Nel mondo di Fausto Gilberti: gli omini che raccontano grandi artisti e rockstar


Fausto Gilberti è uno dei più apprezzati disegnatori italiani, celebre per i suoi omini stilizzati con cui ha raccontato i grandi artisti, specialmente quelli che fanno spesso storcere il naso (come Manzoni, Fontana o altri), le rockstar, le leggende della Lunigiana e molto altro. L’artista si racconta in questa conversazione con Gabriele Landi.

Fausto Gilberti (Brescia, 1970) è pittore e disegnatore, uno dei più apprezzati della scena italiana contemporanea, oltre che autore di libri per bambini, che scrive e illustra. Gilberti studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera e ha cominciato la sua carriera negli anni Novanta. Nel tempo è diventato celebre per i suoi personaggi stilizzati, creature stralunate con occhi grandi, realizzate con pochi tratti neri, che si stagliano su fogli bianchi, con ambientazioni ridotte all’osso. Nel corso della sua carriera ha vinto il Premio Acacia ti fa volare 2004 e il Premio Cairo 2007, ha esposto in diverse mostre personali e collettive in Italia e all’estero e ha pubblicato diversi libri illustrati: famosa la serie di libri in cui ha raccontato artisti... che fanno spesso storcere il naso, come Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Marina Abramovic. Vive e lavora a Brescia. In questa conversazione con Gabriele Landi, Fausto Gilberti ci parla della sua arte, dalle origini fino ai suoi progetti futuri.  

Fausto Gilberti
Fausto Gilberti

GL. Iniziamo da quello che tu consideri il tuo punto di partenza, ti va?

FG. Era il 1988 e frequentavo l’Istituto d’Arte a Guidizzolo in provincia di Mantova. Durante le lezioni presi l’abitudine di disegnare per i fatti miei. Disegnavo omini in file riempiendo completamente dei piccoli fogli. Lo facevo spesso durante le ore di geometria descrittiva, perché quella materia mi annoiava a morte. È successo che un giorno il professore si è accorto che non ascoltavo la sua lezione. Così si è avvicinato minaccioso al mio banco. Temevo chissà quale reazione. Invece ha guardato cosa stavo facendo e sorprendendo l’intera classe mi ha detto: “Gilberti, va’ avanti!”. Appena lo finii me lo chiese in prestito e mi domandò se poteva fare delle fotocopie che ha distribuito agli altri professori, rendendo “famoso quel disegno fatto da 562 omini tutti diversi uno dall’altro, alti 2,5 cm e disposti su dieci file. Si intitolava La suora.

Prima presentazione pubblica?

In un certo senso sì. Non vi è dubbio che la reazione di quel professore mi spiazzò e nello stesso tempo fece cresce la mia autostima. Mi incoraggiò a proseguire su quella strada; capii che forse avrei potuto fare quello nella vita: disegnare. Infatti non mi sono più fermato.

Noi ci siamo conosciuti durante l’Accademia a Milano, e lì questo tuo modus operandi aveva già avuto un suo sviluppo. Sviluppo nel senso che gli uomini erano già abbastanza simili a quelli che fai adesso.

A me ha sempre interessato disegnare la figura umana. Nei primi anni Ottanta disegnavo personaggi: figurine umane una diversa dall’altra. Poi quando ho cominciato a studiare e a conoscere la storia dell’arte, soprattutto quella contemporanea, ma anche quella antica, ho cominciato a evolvere il mio stile e a fondere diversi stili grafici. Ho iniziato in quegli anni a fare un lavoro di riduzione ai minimi termini del mio segno. I miei personaggi tutti diversi l’uno dall’altro diventarono un omino unico universale, sempre uguale a se stesso. Un po’ come le figure archetipo di Keith Haring o quelli di Giacometti o quelle dei graffiti preistorici. 

Quindi, hai praticamente fatto un’operazione di sintesi?

Un processo di riduzione del segno e di sintesi. Anche la pittura medievale che tanto mi piace mi ha indicato la strada della sintesi. Soprattutto per quanto riguarda l’aspetto compositivo. Infatti tendevo (tendo) a disegnare le mie figure in pose statiche; le azioni più che farle vengono evocate come avviene nelle pale medievali, dove le figure sono rappresentate immobili frontalmente in chiave simbolica.

In questo modo si va a creare anche una sorta di mistero?

