Le mostre e l'attività di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, un modello vincente: parla la direttrice Maria Luisa Pacelli


Palazzo dei Diamanti a Ferrara è famoso per le sue mostre di qualità, ma che riescono anche ad attirare grande pubblico. In questa intervista la direttrice Maria Luisa Pacelli ci svela i segreti del suo successo.

Palazzo dei Diamanti a Ferrara è una delle sedi espositive più attive del paese. Gestito dalla Fondazione Ferrara Arte, creata all’inizio degli anni Novanta ed emanazione dell’amministrazione comunale, il Palazzo attira ogni anno circa 150.000 visitatori, grazie alle sue mostre di qualità, capaci di coniugare rigore scientifico e attrattività per il pubblico. Un vero modello a cui guardare, per la sua capacità di puntare al più alto grado possibile di sostenibilità, per l’elevato livello delle sue proposte, per il suo sistema di governance efficiente, che non tralascia alcun aspetto, dall’organizzazione alla logistica, dalla comunicazione alle attività per il pubblico, dalla formazione all’editoria, dalla didattica al web. Il tutto con uno staff ben bilanciato e composto da personale scientifico (conservatori, storici dell’arte, educatori, bibliotecari), e dal comparto tecnico che si occupa dello sviluppo dei progetti editoriali, dell’amministrazione, della comunicazione e via dicendo. Quali sono le intuizioni che hanno reso Palazzo dei Diamanti un modello? Può essere un’esperienza replicabile ad altre realtà? Quali sono le ricadute che il Palazzo garantisce a Ferrara, e quale il rapporto con turisti e cittadini? Di tutti questi aspetti abbiamo parlato con la direttrice delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, di cui Palazzo dei Diamanti fa parte, Maria Luisa Pacelli. L’intervista è condotta da Federico Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte.

Maria Luisa Pacelli. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte
Maria Luisa Pacelli. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte

FG. Cerchiamo di conoscere più da vicino il modello Palazzo dei Diamanti, visto da più parti come un punto di riferimento, dacché qui si organizzano mostre di qualità e che riescono anche ad attirare molto pubblico. Si tratta evidentemente di un modello vincente, perché così va avanti dagli anni Novanta. Quali sono i segreti di questo successo?
MLP. Quando venne creata la Fondazione Ferrara Arte, fu creata come una s.p.a. totalmente pubblica, e attraverso di essa l’amministrazione comunale di Ferrara si dotava di uno strumento per poter lavorare nell’ambito mostre d’arte a livello internazionale, con uno strumento più snello di quello che poteva essere un’istituzione incardinata completamente nell’ente locale. Negli anni, Ferrara Arte ha lavorato in stretto contatto con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, quindi con un museo civico di Ferrara, e dal mio punto di vista l’aspetto vincente di questa squadra deriva dal fatto che si è unito un museo pubblico, quindi con delle collezioni e con tutte le sensibilità che può avere un’istituzione pubblica nei confronti del patrimonio, con una struttura anch’essa pubblica ma più snella dal punto di vista operativo e con un’ottica in certo modo imprenditoriale. Però questo discorso dell’imprenditorialità va inteso in maniera specifica: non significa che, attraverso l’attività di Ferrara Arte, il Comune e la Provincia, che erano i soci fondatori della s.p.a., intedessero fare dei profitti, bensì volevano semplicemente proporre e far lavorare un modello che rendesse sostenibile per la città un’attività squisitamente culturale, laddove per “sostenibile” s’intende un modello che, attraverso gli introiti delle mostre e del bookshop, sia in grado di avere un’alta percentuale di auto-finanziamento, e al contempo risponda alle esigenze della comunità locale, in modo che l’investimento che l’ente pubblico compie su questa istituzione sia comprensibile e gradito in vari ambiti. Per esempio, nell’ambito turistico: si tratta quindi di raggiungere un numero di visitatori che possa dare un contributo allo sviluppo turistico della città, ma anche all’immagine di Ferrara come città d’arte e di cultura, e consolidando dunque un immaginario attorno alla città. Ma non solo: si tratta anche, per esempio, di rispondere alle esigenze del mondo della scuola (con un’attività molto vasta e molto ben progettata), o di studiare e valorizzare il patrimonio locale attraverso le mostre. In particolare, l’incremento di attenzione su questi due ultimi aspetti, ovvero sul fatto che l’attività di Palazzo dei Diamanti e di Ferrara Arte fosse rivolta non solo a potenziali turisti o visitatori che vengono da fuori, ma anche alle comunità locali nelle varie direzioni di cui si diceva poco fa, è stato un mio impegno particolare da quando sono diventata responsabile sia dei musei che del Palazzo dei Diamanti.

