Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo è una delle figure di spicco dell’arte contemporanea italiana: mecenate molto attenta agli scenari dell’arte italiana e internazionale, nelle sedi della fondazione ha promosso progetti di molti grandi artisti internazionali, da Maurizio Cattelan a Carsten Höller, da Carol Rama a Berlinde De Bruyckere, oltre che di diversi giovani ed emergenti, continuamente sostenuti dai programmi della fondazione. La Fondazione ha celebrato lo scorso anno i suoi primi venticinque anni: come sono andati? In che modo la Fondazione sostiene l’arte? E com’è la situazione dell’arte italiana secondo Patrizia Sandretto Re Rebaudengo? Ne parla con Federico Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte, in questa intervista.
FG. Nel 2020, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha festeggiato i suoi primi venticinque anni di vita, avendo aperto nel 1995. Come è cambiata la scena artistica italiana in questo ultimo quarto di secolo?
PSRR. Nel 1995, quando è nata la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, le artiste e gli artisti italiani non sempre potevano contare su un appoggio istituzionale strutturato. La prospettiva di sostenere la scena artistica italiana è stata uno dei motivi principali che mi ha portata a dare vita alla Fondazione. Nel corso di questi ventisei anni molto è cambiato: musei, istituzioni no-profit e spazi indipendenti hanno aperto al pubblico, immettendo nuova linfa nel tessuto culturale e attivando circuiti virtuosi di scambio e sostegno. Grazie agli sforzi portati avanti collettivamente, anche attraverso il Comitato delle Fondazioni Arte Contemporanea costituito nel 2014, si sono potenziati programmi per sostenere l’arte contemporanea italiana, come ad esempio l’Italian Council promosso dal Ministero della Cultura. Indubbiamente sono stati fatti passi avanti, ma ritengo che si possa e si debba fare di più per il sostegno alla scena italiana e per la promozione di artiste e artisti.
Oggi quali sono i criteri che orientano la sua Collezione e l’attività della Fondazione? Su quali basi scegliete i vostri progetti espositivi, gli artisti che promuovete?
La mia collezione è fondata su un dialogo diretto con gli artisti e sulla conoscenza approfondita della loro ricerca. All’inizio, ho scelto di articolare la collezione in una serie di filoni: l’arte italiana, la fotografia, l’arte delle donne, la scena britannica e quella californiana. Questo approccio sistematico deriva dalla mia formazione, con gli studi universitari in economia, e dalla tradizione imprenditoriale della mia famiglia. Potrei definire la mia collezione come generazionale: quando ho iniziato ad acquistare opere d’arte guardavo soprattutto ai lavori di artisti coetanei, con i quali condividevo una costellazione di riferimenti e lo sguardo su un orizzonte comune. Ho iniziato a collezionare artisti più giovani e ho ampliato il ventaglio dei miei interessi, seguendo il corso dell’arte stessa e il sensibile allargamento della platea artistica, sempre più aperta e globale. Mi interessano gli artisti impegnati nel loro tempo, che raccontano il momento in cui viviamo. Apprezzo i lavori che prendono posizione, quelli che sollevano domande, interrogativi sul presente, che fanno pensare. Ancora oggi, la mia collezione è fondata sullo scambio con gli artisti: dialogare con loro è il privilegio straordinario che solo una collezione d’arte contemporanea rende possibile. In Fondazione, collaboriamo con artiste e artisti italiani e di ogni parte del mondo. Li ospitiamo nelle sedi della Fondazione, a Torino e a Guarene, e li sosteniamo con attenzione e continuità, aiutandoli a produrre lavori destinati a eventi importanti, come per esempio la Biennale di Venezia. Nel tempo, abbiamo prodotto opere di Doug Aitken, Maurizio Cattelan, Luisa Lambri, Steve McQueen, Goshka Macuga, Meris Angioletti, Nathaniel Mellors, Ragnar Kjartansson, Aljcia Kwade. Un altro obiettivo è la costruzione di reti e sinergie con altre istituzioni nazionali e internazionali e rafforzare reti di collaborazione in tutto il mondo. Da una partnership tra la Fondazione e il Philadelphia Museum of Art è nato The Future Fields Commission in Time-Based Media. Ogni due anni invitiamo e commissioniamo una nuova opera a un artista che lavora con media digitali, film, video, suoni e performance. Nel 2018 abbiamo presentato il lavoro di Rachel Rose, nel 2021 un’opera di Martine Syms e il prossimo anno collaboreremo con Lawrence Abu Hamdan. Credo sia molto importante condividere una collezione. Sono sempre felice di prestare opere ad altre istituzioni e di presentare la collezione in giro per il mondo. Vorrei citarne alcune: Hara Museum of Contemporary Art a Tokyo; Ciudad Grupo Santander a Madrid; Whitechapel Gallery a Londra; Kunsthalle a Krems, meCollectors Room di Berlino; Centro de Arte Contemporanea di Quito; Sheffield Cathedral; Rockbund Art Museum di Shanghai; MACRO di Roma. Oggi, una parte della collezione è esposta al Mo.Co a Montpellier.
