Musei del Veneto: sfide e soddisfazioni nei cantieri di Treviso e Verona. Parla Chiara Matteazzi


I Musei del Veneto hanno visto recentemente due importanti cantieri, a Verona e a Treviso (il nuovo Museo Archeologico Nazionale e il nuovo Museo Nazionale Collezione Salce), di cui si è occupata Chiara Matteazzi della Direzione regionale Musei del Veneto. L’abbiamo intervistata per farci raccontare questi due grandi interventi.

I Musei del Veneto hanno visto recentemente due importanti cantieri, a Verona e a Treviso, rispettivamente il nuovo Museo Archeologico Nazionale e il nuovo Museo Nazionale Collezione Salce, di cui si è occupata Chiara Matteazzi (Este, 1973), architetto della Direzione regionale Musei del Veneto. L’abbiamo intervistata per farci raccontare questi due grandi interventi, nella loro progettazione e nella loro realizzazione finale. L’intervista è di Ilaria Baratta. Chiara Matteazzi è architetto, si laurea allo IUAV di Venezia nel 1999, lavora per anni come libero professionista e come dipendente di enti locali. Nel 2012 entra al Ministero della Cultura, dove si occupa fin da subito di cantieri relativi ai beni culturali. Dal 2015 lavora presso la Direzione regionale Musei Veneto, dove coordina le attività di molti musei nazionali e si occupa di restauri edili e nuovi allestimenti museali. Collabora con artisti e musei nazionali per l’organizzazione di mostre. Tuttora, tra gli altri, collabora con il Museo di Palazzo Lanfranchi di Matera e con il Museo Nazionale Romano.

IB: Verona e Treviso, due città accomunate da due Suoi importanti interventi come architetto della Direzione regionale Musei del Veneto: nell’ottobre 2022 sono state inaugurate le sale dell’Età del Ferro del nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona, che hanno seguito l’attesissima apertura nel febbraio dello stesso anno, dopo quarant’anni, del museo con le sezioni dal Paleolitico all’Età del Bronzo, mentre nel 2021 è stato inaugurato il nuovo Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso. Cosa ha significato per Lei occuparsi di questi due grandi progetti?

CM: Fare esperienza, dare corpo alle idee, trasformare intuizioni in realizzazioni, fare squadra, realizzare sogni. Esattamente ciò che accade, o dovrebbe accadere, in tutti i lavori, tutti i giorni.

Il pubblico, o meglio i cittadini di Treviso e Verona, come hanno accolto questi importanti interventi?

Treviso è una città che ha seguito la genesi del nuovo Museo passo dopo passo, e mi riferisco soprattutto ai numerosissimi cittadini che fin dai primi giorni del cantiere si affacciavano incuriositi. L’ex Chiesa di Santa Margherita ha rappresentato per diverse generazioni di trevigiani un pezzo della loro vita, in moltissimi l’hanno infatti frequentata per praticare gli sport più diversi: pattinaggio, pallacanestro, arrampicata… Penso sia in assoluto il cantiere che mi ha restituito di più, sia in termini umani che professionali, la sensazione di aver fatto qualcosa di importante per la comunità, che rappresenta il vero obiettivo di un architetto, tanto più se rappresentante dello Stato. Differente la situazione veronese. La città sembrava dare per scontato che il nostro fosse l’ennesimo tentativo di mettere mano ad un edificio che sembrava dannato. Si veniva da cantieri avviati e presto abbandonati e anche per il nostro progetto si prefigurava il solito, triste epilogo. Abbiamo sbloccato la situazione, riscattando i passati go and stop. Maturando - e cercando di creare - un nuovo museo, nuovo nella proposta e nuovo nei modi di comunicare.

Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta

Quali sono state le difficoltà, se ci sono state, che ha dovuto affrontare nei due casi?

