Parla Badiucao, l'artista cinese dissidente: “torniamo a fare un'arte collegata alla gente”


Intervista a Badiucao, l'artista cinese dissidente in mostra a Brescia fino al 13 febbraio 2022, sulle sue attività e sulla sua arte.

Si fa chiamare “Badiucao”, ma il suo nome non lo conosce nessuno. È l’artista cinese che sfida le censure del governo della Cina, e per questo è costretto a vivere in Australia, in esilio. Fino al 13 febbraio 2022 è protagonista della mostra La Cina (non) è vicina, la sua prima personale europea, in corso al Museo di Santa Giulia di Brescia. Una mostra che ha subito le pressioni della Cina, e che di recente ha subito pure vandalismi (danneggiati infatti tutti i manifesti della rassegna affissi in città). Chi è Badiucao e che cosa fa? Come vive un artista costretto all’esilio, come si svolgono le sue giornate? Da dove nasce l’urgenza di esprimersi con l’arte, e qual è il messaggio delle opere? Abbiamo raggiunto Badiucao che ci ha raccontato molte cose su di lui in questa intervista di Federico Giannini. Per un profilo dettagliato dell’artista è possibile invece leggere questo articolo di Ilaria Baratta.

Badiucao
Badiucao

FG. La mostra “La Cina (non) è vicina” è la Sua prima personale in Europa. Cosa significa per Lei far conoscere il Suo lavoro nel nostro continente (nonostante la Cina abbia fatto pressioni per ostacolare la mostra)?

B. Ha un importante significato personale. Perché, ad essere onesti, per me fare qualsiasi mostra è una sfida estrema, come si può ben vedere: anche per questa mostra abbiamo subito ogni tipo di molestia e di sabotaggio da parte del governo cinese e di coloro che sono manipolati dal governo cinese. Quindi sono davvero felice che questa mostra si sia finalmente concretizzata: ho dovuto annullare una mostra a Hong Kong nel 2018 e in seguito non ho quasi più avuto alcuna opportunità di fare mostre adeguate, oltre a mostrare il mio lavoro online. È dunque un’opportunità rara ed emozionante. Credo che con una mostra sia possibile parlare a un pubblico diverso e quindi innescare diversi tipi di conversazione rispetto a quando si pubblicano cose online. Quando si è online si parla a un gruppo di persone, ma quando si organizza una mostra in uno spazio fisico, allora si sta automaticamente costruendo un rapporto molto stretto con la comunità locale, che è, in questo caso, la comunità di Brescia, ma la si potrebbe anche estendere perché ci sono molte persone in Italia che stanno effettivamente viaggiando per venire a Brescia al fine di visitare la mostra. Tutto questo è piuttosto unico e nuovo per me, e ovviamente è una sfida anche per me, perché probabilmente prima di questa grande mostra ero più riconosciuto come un fumettista politico attivo online, ma la mia pratica è sempre andata oltre il lavoro sui social media, ho fatto per esempio installazioni, performance, dipinti ad olio. Quindi questa mostra mi dà anche la possibilità di convincere me stesso che ho molto di più da mostrare al mondo, al di là alle vignette politiche. E sono davvero felice che il messaggio sia stato trasmesso, attraverso questo grande spazio nel Museo di Santa Giulia, a un pubblico vasto e di aver ricevuto risposte e feedback estremamente positivi e interessanti dal pubblico di tutta Italia.

Mi fa davvero piacere. E quindi come ha reagito il pubblico alla mostra?