Esatto. Un sorta di attesa. Qualcosa di indefinito che sta per succedere o che magari è già successo.

A volte poi questo mistero è inquietante, soprattutto mi ricordo che agli inizi era un tuo pensiero ricorrente quello di fare qualcosa che destasse un po’ di turbamento anche in chi guardava, no?

A un certo punto decisi di abbandonare il colore e di usare solamente il nero e iniziai a stagliare le mie figure su un fondo bianco o nero, a seconda delle necessità. Mi attraevano determinati artisti che lavoravano su temi oscuri e cupi. Non solo pittori e disegnatori. Ti ricordi quando siamo andati insieme a Barcellona e ho trovato quel libro di David Lynch in cui erano pubblicati i suoi dipinti? Beh, fu una specie di folgorazione.

Sì, me lo ricordo bene: al bookshop della Fondazione La Caixa.

David Lynch mi interessava già come regista e adoravo il suo immaginario filmico. Ho fatto anche una mostra personale da Perugi a Padova di oli su tela ispirandomi alle immagini e alle atmosfere della sua serie televisiva Twin Peaks. I miei omini erano calati in ambientazioni in cui si respirava un’atmosfera inquietante e misteriosa.

Fausto Gilberti, La suora (1988; Rapidograph su carta, 25x40 cm)
Fausto Gilberti, La suora (1988; Rapidograph su carta, 25x40 cm)
Fausto Gilberti, La tempesta (1999; olio su tela, 90x90 cm)
Fausto Gilberti, La tempesta (1999; olio su tela, 90x90 cm)
Fausto Gilberti, Las Meninas (1999; olio su tela, 90x90 cm)
Fausto Gilberti, Las Meninas (1999; olio su tela, 90x90 cm)
Fausto Gilberti, Il compianto su Laura Palmer (1999; olio su tela, 80x110 cm)
Fausto Gilberti, Il compianto su Laura Palmer (1999; olio su tela, 80x110 cm)
Fausto Gilberti, Bambola gonfia (2000; olio su tela, 100x120 cm)
Fausto Gilberti, Bambola gonfia (2000; olio su tela, 100x120 cm)
Fausto Gilberti, Party (2000; olio su tela 90x90 cm)
Fausto Gilberti, Party (2000; olio su tela 90x90 cm)
Fausto Gilberti, Triumph (2001; olio su tela 150x180 cm)
Fausto Gilberti, Triumph (2001; olio su tela 150x180 cm)
Fausto Gilberti, Come to daddy (2002; olio su tela, 120x180 cm)
Fausto Gilberti, Come to daddy (2002; olio su tela, 120x180 cm)
Fausto Gilberti, Born again (2004; acrilico su tavola, 300 cm)
Fausto Gilberti, Born again (2004; acrilico su tavola, 300 cm)
Fausto Gilberti, Blue velvet (2006; china su carta, 21x15 cm)
Fausto Gilberti, Blue velvet (2006; china su carta, 21x15 cm)

Prima citavi appunto la storia dell’arte e mi ricordo che durante gli anni dell’Accademia spesso e volentieri i tuoi soggetti venivano proprio da lì, nel senso che a volte erano gli stessi artisti e la loro immagine a diventare il soggetto del tuo lavoro. Ricordo a proposito una serie di disegni che hai fatto intitolati Il mio pubblico.

Quella serie di disegni era un mio omaggio verso l’opera di un determinato artista. Diventarono un libro d’artista che ora fa parte della collezione Consolandi. In quegli anni, tra la metà degli anni Novanta e la fine di quel decennio, mi interessava citare le opere del passato. Feci molti quadri rivisitando opere famose del passato. In quel periodo avevo scoperto questa corrente di giovani pittori americani chiamata Bad Painting. Mi piacevano il loro stile, il loro modo di dipingere molto grezzo e sporco, quasi infantile, anche se i temi che affrontavano non lo erano affatto. Mi sono lasciato ispirare e ho iniziato a dipingere perdendo letteralmente il controllo, in modo sgraziato e “cattivo”. Lasciavo che il colore colasse senza preoccuparmene troppo. E con questa tecnica che possiamo definire quasi espressionista ho rivisitato opere di Rembrandt, di Piero della Francesca, di Giorgione, e più volte ho dipinto in chiave “Bad” uno dei miei quadri preferiti di ogni tempo: I Coniugi Arnolfini di Van Eyck.

Ah, questi non li ho mai visti!