Una delle caratteristiche più interessanti del modello Palazzo dei Diamanti è quello di rendere, appunto, sostenibili mostre più specialistiche (l’ultimo esempio che mi viene in mente è la monografica su Carlo Bononi), attraverso rassegne più “popolari” (ma comunque di qualità), come quella sulla Barcellona di Gaudí, per citare una delle ultime in ordine di tempo. Secondo Lei questo modello può essere esportabile ad altre realtà, dato che è quasi un unicum?
Fin dall’inizio il modello è stato cucito su una realtà ferrarese, ma questo non significa che non possano essere riprodotti altrove gli obiettivi e anche alcune delle metodologie operative di Ferrara Arte. C’è da dire che quello di Ferrara Arte è un modello eccezionale nel nostro paese, perché all’estero la maggior parte degli istituti che fanno mostre opera come noi: non c’è niente di strano o di geniale in quello che facciamo, a mio parere è l’attività che un museo dovrebbe svolgere. Cioè occuparsi delle proprie collezioni, avere a fianco dell’attività sul patrimonio un’attività come quella delle mostre, che sono mostre di qualità perché pensate, studiate e coordinate da uno staff di un museo e non da un’agenzia che lo fa per fare profitto, e che poi cercano anche di rispondere alle esigenze della comunità nel senso che dicevo prima. Tengo comunque molto a sottolineare che le mostre di Palazzo dei Diamanti sono le mostre di un museo o di un sistema museale: quando noi organizziamo per esempio la mostra su Boldini, organizziamo una mostra su di un artista delle nostre collezioni, cercando di non fare peraltro la solita mostra su Boldini, per varie ragioni (intanto perché ci interessa veramente studiare questo artista e far emergere aspetti che non sono stati messi in evidenza finora, e poi anche perché consolidare la reputazione, l’immagine e la conoscenza di Boldini fa sì che ne traggano giovamento i musei). Quando il Museo Boldini sarà finalmente riaperto, il fatto di aver studiato e promosso l’artista attraverso alcune mostre farà sì che il museo avrà un riscontro, una conoscenza, un interesse già in qualche modo solidi. Si tratta della stessa operazione che abbiamo svolto su altri artisti come Michelangelo Antonioni o come Carlo Bononi: quest’ultimo non fa parte delle nostre collezioni, ma è comunque un artista ferrarese importante e che andava studiato. E in concomitanza con quella mostra abbiamo svolto anche un lavoro sulla Ferrara del Seicento, indirizzato non solo allo studio di un’epoca che per ragioni tutte ferraresi è stato un po’ dimenticato (nel senso che sembra che dopo la Devoluzione a Ferrara non sia successo nulla, quando invece anche qui c’è un Seicento molto interessante), ma che ci ha anche permesso di attivare degli itinerarî che non erano mai stati pensati: è stata fatta anche attività di formazione con le guide turistiche locali, alle quali venivano forniti elementi per capire che cosa significhi la Ferrara del Seicento, e questo lavoro poteva pertanto risultare utile anche a quel comparto, oltre che alle scuole e agli studiosi.