Può indicarci qualche nome di artista giovane da tenere d’occhio per il futuro?
Sono molti i giovani presenti sulla scena artistica che stanno innovando i linguaggi visivi contemporanei. Sono interessata alla ricerca sulla scultura e sull’installazione di artiste come Sandra Mujinga, attualmente presente in mostra a Safe House in Fondazione, di Klára Hosnedlová che lavora sulla relazione tra design e sentimenti, di Giulia Cenci per l’utilizzo che fa della materia o ancora di Tarek Lakhrissi a cui abbiamo dedicato una mostra nel 2020. Guardo con attenzione ai quadri di Giulia Andreani, Pia Krajewski, Jan-Luka Schmitz ed Eva Helene Pade. Penso poi alle ricerche di Benni Bosetto, Jacopo Belloni, Marco Giordano, tutti e tre invitati nella mostra finale delle ultime due edizioni dello Young Curators Residency Programme.
Secondo Lei oggi cosa manca all’arte italiana? Quale è il Suo ruolo, quale il Suo appeal e quale il Suo peso sugli scenari internazionali? E cosa si potrebbe cominciare a fare per colmare le lacune?
Sicuramente una delle criticità più evidenti in Italia sono i percorsi di formazione. In particolare, l’offerta delle Accademie di Belle Arti sul territorio nazionale è disomogenea e spesso la struttura dei corsi è ancora organizzata per compartimenti e discipline chiuse. Oggi invece l’arte è cross-disciplinare e ha quindi bisogno di scambi, di dialogo, di confronti. Per sostenere l’arte italiana ritengo sia essenziale incrementare la mobilità dei nostri artisti e sviluppare le loro occasioni di scambio professionale anche con i loro coetanei stranieri. Su questo principio, la Fondazione ha ideato il programma annuale Young Curators Residency Programme, giunto quest’anno alla sua sedicesima edizione. Ogni anno invitiamo tre curatori o curatrici provenienti dalle più prestigiose scuole curatoriali del mondo a viaggiare per tre mesi in tutta Italia e a visitare artisti nei loro studi, gallerie e musei. Alla fine del loro viaggio, curano una mostra con le opere selezionate durante il loro tour.
Che differenza c’è, secondo Lei, tra l’attività di collezionista privato che raccoglie opere per il proprio godimento personale, e un’attività che invece si apre al pubblico? E quali sono i modelli a cui si è ispirata?
Ho deciso di dar vita alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo mossa dalla passione, dall’ispirazione, dalla curiosità verso il futuro, dall’attenzione al presente e, soprattutto, dal desiderio di condivisione. Mi sono avvicinata all’arte come collezionista ma dopo appena tre anni ho capito che la dimensione personale e privata, tipica della collezione, non delineava lo spazio ideale per esprimere quello che l’arte rappresenta per me. Ho sentito quindi il desiderio di condividere le mie opere e non ho mai pensato la Fondazione come la casa della mia collezione ma uno spazio per produrre nuove opere e nuove mostre. Immaginiamo la mostra come un’agorà, un luogo dove osservare, conoscere, riflettere, discutere e allenare le nostre idee. La committenza di nuove opere e il sostegno alle carriere e alle pratiche degli artisti, costituisce per me oggi il nuovo mecenatismo, nel quale credo fermamente. Quando ho aperto la Fondazione avevo in mente dei modelli ben precisi, le Kunsthalle tedesca e i Frac francesi. La Kunsthalle è uno spazio espositivo senza collezione, un laboratorio dove gli artisti possono sperimentare e produrre. I Frac sono invece fondi collezionistici pubblici slegati da uno spazio espositivo e per questo sono diventati un mio modello di riferimento. La mia collezione, infatti, è in prestito alla Fondazione, non è esposta ma è sempre a disposizione.
Tornando a parlare nello specifico della Fondazione, quali sono state le mostre, gli artisti, i curatori o comunque le esperienze che più ne hanno segnato il percorso o che ricorda con più soddisfazione?