Ne feci una mostra a Mantova nel 1998 da Maurizio Corraini. La mostra si intitolava infatti: Sono anche un espressionista.

Ho capito... quindi citavi ma senza mai diventare citazionista.

Assolutamente lontanissimo dal citazionismo, così come lo conosciamo.

Mi ricordo che a Torino, in una mostra sul disegno, avevi fatto tutto un lavoro anche su Robert Ryman. Puoi raccontarlo?

Presi un catalogo di Robert Ryman a cui staccai tutte le pagine che riproducevano le sue opere. Poi presi una penna Rapido e riempii le immagini delle sue tele bianche di omini minuscoli disegnati in modo molto preciso e meticoloso, come se si trattasse di una scrittura. Era anche quello un lavoro che andava ad omaggiare e nello stesso tempo a oltraggiare un artista, ma in questo caso, rispetto alla serie dei disegni intitolati Il mio pubblico, l’approccio fu più concettuale.

Sì, in effetti era proprio così. Questo libro smontato a parete, ogni pagina incorniciata, e poi queste faccine, che quando le vedevi così sembravano parte del lavoro di Ryman.

Le avevo disegnate in un modo talmente minuzioso e preciso che il risultato era come se quelle riproduzioni di opere di Ryman contenessero davvero quei segni estranei. Da vicino non si vedeva il mio intervento manuale. Chi le guardava in principio non capiva che sotto quella griglia di faccine c’era la riproduzione di un quadro di Ryman.

Dopo questi primi episodi torinesi sul tema del “pubblico”, a cui fa seguito la mostra Siamo fritti, il tuo lavoro prende una piega più narrativa. Rimani sempre molto evocativo, cercando di essere essenziale e misterioso allo stesso tempo però.

Il mio lavoro attuale si è generato approssimativamente con la mostra dal titolo Laura Palmer paintings ispirata come dicevo prima a Twin Peaks di David Lynch, che realizzai a Padova alla galleria Perugi nel 1999. Con quella mostra il mio interesse per la narrazione si fece più esplicito. Da quel momento ho cominciato a disegnare e dipingere storie fatte da un solo fotogramma: lo spazio del foglio o della tela.

Mi ricordo le mostre e i lavori che hai presentato da Perugi nel primo decennio del ventunesimo secolo, dove ogni mostra era sempre incentrata su un tema.

In quegli anni, per tutte le mie personali, ho lavorato sempre su un tema, realizzando dipinti, disegni, installazioni di oggetti modificati, wall paintings e perfino una video-animazioni che dialogavano tra loro.

In quel momento ti sei interessato anche alla pornografia su internet, nel senso che hai iniziato a disegnare immagini prese dal quel mondo.

Feci una serie di dipinti che ironizzavano sul sesso e poi pubblicai un libro dal titolo Mister Dildo che uscì nel 2004 per una piccola casa editrice. Raccoglieva una carrellata di disegni che raccontavano in chiave ironica e sarcastica la pornografia su internet. La cosa, in quegli anni, non aveva ancora debordato come oggi. I siti non erano molti ed erano un po’ nascosti. L’ispirazione per questo libro nacque dai banner che mi apparivano a volte mentre navigavo su siti che non centravano nulla con il mondo hard. Questi annunci erano sempre scritti in inglese, ma spesso in un inglese pieno di errori di ortografia e i testi che pubblicizzavano questi siti erano alquanto bizzarri. Iniziai a fare copia incolla dei testi più assurdi che incontravo: li stampavo su fogli da disegno e successivamente sugli stessi facevo un disegno che dialogava in chiave ironica con questi messaggi hard. Li intitolai Disegni porni. L’introduzione di quel libro, che consisteva in tre poesie “porno” inedite, me la regalò Tiziano Scarpa.

Hai fatto poi anche alcuni quadri dopo questo libro, alcune tele. Mi ricordo il pedofilo perverso, la bambola gonfia…

Sulla scia di quei Disegni porni dipinsi anche delle grandi tele cattive e ironiche. Ecco che la “bad panting” ritornava, sia a livello tecnico che di contenuto questa volta.