Diverse sono dunque le ricadute positive dell’attività di Palazzo dei Diamanti. Cominciamo da quelle sul turismo: Ferrara è diventata una meta frequentata dai turisti anche grazie a Palazzo dei Diamanti. Sarebbe interessante conoscere qual è il peso che l’attrattività turistica ha nell’ambito delle politiche decisionali sull’attività dell’istituto.
L’amministrazione comunale di Ferrara a un certo punto ha trasformato la s.p.a. in una fondazione e ha poi legato il finanziamento delle mostre di Ferrara Arte alla tassa di soggiorno: è evidente che, volendo o meno, il rapporto con il comparto del turismo è fortissimo perché parte del finanziamento viene da quell’ambito. Non ci sono studî recenti che possano dare un quadro esatto dell’impatto e dell’indotto in termini numerici, però c’è da dire che negli ultimi dieci anni Ferrara Arte, con le sue cinquanta mostre, ha registrato 1.365.843 visitatori. Questo dal 2008 al 2018. Quindi è evidente che un impatto c’è stato, e per avere un quadro più chiaro, nelle nostre interviste al pubblico chiediamo anche quanti pernottamenti fanno e informazioni simili. Quello che a me preme sottolineare, sul tema di come l’attività di Palazzo dei Diamanti possa influire sul turismo, è che gli effetti e le ricadute sussistono non solo per chi arriva qui in giornata o chi si ferma a dormire, ma anche per il consolidamento di un immaginario relativo a Ferrara. Ferrara è una città architettonicamente e urbanisticamente unica, splendida, che ha emergenze come il Castello Estense, come Palazzo Schifanoia, come la Cattedrale, come corso Ercole I, ma non è una città come Venezia, come Firenze o come Pisa, che contano su attrattori capaci di generare un flusso turistico automatico (si pensi alla Torre di Pisa): è una città che negli anni ha consolidato una reputazione grazie alle sue bellezze, ma anche grazie alle mostre e alle attività che si fanno attorno alle mostre. Ovvero, nel momento in cui una persona arriva qui e vede una mostra interessante, associa a questo prodotto e alla sua qualità il nome della città. Inoltre, quando facciamo pubblicità alla mostra o quando esce un articolo su un giornale o un servizio in televisione che parlano delle mostre, in qualche modo si parla sempre anche di Ferrara. Questo secondo me è molto importante nell’ambito del discorso sul turismo.

Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte
Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte

Abbiamo parlato di interviste che vengono fatte ai visitatori. Questo è un aspetto che spesso si rimprovera ai musei statali, nel senso che non conducono studî approfonditi per conoscere e profilare il pubblico. La situazione ovviamente è molto diversa nei musei comunali, dove ognuno segue politiche proprie, nel bene e nel male. Il vostro è indubbiamente un caso positivo anche in questo senso: voi come studiate il pubblico e che tipo di indagini svolgete sul pubblico?
Noi conduciamo interviste su di un campione che si aggira attorno al 4% dei visitatori delle singole mostre. Premetto che non sono indagini specialistiche (avrebbero un costo per noi insostenibile), ma ci avvaliamo comunque di un’esperienza di più di vent’anni su questo tipo di ricerche. Quello che noi facciamo è non solo leggere il risultato delle interviste sulla mostra, ma confrontarlo con quelle degli anni precedenti. Dalle interviste ricaviamo diversi dati. Per esempio, la provenienza del pubblico (regioni e città, con le varie percentuali), chiediamo se i visitatori sono venuti a Ferrara appositamente per visitare la mostra, chiediamo come il pubblico è venuto a conoscenza della mostra (e questo ci serve per impostare le nostre campagne pubblicitarie e comprendere l’orientamento del pubblico in questo senso), il giudizio sulla mostra, se il visitatore è alla prima visita o se fa parte di un pubblico fidelizzato, se ha visitato gli altri musei ferraresi (in caso negativo, se hanno intenzione di visitarli), se dormono in città e se sì in quali strutture (alberghi, B&B, da amici, e così via), se hanno intenzione di essere informati in futuro sulle attività, e molto altro. Su questi dati abbiamo anche uno storico importante, perché sono indagini che, come detto, facciamo da due decenni.