La Fondazione ha sempre cercato di promuovere e invitare artiste e artisti che potessero veicolare l’attenzione su temi attuali e costruire riflessioni e dialogo. Nel 2004, per esempio, abbiamo scelto di dedicare la nostra intera programmazione alle donne, a cominciare da una memorabile antologica dedicata a Carol Rama. Tra le mostre ricordo Non toccare la donna bianca, collettiva di 20 artiste di tutto il mondo, una delle tappe di un ricco calendario sul tema del femminile nell’arte contemporanea con conferenze, mostre, presentazioni e dibattiti. Nel 2008, in grande anticipo rispetto al dibattito attuale sul Climate Change, abbiamo inaugurato Greenwashing, una collettiva di 25 artisti internazionali. La mostra è stata l’apice del ciclo Ambiente, un intero anno di mostre, incontri, progetti e laboratori dedicati al tema cruciale dell’ecologia. Desidero ancora raccontare due progetti che ho molto a cuore: occasioni in cui la Fondazione non si è limitata a esporre ma ha commissionato e prodotto le opere esposte nella sede di Torino. Con Adrian Villar Rojas, nel 2015, abbiamo realizzato Rinascimento, la prima personale italiana dell’artista argentino. Adrian ha trasformato le sale in un’installazione site-specific monumentale, immersiva e piena di pathos. Quattro anni dopo anche Berlinde De Bruyckere si è misurata con l’intero spazio espositivo con un corpus di lavori, sculture monumentali raccolte sotto il titolo Aletheia.
L’ultimo “capitolo” della storia della Fondazione è invece il Parco d’Arte della Collina di San Licerio.
Il Parco d’arte Sandretto Re Rebaudengo si trova a Guarene, nel Roero, sulla collina di San Licerio, poco distante da Palazzo Re Rebaudengo, sede storica della Fondazione dal 1997. Tra i filari di una giovane vigna di Nebbiolo e un rigoglioso bosco selvatico, stiamo mettendo a dimora sculture site-specific e installazioni di artisti italiani e stranieri. Al momento, dialogano con la collina opere permanenti di Ludovica Carbotta, Manuele Cerutti, Carsten Holler, Mark Handforth, Marguerite Humeau, Wilhem Mundt, Paul Kneale. Per questo luogo speciale, l’artista Mark Handforth ha realizzato due ampie panchine, utilizzando il legno di un cipresso cresciuto sulla collina per oltre cent’anni e caduto naturalmente. L’opera può essere un esempio di economia circolare. Il Parco è un punto d’incrocio tra arte e natura, un luogo aperto al pubblico, in un territorio fisico e antropico straordinario, patrimonio dell’Unesco. Abbiamo piantato molti alberi; questo ci permette di prenderci cura del luogo e, allo stesso tempo, di contribuire alla difesa dell’ambiente e all’eliminazione di CO2.
Un’ultima domanda sul tema del mecenatismo. Due anni fa, intervenendo nel dibattito del secondo numero della nostra rivista cartacea “Finestre sull’Arte on paper”, un dibattito centrato proprio sul tema del mecenatismo, lei affermava che “L’Art Bonus presenta alcune problematiche che andrebbero risolte, come l’esclusione dei beni privati dai possibili beni oggetto della donazione”. In questi ultimi due anni, anche alla luce degli sconvolgimenti che la pandemia ha portato al mondo delle arti, la sensibilità (delle istituzioni, ma anche del pubblico) nei confronti dell’arte contemporanea ha conosciuto qualche cambiamento, anche piccolo?
Ho sempre creduto fermamente nella collaborazione pubblico-privato. Molte sono le forme di sinergia possibili e molti gli ambiti su cui lavorare. Tra questi, ritengo assolutamente cruciale il sostegno alle giovani generazioni: negli ultimi anni hanno potuto contare sull’attività e i finanziamenti dell’Italian Council. Per parte privata cito l’esperienza virtuosa del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, che riunisce 17 fondazioni nate dalla passione di collezionisti privati, con spazi aperti al pubblico e presenti su tutto il territorio nazionale. Sono convinta che sia giunto il momento di estendere l’Art Bonus alle fondazioni private per permettere a istituzioni come le nostre di essere comprese tra gli enti beneficiari. Questa misura potrebbe aiutare tante istituzioni private che tutti i giorni lavorano per il pubblico, per sostenere gli artisti, per fare educazione e formazione, con un ruolo assimilabile a quello dei musei. Concludo con l’auspicio che l’arte contemporanea acquisisca maggiore visibilità e attenzione, ed entri sempre più a far parte del dibattito pubblico. Sarebbe un segno importante, vitale per un Paese che sull’arte, attraverso i secoli, ha costruito la sua identità.
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Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).