Fausto Gilberti, Morte con iPod (2006; grafite su carta, 33x48 cm)
Fausto Gilberti, Morte con iPod (2006; grafite su carta, 33x48 cm)
Fausto Gilberti, Good friends are hard to find (2007; grafite su carta, 33x48 cm)
Fausto Gilberti, Good friends are hard to find (2007; grafite su carta, 33x48 cm)
Fausto Gilberti, Come as you are (2008; olio e acrilico su tavola, 90 cm)
Fausto Gilberti, Come as you are (2008; olio e acrilico su tavola, 90 cm)
Fausto Gilberti, In ictu oculi (2010; olio e acrlico su tavola, 120x160 cm)
Fausto Gilberti, In ictu oculi (2010; olio e acrlico su tavola, 120x160 cm)
Fausto Gilberti, The Velvet Underground (2012; pennarelli su carta, 21x29,7 cm)
Fausto Gilberti, The Velvet Underground (2012; pennarelli su carta, 21x29,7 cm)
Fausto Gilberti, All art is decor-action (2022; 107x175 cm)
Fausto Gilberti, All art is decor-action (2022; 107x175 cm)
Fausto Gilberti, I am a camera (2023; china su carta, 152x202 cm)
Fausto Gilberti, I am a camera (2023; china su carta, 152x202 cm)
Fausto Gilberti, Il cacciatore di cacciatori (2024; china su carta, 25x18 cm)
Fausto Gilberti, Il cacciatore di cacciatori (2024; china su carta, 25x18 cm)
Fausto Gilberti, Ieri sera ero a terra (2025; inchiostro cinese su carta, 65x50 cm)
Fausto Gilberti, Ieri sera ero a terra (2025; inchiostro cinese su carta, 65x50 cm)
Fausto Gilberti, La macchia (2025; china su carta, 25x18 cm)
Fausto Gilberti, La macchia (2025; china su carta, 25x18 cm)

Poi, a un certo punto il gusto cambia, nel senso che arrivano altri interessi, no? C’è per esempio quello per la musica...

Beh, nelle mie opere ho messo sempre le mie passioni, i miei interessi, le mie esperienze. In pratica la mia vita. Credo che tutti gli artisti, in fondo, lo facciano. Raccontano se stessi. L’interesse per la per la musica ce l’ho da sempre. Ed è finta sulla carta in un momento particolare. Ovvero quando sono nati i miei figli. Sono diventato papà di due bambini piccoli, Emma e Martino, nell’arco di 15 mesi. Il mio tempo e lo spazio per il lavoro si sono drasticamente ridimensionati. Lavoravo per lo più in casa, e non andavo quasi mai in studio. Ho cominciato a fare piccoli disegni sul tavolo della cucina. È nata così la serie sulle rockstar. Ho fatto circa 700 disegni con i quali ho partecipato ad alcune mostre a tema musicale e successivamente, una selezione di quei disegni li ho trasformati in un libro che ho pubblicato con Corraini. In Rockstars ho raccontato attraverso i miei disegni la storia del rock scrivendo alcune pagine i cui ho descritto il mio rapporto con la musica negli anni, i miei incontri, i miei ascolti e le mie avventure musicali. Questo libro ha segnato un passo cruciale nella mia attività artistica: ho iniziato a lavorare non solo per il mondo dell’arte ma anche, e soprattutto, per quello dell’editoria per ragazzi... 

Uno dei primi libri per bambini che hai fatto dopo Rockstars è stato Bianca, che in qualche modo ha a che fare molto con i tuoi figli piccoli: è un libro nato forse per loro?

Bianca, insieme all’Orco che mangiava i bambini, sono entrambi libri che ho scritto e disegnato per Emma e Martino. La storia l’ho pensata per loro, ma non solo: mi è stata suggerita anche da quello che mi stava succedendo intorno.

Questa storia dell’orco come anche Bianca ha anche un intento pedagogico? E come ti sei approcciato all’illustrazione?

In realtà li ho scritti cercando di divertirmi e di far divertire i miei figli e chi poi li avrebbe comprati e letti. La cosa interessante successa nel realizzare questi libri è che sono saltato a piè pari nella nuova dimensione per me della scrittura e dell’illustrazione, di punto in bianco. Scrivendo le storie e poi illustrandole con miei disegni. Per l’occasione non sono andato però a modificare il mio segno. Non ho scelto di rendere più gradevoli i miei disegni, non so, aggiungendo ad esempio del colore o cerando di di vestirli di dettagli e particolari. Insomma, non ho cambiato stile nel momento in cui mi sono messo a illustrare i miei libri, anche se sapevo che avrei incontrato un pubblico differente rispetto a quello dell’arte, più normale e con una differente visione.

