Il turista che “gode” è l’obiettivo da raggiungere per evitare una massificazione del turismo. È quello che sostiene Patrizio Roversi, uno dei due “Turisti per caso” che con Syusy Blady diede vita alla omonima trasmissione della Rai dei primi anni Novanta (dal 1991 al 2006 con varianti come “Velisti per caso”, “Misteri per caso”, “Evoluti per caso” con passaggio anche alle reti Mediaset) che per molto tempo ha fatto scoprire il mondo attraverso i loro occhi trasognati e a volte pure un po’ spaesati, come due italiani simili a noi in tutto e per tutto, che prendevano e partivano alla volta di mete turistiche telecamera e cartina alla mano. Sono passati trent’anni da quando Patrizio Roversi e Syusy Blady hanno cominciato a raccontare il mondo in tv, e il turismo nel mondo è diventato un fenomeno di massa, senza vincoli di censo, di distanze o di mezzi di trasporto facendo emergere problemi nuovi che mai si sarebbe pensato di imputare al turismo. L’aria bambinesca dei turisti si è trasformata in quella famelica del “mordi e fuggi” nelle nostre città d’arte tanto criticato già negli anni prima della pandemia da Covid e che dopo due anni di turismo a zero si ripropone nella stessa esatta maniera oggi conquistando sempre di più spazio nel dibattito pubblico. Finestre sull’Arte ha chiesto a Patrizio Roversi come vede il fenomeno con la sua esperienza da trentennale turista professionale.
Una ricerca della Banca Mondiale ha calcolato che dal 1990 al 2019 chi viaggia per svago è raddoppiato arrivando alla cifra di 2,4 miliardi di persone nel mondo. Voi proprio in quegli anni Novanta iniziavate la vostra trasmissione di successo, portando il telespettatore in giro per il mondo, a volte anche in luoghi impensabili, come due turisti ‘alla buona’ con telecamera alla mano e tanta curiosità. E avete riscosso molto successo. Cosa è cambiato nel viaggiare e nel viaggiatore in questi 30 anni?
Paradossalmente ci siamo pentiti di quello che abbiamo fatto! Ovviamente è una provocazione, ma dal momento che quando cominciammo la trasmissione nel 1990 lo slogan era “se ce la facciamo noi ce la possono fare tutti”, “Se lo facciamo noi fatelo anche voi”, “Viaggiate, viaggiate, viaggiate, perché il turismo è un dovere culturale, quasi un diritto”. Ma adesso di fronte alle dimensioni quantitative che ha preso il turismo a discapito delle caratteristiche qualitative che il turismo sta abbracciando ci siamo pentiti, nel senso che da “Turisti per caso” si è passati a turisti a casaccio…
Vi siete domandati come mai questa evoluzione?
Le motivazioni abbiamo cercato di capirle e sono tante. Innanzitutto è cambiato il mondo, la globalizzazione ha fatto passi da giganti, e globalizzazione vuol dire anche omologazione. Quando siamo andati in Giappone negli anni Novanta abbiamo girato 5 puntate da 100 minuti in 5 giorni perché ogni cosa, ogni posto erano diversi e meritavano di essere raccontati, dovunque attaccassimo la telecamera c’erano posti nuovi da meraviglia. In tanti anni invece le località sono andate assomigliandosi offrendo le stesse cose, le stesse vetrine… Adesso di “non-luoghi”, come li ha definiti l’architetto urbanista Marc Augé, ce ne sono tanti… Poi c’è stato l’avvento delle compagnie aeree low cost che ha reso molto più facile viaggiare, e in più sono esplosi il web e i social network.
Mentre trenta o vent’anni fa il nostro ‘stratega’ della trasmissione doveva fare tanta fatica a trovare i posti dove andare, le persone da incontrare e le curiosità da raccontare… adesso ti saltano addosso, ci sono gli influencer che ti raccontano il mondo! Peccato che in una inquadratura verticale di un telefonino che deve durare pochi secondi di un Tik Tok alla fine non è che te lo raccontano in un modo esaustivo ed interessante. Bruce Chatwin è andato in Patagonia e nel 1977 ne ha scritto un libro raccontando il suo viaggio, ed è giusto che uno che va in Patagonia oggi legga Chatwin perché altrimenti arriva in Patagonia e dice “Ma non c’è niente!”, ed è vero: confermo che in Patagonia non c’è niente, ma c’è tutto, solo che lo devi sapere, ci vuole uno che te lo dica prima. Quindi, lasciamelo dire, il turismo di massa, industriale (anche se è una brutta definizione), ha portato (ed io ti sto parlando da Venezia) a una grande superficialità e omologazione.
