A fine novembre, il CIMAM (Comitato Internazionale per i Musei d’Arte Moderna), il principale ente internazionale che raccoglie i musei d’arte moderna e contemporanea di tutto il mondo, affiliato all’ICOM, ha nominato il suo nuovo presidente: la giapponese Mami Kataoka, direttore e capo curatore del Mori Art Museum di Tokio. Succede a Elizabeth Macgregor (che è stata ospite del numero 4 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper) e sarà presidente del CIMAM per il triennio 2020-2022. La nomina è arrivata dopo la conferenza annuale del CIMAM, che nel 2019 si è tenuta a Sydney, in Australia. Abbiamo raggiunto Mami Kataoka e le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua visione circa i musei d’arte contemporanea e su quale sarà il loro futuro. L’intervista è a cura di Federico Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte.
Mami Kataoka, presidente del CIMAM |
FG. Sul finire del 2019 si è tenuta un’importante edizione della conferenza annuale del CIMAM: il tema di quest’anno era “il museo del XXI secolo”: quali sono i principali argomenti di discussione emersi in questa occasione? Come dovrebbe essere un museo per poter essere definito un “museo del XXI secolo”?
MK. Il ruolo del museo è un argomento davvero fondamentale: di recente si è acceso lo scontro tra, da una parte, coloro che pensano al museo semplicemente come al luogo in cui è conservata una collezione, e dall’altra quanti invece vogliono che il museo sia un luogo di dibattito e di discussione su molte questioni. Sono due punti di vista inconciliabili, oppure sono due poli che potrebbero trovare un punto d’incontro, anche in contesti dove ciò non è semplice, per esempio in un museo classico o archeologico? Alla conferenza ICOM del 2019, la proposta per la nuova definizione del termine “museo” non è stata adottata dai membri dell’ente. Il nostro mondo, oggi, è molto complesso, le prospettive e i sistemi di valori sono molteplici, e naturalmente il settore del museo dovrebbe riflettere questa complessità in maniera creativa. Dunque, la definizione di “museo del XXI secolo” dovrà continuare a essere discussa.
Uno degli obiettivi della conferenza era affrontare il discorso sulla narrativa museale e sulla prospettiva dei locali, degli indigeni. Negli ultimi mesi, i musei hanno discusso alacremente sul tema della decolonizzazione culturale. In che modo i musei stanno affrontando questa discussione? Ci sono paesi che si stanno muovendo più rapidamente rispetto ad altri? Questo dibattito si polarizzerà oppure c’è spazio per far progredire la discussione?
La discussione sulla decolonizzazione nei musei è cominciata di recente. Nel 2017, il presidente francese Macron dichiarò di voler restituire in maniera temporanea e permanente il patrimonio africano all’Africa, negli anni a venire. Questo fatto è stato importante perché ha segnato l’inizio del dibattito su come realizzare le sue intenzioni e sull’opportunità di condividere quest’idea coinvolgendo su più livelli i musei di tutto il mondo. Nel frattempo, i concetti di diversità e inclusione hanno cominciato a riflettersi sulle collezioni dei musei d’arte moderna e contemporanea e sui loro programmi espositivi. Ovviamente ci sono diverse prospettive e diverse opinioni, ma per quanto mi riguarda, più che pensare al dibattito in termini di polarizzazione, ritengo che dovrebbe essere pensato nei termini del modo per equilibrare molteplici livelli e problematiche e, soprattutto, credo che si debba ragionare sulla chiave per raggiungere l’equilibrio ottimale.
Alla fine della conferenza di quest’anno, Lei è stata nominata presidente del CIMAM. Cosa dovremmo aspettarci dal triennio in cui Lei presiederà l’ente?