È stato un po’ un rischio?

In qualche modo sì, ma a conti fatti, alla fine, diciamo che il pubblico ha capito e questi libri e poi tutti gli altri a seguire hanno avuto un buon successo: sono anche stati tradotti all’estero in molte lingue.

E poi hanno dato una diversa lettura al tuo immaginario?

Vero, perché i “vecchi omini” hanno perso un po’ quell’aura misteriosa ed evocativa che avevano. Dentro il libro appaiono meno inquietanti nel loro look in bianco e nero. È come se accanto al testo prendessero vita e si sublimassero.

Non fanno più paura. Fanno perfino ridere a volte.

Sì, è vero, beh, forse poi l’idea di raccontare una storia di per sé magari sottrae un po’ quella frontalità, quella specie di immediatezza priva di filtri tipica dell’opera d’arte, che rende le immagini dei dipinti sempre sfuggente, no? Anche la dimensione dell’immagine conta. Il fatto di vederli piccoli o grandi o enormi li fa percepire in differenti modi. In alcuni casi ho cercato di dare anche una leggerissima caratterizzazione aggiungendo ad esempio certe capigliature alle figure. In questo modo faccio si che i miei omini, senza perdere le loro caratteristiche essenziali e la loro sintesi, possano di volta in volta interpretare ruoli diversi a seconda della storia.

Nel caso dei libri sugli artisti ti sei dato delle regole?

Più che regole, mi sono dato dei vincoli: non utilizzare mai riproduzioni fotografiche delle opere che racconto, ma disegnarle io stesso, con il mio stile. Fin dal primo su Piero Manzoni ho pensato che non volevo fare libri d’arte didattici con idee per laboratori e spunti per attività come ce ne sono molti in giro. Mi interessava invece raccontare una bella storia di vita e di arte, curiosa, e se possibile, anche divertente. Perfino a costo di tralasciare aspetti biografici importanti, ma che consideravo noiosi o troppo tecnici e non utili alla leggerezza con la quale volevo raccontare quella storia. Vedendo quello che il mondo dell’editoria proponeva ho anche capito che poteva essere una strada nuova. Infine ho scelto di raccontare artisti che non aveva mai raccontato nessuno ai bambini. I più rivoluzionari. I più concettuali. Quelli che fanno storcere il naso agli adulti. Quelli che vengono spesso guardati con pregiudizio. Come Piero Manzoni, Yves Klein, Lucio Fontana, Marina Abramovic, Marcel Duchamp... .

Con alcuni degli artisti su cui hai lavorato c’è stato anche qualche problema di autorizzazioni: più che con loro, visto che non sono più in questo mondo, con i loro eredi.

Questa collana dii libri dedicati conta fino ad oggi nove titoli. In realtà però, ne ho raccontati undici di artisti. Due di questi libri, purtroppo, anche se pronti per la pubblicazione, non sono ancora riuscito a concretizzarli per problemi di autorizzazioni e di diritti: Basquiat e Haring.

Poi, questi personaggi reali che hai raccontato nei libri assieme ad altri, sono anche diventati protagonisti di alcuni dipinti molto grandi?

Ho fatto negli ultimi anni, accanto ai libri, un’ampia serie di grandi disegni dedicati al tema dell’arte contemporanea. Ho cominciato a riempire grandi fogli con scene prese dal mondo all’arte contemporanea. Questa serie di grandi carte l’ho intitolata Artstars.

Insomma si tratta un po’ di un resoconto di tutte quelle cose che in qualche modo in quell’ambito ti interessano, una riflessione continua.

Sono disegni in cui butto dentro tutta l’arte che mi piace, che conosco, che ho visto dal vivo, che mi ricordo, che vedo sui libri e su cataloghi d’arte che ho in studio. Anche qui si tratta di esperienze, di passioni, di immagini che fanno parte del mio bagaglio culturale, che si trasformano in composizione grafica. Lavoro disegnando una scena dietro l’altra finché il foglio è letteralmente pieno. Una sorta di horror vacui. A volte mentre lavoro mi viene in mente Pollock, che buttava una goccia o lasciava colare il colore e poi procedeva senza lasciare che il caso prendesse il sopravvento. Controllava il suo gesto fino alla fine, anche se a prima vista i suoi quadri potrebbero sembrare compositivamente del tutto casuali. Anch’io quando lavoro su questi grandi disegni butto la prima “goccia” facendo il primo disegno in un una parte del foglio, poi procedo spostandomi nello spazio aggiungendo altre immagini fino a creare un pieno competitivo senza respiro, in cui tutto, però, è in armonia, in equilibrio tra pieni e vuoti, bianchi e neri.