Penso che se guardiamo al titolo stesso della mostra (“La Cina (non) è vicina”), probabilmente tutti in Italia hanno una vaga idea di cosa sia la Cina. Tuttavia, potrebbe anche trattarsi di un’idea solo superficiale, o di un’idea stereotipata, in primo luogo perché la distanza geografica è grande, e in secondo luogo anche perché la propaganda e la censura del governo cinese stanno arrivando in realtà in ogni angolo del mondo, compresa l’Italia, ma penso che questa mostra stia sicuramente creando un importante dialogo con il pubblico locale e, da molti feedback che ho ricevuto, ho compreso che il pubblico non conosce mai quelle storie che sto cercando di raccontare all’interno delle opere. Con una mostra è davvero possibile offrire una visuale migliore attraverso la propria espressione artistica, si può dare la possibilità di saperne di più con qualcosa di concreto. Quindi, in questo modo, penso che la mia arte sia diventata una sorta di ponte che avvicina il pubblico di Brescia e dell’Italia molto di più alla realtà della Cina. È davvero un onore per me poter raggiungere questo obiettivo. E ovviamente penso che ci siano differenze che le persone devono conoscere, ma alla fine si trova sempre una connessione: per esempio, anche se i visitatori possono non avere familiarità con la lotta delle persone che si trovano in Cina, possono comunque riferirsi sempre alla loro storia. Intendo cioè la storia dell’Italia, quando all’epoca della seconda guerra mondiale le persone conoscevano la censura e la persecuzione politica, e questo vale soprattutto con le generazioni più anziane. Tra il pubblico della mostra ci sono state molte persone che mi hanno fatto sapere di aver sperimentato direttamente tutto questo da giovani, o che i loro genitori hanno avuto esperienza di un governo molto oppressivo. Quindi, anche se siamo separati da decenni di distanza, in qualche modo riusciamo a stabilire questa connessione per far capire e far provare empatia ed emozione nei confronti del popolo cinese, e questo è davvero importante.

Badiucao, Meng (Sogno) (2016; letto a basso costo e 4000 matite made in China, dimensioni variabili)
Badiucao, Meng (Sogno) (2016; letto a basso costo e 4000 matite made in China, dimensioni variabili)
Badiucao, Winnie the Trophies (2017; stampa digitale, 115 x 150 cm)
Badiucao, Winnie the Trophies (2017; stampa digitale, 115 x 150 cm)

Giusto per fornire un esempio degli argomenti di cui stiamo parlando, potremmo introdurre le opere sulle Olimpiadi Invernali di Pechino del 2022, che hanno a che fare con la propaganda e gli abusi del governo cinese. Può parlarci di quest’opera? Peraltro a breve il lavoro sulle Olimpiadi verrà trasformato in NFT...

Sì, è un lavoro che sta affrontando il tema delle Olimpiadi Invernali di Pechino, e in effetti lo stiamo esponendo anche alla mostra di Brescia. Ma la parte nuova è un lavoro che lancerò come progetto NFT, perché penso che sicuramente gli NFT siano qualcosa di cui l’arte parlerà molto. Quest’anno sono stato a Miami Art Basel e gli NFT sono stati sicuramente il tema dell’intera fiera, se ne parlava tra le principali gallerie e tra gli artisti. Tutti però parlano di quanti soldi guadagnano investendo in questa nuova forma di proprietà delle arti digitali: ciò che manca in realtà è una discussione sul potenziale degli NFT di difendere i diritti umani sotto forma di arte, ma anche sotto forma di criptovaluta o anche semplicemente come tecnologia della blockchain stessa. Voglio dire che il mio nemico è la censura: in Cina il mio lavoro viene sempre ritirato all’istante, e sembra che non ci sia modo di impedire al governo cinese di farlo, a parte continuare a fare nuovi lavori. Gli NFT invece sono una novità per il sistema di censura e penso che la blockchain abbia il potenziale di mettere alcune informazioni su internet che sono impossibili da rimuovere, e questa caratteristica è in realtà sottostimata, se non trascurata, dall’intero ecosistema degli NFT. E questa è una ragione per cui voglio lanciare il mio progetto in NFT e dire che ci sono altri modi per utilizzare questa tecnologie, ci sono cose più significative da lanciare rispetto, per esempio, a quegli insignificanti Monkey Act, e possiamo effettivamente usare gli NFT per avviare campagne sociali all’interno di questa forma d’arte e fornire anche agli acquirenti o ai collezionisti la possibilità di lasciare informazioni sulla blockchain con l’acquisto di opere d’arte, in modo che tu non stia solo collezionando ma anche interagendo, e che tu sia anche coinvolto nel processo di rilascio delle nostre informazioni su internet.