Il Museo Nazionale della Collezione Salce lo considero, per adesso, “il progetto della mia vita”. Si è rivelato una vicenda professionalmente davvero complessa e sotto diversi aspetti. Ad iniziare dalla complessa gestione dei finanziamenti, statali, comunitari e regionali, che nel frattempo, a seguito della riforma del Ministero della Cultura, venivano trasferiti dalla Direzione Regionale all’attuale Direzione regionale Musei Veneto, nomi simili ma status giuridicamente diversi. Fortunatamente ho potuto seguire professionalmente il flusso dei cambiamenti, passando anch’io da un istituto all’altro, continuando a seguire i cantieri. Complesso anche per la gestione dei rapporti con tante, diverse imprese, il tutto nel tempo della pandemia, con ciò che questo ha comportato in termine di attenzioni, tensioni, messa in sicurezza di chi continuava ad operare nel cantiere. L’esperienza, che spero non si ripeta, di vivere e gestire tanti professionisti al lavoro, mentre fuori dalle porte il mondo immobile tratteneva il fiato. Verona ha avuto il significato di una sfida contro il tempo. Una sfida affrontata all’indomani dell’apertura del nuovo Salce, con quel che questo mi aveva comportato in termini di fatica, tensione e impiego di energie. Messo in armadio il vestito bello indossato per la cerimonia di apertura del museo trevigiano, mi sono rimessa la tenuta da lavoro. Sapevo che non mi era concesso procrastinare. Già troppi erano stati gli annunci non concretizzati. In un pugno di mesi “dovevo” aprire il primo nucleo del nuovo Museo Archeologico Nazionale, la sezione dedicata all’Età del Ferro. Ricordo ancora il primo sopralluogo, nel settembre 2021. Un edificio enorme, rigidamente asburgico, di cui era stato già restaurato il tetto. Perlomeno non ci pioveva più dentro. Ricordo che il pavimento, trattato con una resina color mattone, mi ha trasmesso un grande senso di oppressione. Gli impianti a vista erano cominciati e ma non portati a termine e messi in funzione. Tutto giustificava quel clima di scetticismo che mi veniva palesemente espresso. È stato un impatto psicologicamente davvero difficile. Mi attendeva un lavoro di progettazione e cantierizzazione, per una grande superficie espositiva, oltre alla progettazione e realizzazione di biglietteria, bookshop, locali di servizio, e naturalmente i percorsi, gli arredi e gli allestimenti. Mission impossible? Così sembrava. Invece, grazie all’aiuto di tutti, ci siamo riusciti. Con il fiatone, ma il risultato “impossibile” lo abbiamo portato a casa. E l’inaugurazione con il direttore Generale Massimo Osanna resta tra i miei ricordi professionali più cari.

Entrando nello specifico dei due musei, su quali elementi e aspetti ha voluto puntare per il Museo Archeologico Nazionale di Verona? Secondo quali linee è stato pensato l’allestimento del museo? E rivolgendosi a che tipo di pubblico?

L’Archeologico di Verona nasce come luogo dove raccontare, grazie alle notevolissime testimonianze raccolte sul territorio, la lunga storia del veronese, più che della sola città. Avevamo a disposizione molti materiali, in gran parte mai esposti, di grande interesse archeologico, ovviamente non particolarmente attrattivi sotto il profilo della godibilità estetica. Al visitatore non specialista, poteva risultare non così immediato riportarli ad un preciso momento storico o ambito geografico. Già i termini in uso tra gli specialisti comunicano poco, se non del tutto nulla, al pubblico. Con i professionisti e gli studiosi che mi hanno affiancato, abbiamo cercato di creare, meglio far rivivere, delle storie. Come quella dello sciamano, l’effige risalente a 40mila anni fa, al Paleolitico Superiore, che è uno dei pezzi forti del Museo. O il mondo degli abitati palafitticoli o i riti di sepoltura, i lavori artigiani, riproposti, questi, anche in laboratori. Nulla di rivoluzionario, ma un sistema ordinato di racconto su due piani: il quando e il dove. Una linea temporale e una precisa collocazione territoriale. Anche per consentire al visitatore del territorio di ritrovare le testimonianze di casa sua. I testi esplicativi sono stati pensati per il pubblico generalista, brevi, corretti, semplici, mai banali. In questa fase l’uso del multimediale, che pur considero fondamentale, è stato limitato. Sarà sviluppato organicamente a servizio dell’intero percorso museale quando quest’ultimo sarà completato.

Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta

Su quali elementi e aspetti ha voluto puntare invece per il nuovo Museo della Collezione Salce?