Beh, in questo c’è qualcosa di, passami il termine, giapponese... nel senso di tendere all’equilibrio. Questi nuovi lavori, che hai appena esposto a Modena, invece, come li fai? Stabilisci già il formato oppure parti e poi a un certo punto dici: "Va bene, questo finisce qui...” e allora tagli la tela o il foglio?

Stabilisco sempre la dimensione prima di iniziare. Preparo il foglio, lo attacco alla parete dello studio e poi disegno senza però fare un progetto preliminare. Da sempre, per me, il disegno è già opera finita. Nel senso che non uso mai la matita per abbozzare l’opera. Disegno e dipingo da sempre di getto senza preparazione.

Fausto Gilberti, Metà madre metà metallara (2025; china su carta, 25x18 cm)
Fausto Gilberti, Metà madre metà metallara (2025; china su carta, 25x18 cm)
Fausto Gilberti, L’orco che mangiava i bambini, Corraini (2012)
Fausto Gilberti, L’orco che mangiava i bambini, Corraini (2012)
Fausto Gilberti, Bianca, Corraini edizioni (2013)
Fausto Gilberti, Bianca, Corraini edizioni (2013)
Fausto Gilberti, Piero Manzoni, Corraini edizioni (2014)
Fausto Gilberti, Piero Manzoni, Corraini edizioni (2014)
Fausto Gilberti, Rockstars reloaded, Corraini edizioni (2016)
Fausto Gilberti, Rockstars reloaded, Corraini edizioni (2016)
Fausto Gilberti, Yayoi Kusama Covered Everything in Dots and Wasn’t Sorry, Phaidon press (2020)
Fausto Gilberti, Yayoi Kusama Covered Everything in Dots and Wasn’t Sorry, Phaidon press (2020)
Fausto Gilberti, Disegni da Paura, Wizard gallery, Milano. Foto: Antonio Maniscalco
Fausto Gilberti, Disegni da Paura, Wizard gallery, Milano. Foto: Antonio Maniscalco
Fausto Gilberti, Crew, Ollomont, estate (2023). Foto: Angelica Giliani
Fausto Gilberti, Crew, Ollomont, estate (2023). Foto: Angelica Giliani
Fausto Gilberti, Happy mountain, Casa Alpina, workshop, Ollomont (2023)
Fausto Gilberti, Happy mountain, Casa Alpina, workshop, Ollomont (2023)
Fausto Gilberti, Happy mountain, Casa Alpina, wall paintings, Ollomont (2023)
Fausto Gilberti, Happy mountain, Casa Alpina, wall paintings, Ollomont (2023)

Così facendo succede spesso di fare errori che sembrano irrecuperabili.

In realtà nel corso degli anni ho capito che gli errori ti possono suggerire strade nuove. Bisogna cogliere questa occasione. Farsi suggerire il percorso. Seguire l’errore per trovare soluzioni nuove e inaspettate.

Se l’arte fosse solo progettazione ed esecuzione sarebbe una noia pazzesca, non credi?

Ci sono artisti che vanno alla ricerca del significato e prescindono da tutto il resto. Forma, segno, composizione, soggetto...

Senti, oltre a questi lavori molto grandi hai fatto in questi mesi tutta una serie di disegni molto piccoli in cui ritorna invece proprio quella situazione, diciamo così, più misteriosa, più inquietante. Più narrativa.

Ti riferisci alla serie Disegni da Paura in cui ritornano certe atmosfere del passato. Sono immagini senza respiro, visioni in cui sogno e realtà spesso si compenetrano. Con dentro tutto ciò che mi interessa: musica, arte, citazioni, montagne, paesaggio, cinema, letteratura.

E poi ci sono situazioni che nascono da quello che hai intorno, dalla situazione in cui ti trovi ad esporre per esempio, quando hai fatto la mostra Happy mountain due anni fa se, non ricordo male.

Ci si fa ispirare anche da ciò che si ha intorno. A volte anche dal paesaggio e dai luoghi. In quel caso, aiutato da una decina di super assistenti ho dipinto su muri di una ex colonia di vacanze estive abbandonata a Ollomont in Valle D’Aosta

Torniamo ai disegni di piccolo formato che hai fatto di recente. I Disegni da Paura.