Spesso si contrappone il turismo di massa a quello di qualità facendo venire fuori quasi una equivalenza tra il turismo di massa come povero (panino, borraccia, mordi e fuggi) contro il turismo di qualità che è appannaggio dei facoltosi vacanzieri che in un viaggio spendono e spandono tra servizi annessi e connessi con il viaggio. I così detti big spender. Ma davvero il turismo di qualità è di quelli ricchi?
Assolutamente no. La discriminante non è questa. I cosiddetti turisti per caso hanno rappresentato diverse centinaia di migliaia di persone che si sono immedesimate nello stile della trasmissione e quando abbiamo aperto il sito agli inizi degli anni Novanta.
Anche in questo caso siete stati dei pionieri!
Sono diventati una vera e propria community che si scambiava esperienze e consigli sui loro viaggi, le famose Guide per caso. I cui autori erano semplici appassionati di una località in particolare che mettevano a disposizione degli altri le informazione e gestivano i forum.
Il turista ha la passione per lo scoprire o solo l’idea di rilassarsi?
Il turista per caso per definizione deve avere una passione per il luogo dove vuole andare, ti deve scattare una scintilla: può essere qualunque cosa, il racconto di un collega come la lettura di un libro o un documentario o un film. Però devi voler andare in un posto perché hai un interesse specifico.
Mentre oggi tra Google Maps, TripAdvisor e siti internet a portata di smartphone siamo passati dal turista per caso un po’ spaesato ma incuriosito dei vostri reportage ironici al turista iper informato che vuole fare tutto da solo.
Sul fare da soli o attraverso i professionisti del viaggio e cioè con tour operator c’è stata una diatriba di vent’anni fa perché c’era una esagerata tendenza a fare da soli saltando la mediazione di chi questo lavoro lo faceva professionalmente. E spesso i tour operator erano dei grandissimi appassionati di una destinazione di cui poi diventavano esperti e ci portavano gli altri turisti.
E allora noi volevamo essere cauti: se volevi andare, per dire, nello Yemen non è che ci potevi andare d solo….
E ora?
Adesso ci sono questi grandi gruppi organizzati da tour operator non italiani che sembrano una vera e propria importazione selvaggia di turisti a cui offrono il giro in Europa e non possono che metterci 2-3 tappe italiane. Ma il risultato è che le tappe italiane sono sempre le solite: una cartolina a Venezia, Roma e forse Firenze. Siamo un po’ colonizzati da questa gestione del turismo, non abbiamo più neanche un vettore aereo, per cui i voli dall’America o dal Giappone il più delle volte Oggi nella motivazione di viaggio quanto conta una campagna pubblicitaria, tipo quella di un Ministero del Turismo, rispetto ai tanti influencer dei social?
Secondo me il grosso tema oggi è che il turismo è diventato uno status. Uno vuole venire a Venezia e a tutti i costi vuole farsi la foto a Piazza San Marco, ma un conto è venire per far vedere la foto ai tuoi colleghi di ufficio magari in Olanda. Un conto è capire dove sei e perché sei qui anziché là. Io ieri ad esempio mi sono fatto una visita interessantissima alla casa museo di Mariano Fortuny, personaggio straordinario, in estrema calma visto che non c’era molta gente e quando usciamo troviamo la ressa a Rialto dove tutti si volevano fare semplicemente la foto o andare nelle boutique a comprarsi i vestitini. Quindi la discriminante secondo me non è turista ricco o turista povero, è pieno anche di turisti ricchi che seguono una guida in gruppo e fanno “gregging”, ma sono annoiati, gli scappa la pipì, hanno sete... turisti che ‘soffrono’, l’andare così allo sbaraglio perché fa parte di un programma, è questo che andrebbe evitato. Quindi la discriminante è il turista che gode perché risolve una sua curiosità.