A proposito di censura, com’è la vita per un artista come Lei apertamente schierato contro il regime cinese? Come trascorrono le Sue giornate, da cosa si deve guardare, come lavora?

Come potete vedere, abbiamo assaggiato il menù completo delle molestie e della censura da parte delle strutture governative, come l’ambasciata cinese, poi quando organizzo mostre o incontri pubblici, a Brescia così come a Bologna e in altre città, ci sono ultranazionalisti cinesi che vengono manipolati e inviati in quei luoghi per cercare di fare sabotaggio. Ci sono state persone che sono venute da me dicendomi che, trovandomi io in Italia, avrei potuto essere ucciso in Italia in qualsiasi momento, quindi sarei dovuto andarmene il prima possibile. La cosa più recente l’ho vista sui manifesti e sulle locandine che abbiamo messo in giro a Brescia in tutta la città. Molti di questi cartelloni sono stati vandalizzati, ma non secondo modalità tipiche, per esempio, degli adolescenti che giocano con le bombolette spray. La copertura dei manifesti è stata progettata con molta attenzione per coprire solo le informazioni della mostra, come le date, la sede, il luogo. Tutto ciò fa parte della mia vita quotidiana e devo farci i conti tutto il tempo, senza parlare poi di tutte le minacce di morte che ricevo sui social media ogni giorno. Quindi fondamentalmente sono molto dipendente da internet, perché la mia arte si concentra principalmente sugli abusi dei diritti umani e sui problemi in Cina, ma sono stato lontano dalla Cina per molto tempo. È sicuramente molto difficile per qualsiasi artista. Se voglio che le mie opere d’arte rimangano rilevanti, sincere e vicine alla realtà, devo costantemente vedere cosa sta realmente accadendo in Cina e, cosa più importante, devo parlare con persone che stanno in Cina attraverso social media come Twitter, anche se quelle piattaforme sono vietate in Cina (ci sono però ancora tante persone che utilizzano VPN aggirando il Great Firewall, che è il sistema di censura dell’internet cinese). Quindi ho ancora la possibilità di parlare con quelle persone per avere informazioni di prima mano, e ogni giorno passo molto tempo sui social media per raccogliere materiale, per cercare fonti d’ispirazione, per vedere quali sono gli accadimenti di cui val la pena parlare e ai quali devo rispondere. Per esempio ho da poco ricevuto [29 dicembre, ndr] delle pessime notizie, dove lo Stand News, che è uno dei più importanti organi di stampa di Hong Kong, è stato chiuso, e sei diverse persone che erano associate a questo mezzo d’informazione sono state arrestate, inclusa una cara amica, la musicista e artista Denise Ho. In questo momento sto effettivamente lavorando a un nuovo lavoro che sostiene la loro libertà ed esprime la mia preoccupazione per la morte della libertà di parola e di stampa a Hong Kong. Quindi ogni giorno questo è lo schema della mia vita: mi sveglio, controllo il telefono, vedo cosa mi preoccupa di più e cerco di trasformarlo in arte.

Badiucao, Medical Prints (2020; stampa plastificata, 30 x 21 cm)
Badiucao, Medical Prints (2020; stampa plastificata, 30 x 21 cm)
Badiucao, No I Can’t, No I Don’t Understand, Covid Portraits for Dr. Li (2020; stampa digitale su carta di riso, 150 x 150 cm)
Badiucao, No I Can’t, No I Don’t Understand, Covid Portraits for Dr. Li (2020; stampa digitale su carta di riso, 150 x 150 cm)

Parlando di libertà di espressione, nel percorso della mostra spiccano le opere sulla pandemia di Covid-19, che sono tra quelle che più hanno impressionato il pubblico. Secondo Lei in cosa ha mancato il governo cinese nella gestione dell’emergenza? Cosa intende far emergere con le Sue opere?