Abbiamo dunque parlato delle ricadute sul pubblico che giunge da fuori, quindi ora è interessante approfondire le ricadute sui cittadini. Lei di recente ha anche ribadito che Palazzo dei Diamanti è un patrimonio dei ferraresi: ma che rapporto hanno gli abitanti con Palazzo dei Diamanti, come lo vivono? Lo sentono parte del loro DNA oppure, come talvolta accade in certe realtà, si avvere una sorta di distacco? Quali sono le ricadute che Palazzo dei Diamanti garantisce a livello sociale alla città?
Ovviamente mi è difficile parlare per tutti i ferraresi, ma posso dire qual è la mia impressione. Sicuramente negli anni si è creato un patto molto forte con il mondo della scuola e degli insegnanti: i progetti didattici sono molto partecipati e tra l’altro vengono costruiti in un dialogo aperto con tutti gli operatori (con le scuole, con chi svolge visite particolari, con le guide turistiche, alle quali è stata fatta una formazione specifica per parlare con i ragazzi delle scuole). Tutto questo crea legami professionali e di fidelizzazione che riguardano una ben definita porzione della città, e anche di crescita dei giovani cittadini, nei riguardi di un settore come il nostro. Devo dire che anche le attività collaterali come le conferenze sono sempre molto seguite: quando abbiamo fatto attività speciali come la lettura integrale dell’Orlando Furioso c’è stata una partecipazione straordinaria. E le stesse inaugurazioni sono molto frequentate. D’altra parte, vedendo anche i risultati delle indagini statistiche che fa il Comune sui risultati dell’azione dei vari settori dell’amministrazione locale, la cultura ha sempre percentuali di gradimento molto alte, quindi penso che ci sia un legame importante con la città. È chiaro che ci sono delle criticità, e la principale è data dal fatto che nel 2012 c’è stato un terremoto che con molte difficoltà Palazzo dei Diamanti è riuscito superare, andando avanti con la sua attività espositiva, ma molti musei sono ancora chiusi per restauri e lo saranno ancora per qualche anno, e questo a causa soprattutto di lungaggini burocratiche: in questo caso la cittadinanza spesso non è consapevole che tali ritardi hanno avuto delle ragioni... e questo è un punto debole nell’ambito dei rapporti con gli abitanti.

Immagine della mostra Boldini e la moda. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte
Immagine della mostra Boldini e la moda (2019). Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte


Immagine della mostra Courbet e la natura. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte
Immagine della mostra Courbet e la natura (2018-2019). Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte


Immagine della mostra Carlo Bononi. L'ultimo sognatore dell'officina ferrarese. Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte
Immagine della mostra Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’officina ferrarese (2017-2018). Ph. Credit Fondazione Ferrara Arte

Tra l’altro, sempre pensando alla città, c’è da dire che Palazzo dei Diamanti è al centro di un vasto sistema dei musei dove però le governance sono molto diverse: il caso più lampante è quello della Pinacoteca Nazionale di Ferrara, che occupa un’ala di Palazzo dei Diamanti ma è gestita dallo Stato. I varî soggetti che animano la cultura a Ferrara fanno abbastanza per creare sinergie?
Certamente si può fare di più. Diciamo che la nostra posizione è di estrema apertura da questo punto di vista: spesso noi, come Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea e come Palazzo dei Diamanti abbiamo chiesto dei tavoli comuni su progetti specifici (per esempio per la mostra sull’Orlando Furioso è stato fatto un tavolo non solo con i musei cittadini, per capire come ciascun museo si potesse associare alle iniziative legate all’Orlando Furioso, ma anche per esempio con l’istituzione Teatro Comunale di Ferrara, che ha programmato degli spettacoli di assoluto rilievo, o con Ferrara Musica, che ha programmato dei concerti): quindi sicuramente c’è una grande disposizione e propensione verso volontà che possano creare un sistema integrato. Certamente ci sono anche delle difficoltà dovute al fatto che competenze diverse, quella comunale e quella statale, a volte sono divise da barriere amministrative e burocratiche veramente complesse da superare. Però noi lavoriamo per superarle. Ora ad esempio abbiamo istituito un biglietto integrato con la Pinacoteca, la Pinacoteca spesso ospita nostre conferenze, abbiamo lavorato su alcuni progetti comuni, ma di più si deve e si dovrà fare. La visione di Ferrara Arte nel prossimo futuro è quella di lavorare su tutto il sistema museale, non solo sulla Galleria d’Arte Moderna.

