraziare tutti coloro, a cominciare da Scipione, che avevano contribuito a fargli avere la grazia. Diodato Gentile, in una lettera del 29 luglio 1610, pochi giorni dopo la morte di Caravaggio, si lamenta dicendo che quando la feluca era tornata a Napoli aveva riportato solamente tre quadri. Da questa affermazione risulta evidente che i quadri dovevano essere molti di più. Inoltre, sempre nel luglio del 1610, il viceré di Napoli scrive al presidio spagnolo della Toscana chiedendo indietro tutti gli effetti che Caravaggio aveva lasciato lì [Porto Ercole all’epoca faceva parte dello Stato dei Presidi, ndr] e in particolare i quadri. Quindi è chiaro che questi quadri esistevano: per capire dove siano finiti occorrerà studiare ancora. L’Ecce Homo poteva essere uno di questi dipinti perduti...
Per concludere: a questo punto, nel caso in cui il dipinto spagnolo fosse effettivamente di Caravaggio, si aprirebbe un problema sull’Ecce Homo di Palazzo Bianco a Genova.
In realtà io non ho mai creduto che l’Ecce Homo di Genova potesse essere un’opera di Caravaggio. Ho anche partecipato ad un convegno a Genova dove ho avuto modo di studiarlo in maniera approfondita: non c’era nessuna possibilità, a mio avviso, che questa tela possa essere un’opera di Caravaggio [ndr: qui le perplessità di Rossella Vodret emerse dal convegno].
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).