Il CIMAM, essendo un’organizzazione affiliata all’ICOM, vorrebbe lavorare in maniera più stretta con l’ICOM, soprattutto sulle tematiche che l’intero settore dei musei dovrebbe discutere assieme, per esempio la sostenibilità e l’etica dei musei. Per quanto riguarda il CIMAM in sé, dal momento che in questo momento storico ci sono molti musei d’arte moderna e contemporanea che vengono istituiti e costruiti in tutto il mondo, il nostro ente dovrebbe funzionare davvero come un’organizzazione globale e come un’importante piattaforma comune per i professionisti del settore. Attraverso gruppi di lavoro più organizzati, i membri del consiglio aspirano a lavorare su diversi temi in un’ottica di massima condivisione.
A proposito di tematiche come la sostenibilità e l’etica: un museo dovrebbe essere coinvolto nell’attualità, nella politica?
Dal momento che l’arte contemporanea riflette la nostra società contemporanea, è inevitabile che l’attualità internazionale compaia nelle pratiche museali. Ad ogni modo, dovrebbe esserci una linea ben definita tra la pura azione politica e il museo: io considero il museo come un luogo d’incontro e di dialogo tra diversi punti di vista, e non come a un luogo per condurre il mondo verso una certa direzione politica o ideologica.
Durante la conferenza di quest’anno si è parlato anche di un particolare risultato ottenuto dal CIMAM lo scorso anno, ovvero la creazione delle “Museum Best Practices” per la gestione delle controversie. Quali sono, a tal proposito, le principali controversie che un museo potrebbe dover affrontare nel XXI secolo e come potrebbero essere risolte?
Occorre presumere che le controversie nascono a seconda dei diversi contesti socio-politici nelle varie parti del mondo. Tuttavia c’è una differenza rispetto al XX secolo, ovvero il fatto che viviamo in tempi di grande complessità e con un diverso spettro di sistemi valoriali, ragione per la quale la comunicazione e il dialogo per la comprensione reciproca sono, in tal senso, gli elementi chiave. Per quanto riguarda la comunicazione, in un’epoca che sta sperimentando una crescita senza precedenti dei social media, diventeranno sempre più necessarie la chiarezza e la trasparenza da parte del museo (inclusa la trasparenza sulle fonti di finanziamento), e occorrerà anche impegnarsi per comprendere i contesti in cui gli episodî si verificano, piuttosto che reagire sulla base di informazioni frammentarie.
Parliamo di arte contemporanea. Un argomento su cui molti stanno discutendo (specialmente in Italia) è la trasformazione della figura del critico d’arte in quella di curatore. Abbiamo sempre più curatori, e meno critici. La figura del critico d’arte è destinata a scomparire? Qual è, in questo senso, il contributo che potrebbero dare i musei d’arte contemporanea?
Continuando il discorso precedente, viviamo in tempi che presuppongono metodi di comunicazione e strumenti diversi rispetto a quelli di cinquant’anni fa, e le professioni in ambito curatoriale sono diventate più riconosciute e più solide negli ultimi decennî. Tuttavia non penso che la professione del critico d’arte stia scomparendo, ma di sicuro c’è da discutere su di una nuova definizione della professione, dal momento che sembra difficile trovare uno standard universale per valutare l’arte contemporanea. Detto questo, il museo è il luogo in cui i professionisti e il pubblico s’incontrano, e i professionisti museali dovrebbero cercare nuovi linguaggi per la piattaforma-museo.
Un’ultima domanda: in molti paesi il pubblico sembra essere sempre più interessato ai musei, ma i governi sono poco propensi a investire, e spesso sono i musei più grandi ad attirare la maggior parte dei visitatori, mentre molti piccoli musei sono in crisi. Quale sarà dunque, secondo Lei, il futuro dei musei negli anni a venire?
I musei non dovrebbero mai essere rigidi: piuttosto dovrebbero essere fluidi e inclini al cambiamento, dal momento che il mondo sta cambiando. Occorre avere responsabilità nel gestire in maniera sostenibile le collezioni e la programmazione, ed è pertanto necessario cercare i migliori modelli di business e di finanziamento secondo i tempi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).