Per dar vita ad appuntamenti importanti come quelli di Palazzo dei Diamanti è sempre necessario un dialogo internazionale che coinvolga istituzioni sparse in tutto il mondo. Come avete lavorato, negli anni, per ritagliarvi questo ruolo di interlocutore internazionale e per tessere la vostra rete di relazioni?
Una cosa che ha capito molto bene il mio predecessore, Andrea Buzzoni, che ha avuto l’idea, assieme all’amministrazione di allora, di fondare Ferrara Arte, è stata di dare all’istituto una struttura simile a quella dei musei anglosassoni. Questo, a livello operativo, ha attivato un dialogo e un’intesa, perché ci sono state da subito professonalità analoghe che in Italia non esistevano o esistevano in modalità molto limitate, che hanno permesso anche di vincere un vero e proprio pregiudizio nei confronti del comparto museale italiano, e questo ha consentito anche di poter istituire delle collaborazioni internazionali per la realizzazione di alcuni progetti, facendo sì che la nostra struttura fosse conosciuta non solo per quello che faceva e per come trattava certi aspetti del lavoro (per esempio i prestiti... e sappiamo che un prestito internazionale a volte può essere un argomento molto delicato), ma anche per i rapporti personali che è stata in grado di instaurare tra i professionisti. Poi è capitato che Ferrara Arte, che è anche editore (noi facciamo internamente i cataloghi e tengo a sottolineare che il nostro modo di lavorare garantisce controlli molto dettagliati su quello che facciamo), sia stata coinvolta anche in partnership editoriali internazionali (per esempio ci siamo occupati di un catalogo della Tate Britain quando abbiamo organizzato una mostra assieme a loro). Pertanto, una struttura che inizialmente è stata modellata sull’esempio dei musei anglosassoni, con figure che erano in grado di dialogare con l’estero, e una professionalità riconosciuta non solo a livello scientifico ma anche a livello tecnico, ha fatto sì che si stringessero alleanze e amicizie professionali, e che partissero progetti realizzati assieme a musei internazionali. E questo ci ha permesso di posizionarci su di un campionato che non sarebbe forse il nostro: Buzzoni diceva sempre che eravamo una Cinquecento che correva in Formula Uno.

Ci sono aspetti su cui Palazzo dei Diamanti potrebbe lavorare, sui quali adesso sentite di non essere al top ma su cui ritenete di dover investire in futuro?
Sicuramente sul miglioramento dei servizi, sul fatto di creare una struttura non solo interessante per i contenuti ma anche accogliente, come avviene nei grandi musei internazionali: credo che questa scelta di avere dei modelli molto ambiziosi sia stata molto appagante, e secondo me è appagante anche nell’ambito dell’accoglienza, della fruizione, dell’esperienza della visita che un visitatore di una mostra di Palazzo dei Diamanti può avere. E l’esperienza si può estendere anche oltre: pensiamo, per esempio, alla creazione di itinerari nella città. Si tratta sicuramente di aspetti su cui possiamo crescere.

Per concludere, quali sono le sfide che, nell’immediato, Palazzo dei Diamanti si troverà ad affrontare di qui a un anno?
Affrontare uno scenario diverso da quello che noi immaginavamo, con un inizio dei lavori di riqualificazione di Palazzo dei Diamanti in settembre: questo non accadrà, ma alcuni lavori partiranno, benché il prossimo anno e in forma ridotta. La sfida è dunque ripensare a una programmazione che possa in parte convivere con un cantiere, in tempi molto brevi. Una grande sfida perché caratteristica dei nostri progetti, specialmente di quelli di maggior successo, è che noi li prepariamo con tre o quattro anni di anticipo. La sfida è quindi mantenere la qualità nella situazione data.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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