Ogni volta che si parla di questo argomento mi sento estremamente triste, perché, prima che il mondo intero potesse comprendere le terribili conseguenze di questo virus, io stesso ero stato informato da alcune persone, forse uno o due mesi prima che anche qualsiasi media nazionale di internet ne parlasse, ed è così che questa esperienza si riflette nei Wuhan Diaries, che sono esposti in mostra. Ma il governo cinese stava arrestando i medici che tentavano di far passare le informazioni, come Li Wenliang, e stava quindi impedendo che le persone venissero informate: di conseguenza la comunità internazionale non è stata informata su quanto fosse grave la situazione. Ho piena fiducia che se il governo cinese avesse agito fin dall’inizio, invece di arrestare le persone che stavano lanciando gli avvertimenti, l’epidemia poteva limitarsi a Wuhan o rimanere a livello regionale, e non necessariamente sarebbe diventata una piaga capace di danneggiare l’intera l’umanità per anni, tanto che ancora adesso stiamo lottando contro il virus. Sono morti milioni di persone, tante famiglie hanno perso i loro cari anche in Italia, e tutto questo poteva essere evitato e fermato dall’inizio se il governo cinese fosse stato più trasparente, responsabile e anche rispettoso del parere dei medici invece di seguire solo le decisioni politiche o la cosiddetta stabilità della società, ed è proprio questo il problema che voglio sempre sottolineare con le mie opere d’arte, è una situazione per la quale il mondo intero dovrebbe ritenere responsabile la Cina e il governo cinese.

Sempre sul tema della libertà d’espressione, altre opere che hanno colpito il pubblico sono quelle dedicate al poeta Liu Xiaobo: perché per Lei è così importante questa figura? Inoltre, lo ha omaggiato rivisitando alcune opere della storia dell’arte occidentale: quali motivi alla base di questa scelta?

Liu Xiaobo è una figura imponente: se occorre indicare una figura che rappresenti uno spirito di protesta nonviolenta, allora questa sarà di sicuro Liu Xiaobo. Ha una lunga storia di protesta e di leadership politica, per esempio nell’elaborazione del Charter 08 (il manifesto per la nuova costituzione cinese), è stato attivo fin dall’inizio nel movimento di Tienanmen (era lì anche a guidare gli studenti fuori dalla piazza, evitando che molti più ragazzi venissero uccisi quella notte), ed è andato in prigione per questo, ne è uscito, ha continuato il suo movimento democratico all’interno dell’intera comunità intellettuale in Cina, poi ha proposto il Charter 08 per cercare un modo non violento di riformare internamente la Cina e per offrire alle autorità una possibilità di migliorarsi. Ad ogni modo, tutto questo non è stato accettato dal governo cinese, infatti lo hanno rinchiuso più volte in prigione, tanto che è morto tragicamente (durante il suo periodo di libertà aveva sviluppato un cancro al fegato che a quanto pare era il risultato delle torture e delle negligenze durante la sua prigionia), e anche dopo la sua morte il governo non ha voluto dargli la possibilità di essere sepolto nella terra secondo la tradizione cinese: invece hanno costretto la sua famiglia a spargere le sue ceneri nel mare, quindi non ci sarà alcun cimitero per lui (e quindi non ci sarà alcun luogo commemorativo che possa ricordare alle persone quanto sia stata grande e importante la sua vita, e di conseguenza quanto possa ispirare le persone). Tutto ciò mi rende estremamente triste, ma mi ha anche spinto a fare arte per lui e per la sua vedova Liu Xia. I diritti umani sono qualcosa di cui parlo spesso nella mia arte, e la caratteristica più importante dei diritti umani è che non sono un privilegio che appartiene solo a un gruppo, a una cultura: la cosa più importante dei diritti umani è che sono diritti universali. Quindi deve esserci una connessione tra culture diverse e questa è una delle motivazioni che mi hanno spinto ad adattare opere famose della storia dell’arte occidentale per creare un’opera per Liu Xia durante il periodo in cui lei era ancora agli arresti domiciliari, ma ovviamente non è solo l’arte occidentale quella a cui ho cercato di fare riferimento. Scelgo per esempio anche molte immagini famose della storia dell’arte dell’Asia. L’altro motivo molto importante è che il mio nemico costante è la censura in Cina. E trovo che un modo per battere la censura sia quando si collega un’immagine considerata un tabù dalla politica con immagini che sono molto popolari, benvolute e amate, come i dipinti famosi che provengono dalle culture o dalla storia occidentali, asiatici o orientali. Quindi questo è il motivo per cui voglio combinare questi due elementi insieme: quando le persone vedranno queste opere d’arte, automaticamente le assoceranno a Liu Xiaobo o Liu Xia. Quindi il messaggio verrà consegnato indipendentemente dalla censura cinese, e inoltre potrebbe creare difficoltà per la censura cinese, perché se devono censurare quell’immagine molto amata e famosa per motivi politici, non faranno altro che costringere le persone a fare più domande. Si può tracciare una somiglianza anche per l’opera che accosta Winnie the Pooh a Xi Jinping. Anche se Winnie the Pooh non è un’opera d’arte famosa, è comunque amato e benvoluto come la Gioconda, come Frida Kahlo, come la Ragazza con l’orecchino di perla, perché la gente lo riconosce, perché fa parte della nostra vita quotidiana. Per cui, quando si collegano queste due immagini si rende sicuramente la vita molto difficile al sistema di censura, perché una volta che censureranno un’immagine famosa, le persone chiederanno perché è stata rimossa un’immagine così innocua.