Sono disegni formalmente diversi rispetto a quanto ho fatto finora. Ho lavorato su nuovi soggetti ma anche sulla ricerca di una tecnica. Ho cominciato a diluire la china, a non utilizzare più soltanto l’inchiostro puro. Non solo nero, ma che tante sfumature di grigio, velature e sovrapposizioni. Ho cercato di disegnare perdendo volutamente il controllo: ho provocato apposta l’errore. Ho utilizzato pennelli rovinati e li ho usati in vari modi. Piegandoli, usandone la parte laterale, i bordi, alla ricerca di un segno particolare e molto espressivo, pittorico. Inoltre, sullo sfondo e intorno alle figure umane e animalesche, è apparso il paesaggio, spesso cupo e fatto di forme caotiche e vorticose, temporalesche, quasi mai quieto.

Adesso facciamo avanti e indietro nel tempo, che ne dici? Io ho una serie di libri che hanno usato alcuni tuoi disegni per la copertina che riguardano le storie della Lunigiana. Per esempio, che cosa ti ha colpito di queste storie locali. Molte hanno tonalità cupe, oscure, misteriose, quasi lugubri...

Sono stato alcuni anni fa in Lunigiana per una residenza d’artista durante la quale ho creato un libro d’artista ispirato alle storie della Lunigiana. Le avevo lette su un volumetto scritto da una studiosa locale, che le aveva raccolte negli anni facendosele per lo più raccontare dagli anziani del posto. Erano storie quasi sempre di paura, e mi colpirono perché i personaggi che le popolavano erano davvero inusuali e bizzarri. La morte era spesso presente, e veniva raccontata con una nota di ironia, forse per esorcizzarla. Mi ricordo che in una di quelle storie si raccontava di un tizio che una notte attraversando un bosco (la Lunigiana è piena di boschi) vide in una piccola radura della gente che ballava e si divertiva. Così si mise a ballare con una donna. Era felice e contento finché non si è rese conto che la persona con cui stava ballando era morta, e così anche tutte le altre intorno. Realizzai una serie di segni ispirati a quello storie e ne feci un libro nel formato del leporello.

Poi mi ricordo che quando eravamo all’Accademia avevi portato per un esame con Roberto Sanesi, una serie di disegni, dove c’erano dei paesaggi, sostanzialmente, disegni molto dipinti.

Erano tavole ispirate al Deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Erano piccoli dipinti su carta ad acrilico. Paesaggi disabitati, neri, con la sola presenza della fortezza in lontananza. L’uomo era assente. Erano dipinti quasi informali, quasi astratti. Le forme erano risolte con tocco di pennello, con un segno.

Per finire, Fausto: su cosa stai lavorando in questo momento?

Sto continuando la mia ricerca sul tema Disegni da paura , cercando di ottenere la stessa freschezza di segno che ho trovato nella piccola dimensione su dimensioni invece molto più grandi. Una sorta di Disegni da Paura parte 2. Un centinaio di queste carte verranno raccolte in una pubblicazione in uscita a breve per Corraini edizioni. Un libro più che un catalogo, con una brevissima introduzione scritta dal mio amico scrittore Sacha Naspini, autore di magnifici romanzi dall’ambientazione oscura e affascinate molto in sintonia con la mia poetica. Se non lo conosci ti consiglio di leggere “I Cariolanti”. Il libro sarà caratterizzato da impaginazione senza sosta: i disegni verranno pubblicato sulla pagina al vivo e uno vicino all’altro, senza interruzioni di pagine bianche e senza titoli e informazioni ulteriori. Concettualmente riprende graficamente l’installazione che ne feci alla galleria Wizard di Milano nella mostra dello scorso anno.


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Gabriele Landi

L'autore di questo articolo: Gabriele Landi

Gabriele Landi (Schaerbeek, Belgio, 1971), è un artista che lavora da tempo su una raffinata ricerca che indaga le forme dell'astrazione geometrica, sempre però con richiami alla realtà che lo circonda. Si occupa inoltre di didattica dell'arte moderna e contemporanea. Ha creato un format, Parola d'Artista, attraverso il quale approfondisce, con interviste e focus, il lavoro di suoi colleghi artisti e di critici. Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Milano, vive e lavora in provincia di La Spezia.



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