Cosa è per te il turismo, cosa ha rappresentato il viaggiare?
Per me il turismo è relazione tra il turista e la realtà locale. Questi gruppi enormi non possono avere relazioni con i centri storici. Io sono appena uscito da un supermercato e se ci fosse stato un turista che guardava i formaggi incuriosito per decidere quale comprare magari avremmo iniziato a discutere su quale fosse il migliore. Il problema però è che di turisti ce ne erano 300 che volevano patatine e Coca-Cola, e io a fare la spesa ci ho messo il doppio vista la fila che c’era alla cassa. E quindi il turista talvolta viene percepito solo come un ostacolo, non uno con cui relazionarsi.
… e i residenti scappano perché si sentono diminuire la qualità della vita con tutte queste persone intorno che ne determina la trasformazione dei loro quartieri, no?
La gente si sente invasa ma ci sono dei motivi, ci sono scelte economico-politiche che mirano a espellere i residenti dai centri storici. E oltre a essere ingiusto è un modo per sperperare, rovinare e distruggere il nostro patrimonio che è la nostra identità: noi offriamo ai turisti stranieri (e non solo) la nostra identità. Quindi dobbiamo mantenere la nostra identità con il macellaio, il barbiere, la farmacia….
C’è stato poi il proliferare di B&B...
Non sono nemmeno veri B&B, perché il B&B tradizionale, così come nacque nell’Irlanda degli anni Venti, è la signora Pina che apre le sue porte per ospitare due turisti a cui rifà il letto e prepara la colazione, gli consiglia cosa vedere, il tutto per arrotondare il proprio reddito. Adesso non è più così: c’è una piattaforma sul web senza relazioni o rapporti diretti personali dove uno si sceglie l’alloggio, entra in casa digitando un codice sulla porta o con le chiavi che gliele consegna una terza persona pagata per questo, poi viene un’altra persona pagata per fare le pulizie. E i proprietari quindi vanno a vivere fuori dal centro, le case in affitto per famiglie non si trovano più, aumentano i prezzi e via dicendo. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha detto basta... ma gli sono saltati addosso tutti dicendogli “Non puoi perché il libero mercato comanda!”.
Il nostro paese è ricco di arte e la prima motivazione di viaggio è quella di vedere le bellezze artistiche di cui sono ricche le nostre città. Come si fa a garantire quindi la fruibilità dell’arte, che è di tutti senza lo snaturamento del tessuto sociale delle città che le ospitano? Come si trova il giusto equilibrio?
Ti rispondo in due modi. Tra le arti ci metto anche l’urbanistica. Nel senso che bisognerebbe far vivere l’urbanistica dei nostri luoghi ai turisti in modo rilassato e positivo. Ti posso fare l’esempio di Bologna che ha come caratteristica principale proprio la sua urbanistica cittadina, con i suoi portici, le relazioni che i portici riescono a creare con il dentro e il fuori della bottega. Dopodiché ci deve essere uno sforzo a qualificare l’offerta. In alcuni musei c’è la coda fuori e spesso dentro devi sgomitare, non puoi nemmeno metterti davanti a un quadro a meditare perché c’è la fila. E poi ci sono dei piccoli o medi musei, dedicati a un personaggio o a una storia, che sono bellissimi da visitare ma che sono semi deserti. L’informazione è fondamentale, creare delle guide locali, dei percorsi, e affrontare il tema del linguaggio.
In che senso?
Il turismo è esploso parallelamente con il web e i social. E te lo dice uno che come Turisti per caso per primi cavalcammo internet negli anni Novanta proponendo proprio sul sito della trasmissione i diari di viaggio degli ascoltatori, che si confrontavano, approfondivano e scrivevano anche storie di 5 cartelle con i loro itinerari, non solo dei reel di 5 secondi come succede adesso con TikTok. Bisogna risolvere il problema del linguaggio perché il turismo risente del livello culturale generale. Ma non voglio fare lo zio, io sono un analfabeta di ritorno. Bisogna accogliere il turista, investire in questo, e la prima cosa è che il turista si diverta.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.