Badiucao, Who Is Liu Xia / Frida, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)
adiucao, Who Is Liu Xia / Frida, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)
Badiucao, Who Is Liu Xia / Mona Lisa, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)
adiucao, Who Is Liu Xia / Mona Lisa, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)
Badiucao, Who Is Liu Xia / Modigliani, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)
adiucao, Who Is Liu Xia / Modigliani, dalla serie Art for Liu Xia (2018; stampa digitale su bandiera, 170 x 130 cm)

Negli ultimi anni, diversi artisti cinesi hanno esposto in Occidente ottenendo successo: cosa può dirci dello scenario artistico del suo paese?

Penso che sia necessario esaminare ogni artista individualmente. Sicuramente quello di Ai Weiwei è un caso a sé stante. In realtà lo ammiro molto: è un modello importante per la mia vita personale e per la mia pratica artistica. Il suo successo sta dimostrando che ci sono ancora persone nel mondo che si preoccupano dei diritti umani, si preoccupano della lotta del popolo cinese e stanno dando supporto ad Ai Weiwei elevandolo ad artista importante che tutto il mondo celebra. Ma ci sono altri artisti che forse sono famosi nel mondo dell’arte o nel mondo occidentale, e il loro lavoro vale milioni di dollari. Ad esempio Cai Guo-Qiang, l’artista che ha progettato i fuochi d’artificio delle Olimpiadi di Pechino del 2008 (e ora farà lo stesso per le Olimpiadi invernali). Credo che in questo momento stia facendo una grande mostra, un tour o un’installazione, che parla di dialogo tra la cultura orientale e quella occidentale. Penso che dietro il suo successo ci sia la Cina stessa, che raccoglie costantemente diversi artisti al fine di promuoversi attraverso le loro opere d’arte, permettendo loro di creare opere dispendiose che peraltro sono anche molto belle, ma in cambio c’è il silenzio di questi artisti, c’è la collaborazione con questo governo corrotto e il silenzio su qualsiasi importante questione sociale. Noi invece viviamo in un mondo parallelo, e sfortunatamente ci sono più Cai Guo-Qiang che Ai Weiwei in questo momento, e la cosa è davvero problematica per me. Per la mia esperienza personale questa mostra in Italia è un’eventualità davvero rara: la maggior parte delle volte che la mia opera viene proposta a una galleria o un museo l’opportunità mi viene negata perché molti sono preoccupati per la minacce e per le pressioni dalla Cina, oppure anche per il rischio di rovinare rapporti, molte gallerie per esempio si preoccupano perché temono che il mio lavoro possa danneggiare gli interessi commerciali in Cina (ovvero l’acquisto di opere cinesi o l’acquisto di opere della galleria da parte di clienti cinesi). Questo è ciò che penso sullo scenario cinese e devo dire che è per me piuttosto deludente vedere la situazione attuale.

La storia di molti artisti e dissidenti cinesi è anche una storia di esilio. Quanto Le pesa non poter tornare nel suo paese e dover trascorrere una vita da esiliato?

Nessuno vorrebbe lasciare la propria casa o il proprio paese d’origine se potesse scegliere, e questo vale soprattutto per gli artisti. La Cina è la terra a cui tengo di più, i suoi abitanti sono le persone a cui tengo di più. E se potessi essere in Cina e vivere tra quelle persone e avere un’esperienza diretta della loro lotta, certamente potrei anche migliorare la mia arte per renderla più autentica. Tuttavia, a causa di questa situazione, se fossi in Cina a realizzare le stesse opere d’arte che sto facendo ora, il periodo di creazione sarebbe molto breve e il periodo di servizio in prigione sarebbe molto lungo. Quindi alla fine tutto ciò non è praticabile o possibile. Ovviamente mi mancano poi tutti i legami con gli amici in Cina e con la cultura cinese. Ma questo è qualcosa che non posso avere se voglio anche esprimere la mia preoccupazione sulle questioni politiche, sulle questioni dei diritti umani in Cina. Quindi a volte devi solo rinunciare a qualcosa e correre tutti i rischi per preservare chi sei come artista per dire la verità.

Un’ultima domanda. Che cos’è per Lei l’arte?

Penso che l’arte sia qualcosa che non si possa definire. È un processo, qualcosa che continua a coinvolgerti, e ogni tentativo di iscrivere l’arte entro una categoria sarà un fallimento. Tuttavia ciò che mantiene l’arte veritiera è quel qualcosa che le permette di continuare ad evolversi e a cercare di infrangere le proprie regole, andando a coinvolgere una società, un territorio, una cultura o un pubblico sempre più vasti. Per me, in sostanza, l’arte è qualcosa che continua a evolversi e a crescere. Quello che poi voglio sottolineare concretamente è che l’arte contemporanea ora come ora sembra essere soddisfatta di rimanere dentro la sua stessa torre d’avorio e di rimanere così ambigua da tagliare quasi tutte le connessioni con il pubblico in generale. Così però l’arte diventa altro, diventa qualcosa per cui il pubblico può per esempio scambiare un mucchio di spazzatura sul pavimento di una galleria con un’opera d’arte contemporanea che aspetta di essere rivelata. Penso che sia tempo per gli artisti di uscire alla comfort zone del white cube e iniziare a fare un’arte che sia in grado di connettersi alla gente comune, un’arte che sia radicata nella nostra realtà e parli di nuovo con le persone, un’arte che non sia fatta solo per gli artisti: abbiamo bisogno di fare in modo che l’opera contenga la capacità di comunicare direttamente con il pubblico, perché di solito, quando entri in una galleria, vedi un’opera d’arte ma non sei in grado di capirla a meno che non ci sia qualcuno che la interpreta per te e ti dice cosa significa veramente. Certo, penso che queste modalità abbiano sicuramente valore perché estendono l’immaginazione delle persone, ma quando questo meccanismo viene spinto troppo oltre, non fa altro che dimostrare l’incapacità degli artisti di comunicare attraverso le opere d’arte, al punto da dover richiedere l’aiuto esterno di persone che le spiegano. Penso dunque che l’arte sia un dialogo. È qualcosa che fa parlare, comunicare e riflettere. Adesso l’arte contemporanea è merce, lucro, decorazione, serve per la reputazione o l’ambizione delle persone. Spero dunque che più artisti vedano questi problemi e riportino l’arte alla sua vera essenza. Si tratta di comunicazione, si tratta di infrangere le proprie regole. Oggi ci troviamo di fronte a tante questioni importanti: non solo l’aggressione del governo cinese al mondo, ma temi come il cambiamento climatico, il declino della democrazia nel mondo occidentale, la guerra costante e l’odio in Medio Oriente, la povertà in Africa... tutte questioni molto importanti. Spero che ci sarà più arte su questi problemi e spero che gli artisti riescano a uscire dalla loro comfort zone per avere un impatto reale, oltre l’opera d’arte stessa.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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