Il primo obiettivo era dare una casa sicura ai 26mila pezzi della Collezione storica e agli altrettanti pervenuti al costituendo Museo negli ultimi decenni. Un patrimonio che fa del Salce la più importate raccolta italiana di affiches e una delle due più rilevanti in Europa. Il prezioso lascito allo Stato del ragionier Salce per decenni ha vagato tra sedi e competenze diverse. La nuova casa doveva essere innanzitutto sicura e facilmente gestibile. Di qui la creazione, all’interno dell’ex Chiesa di Santa Margherita, restaurata per l’occasione, di una struttura tecnologica dove i manifesti, materiali per loro natura fragilissimi, potessero “riposare” in un ambiente climatizzato, al buio, protetti da strutture metalliche connesse ad un centro di controllo che, all’occorrenza, individuato il manifesto di interesse, vada a prelevarlo dal suo contenitore e lo depositi sul pianale di arrivo, a disposizione dello studioso. Chiunque, naturalmente autorizzato, può fisicamente consultare i singoli manifesti del patrimonio Salce, manifesti che, virtualmente, sono a disposizione di tutti, online. Il Museo ha come suo patrimonio materiali cartacei, realizzati per vivere il momento dell’affissione e spesso stampati su carte di bassa qualità. Materiali fragilissimi che è necessario preservare. Da qui la creazione, al di sopra del grande caveau, di un laboratorio di restauro per monitorare e intervenire sul patrimonio. Un terzo livello è riservato alle esposizioni temporanee, per consentire al pubblico di ammirare quel patrimonio. Per l’apertura del nuovo Salce abbiamo scelto una grande monografica riservata a Renato Casaro, trevigiano cartellonista. Casaro ha lavorato al servizio del cinema, in Italia come negli Stati Uniti, firmando il manifesto di numerosi capolavori della settima arte. Una mostra, realizzata con il Comune di Treviso, che ha riscosso un grande interesse avvicinando molti al nuovo Museo.

Gli allestimenti di entrambi i musei danno ampio spazio alle nuove tecnologie e agli strumenti multimediali e interattivi. Quanto è importante secondo Lei introdurre questi nuovi strumenti per musei al passo coi tempi? Secondo il Suo parere si attira un pubblico più giovane?

L’esempio del Salce è illuminante. Qui, sulle pareti della chiesa, al posto di affreschi e altari oggi scomparsi, sono stati fatti vivere i manifesti. Quelli di Renato Casaro, naturalmente, ma anche alcuni del Salce. Non pure proiezioni ma un vero e proprio spettacolo continuo, con aree di interattività. Credo che questa installazione sia stata tra gli elementi attrattivi e di successo della mostra inaugurale del Museo. Ad esserne affascinati non sono stati solo i più giovani ma anche gli adulti, affascinati, stupiti e coinvolti. Per Verona sto riflettendo sul metaverso, in particolare per alcune “situazioni”. Credo sarebbe di grande impatto poter intervenire alla cerimonia sacra dello Sciamano o vivere in un villaggio palafitticolo o osservare, da protagonisti e non solo da spettatori, i cambiamenti di un territorio. Così come mi piacerebbe approfondire, in appositi “ambienti”, il formarsi e il diffondersi di modelli estetici dal Mediterraneo all’Irlanda. Sto pensando alle nostre “lunule”, che riportano raffigurazioni del firmamento del tutto simili a quelle ritrovate in altre parti del continente, a testimonianza di come già nell’Età del Bronzo, le interconnessioni fossero ampie, trasferendo merci ma anche idee e cultura.

Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Archeologico Nazionale di Verona
Museo Archeologico Nazionale di Verona. Foto: Gianluca Stradiotto
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta
Museo Nazionale Collezione Salce
Museo Nazionale Collezione Salce. Foto: Marco Zanta

Il completamento del Museo Archeologico Nazionale di Verona è previsto nel 2025 con l’apertura della sezione romana. Può darci un’anticipazione su come saranno concepite queste nuove sale?

L’intervento che stiamo realizzando a Verona per completare il museo trasformerà completamente questo luogo. Oggi la parte museale interessa unicamente il sottotetto ma in previsione occuperà anche parte del primo piano e tutto il secondo piano. Inoltre, in linea con la tendenza dettata dalla Direzione Generale Musei, l’intenzione è rendere fruibile anche i depositi, per restituire al visitatore il grandissimo patrimonio invisibile in essi custodito. L’allestimento andrà in continuità con l’esistente ma dovrà necessariamente dialogare con l’intorno, con quello che già accade a Verona. A partire dai Musei Civici e dalle grandi testimonianze veronesi della romanità, l’Arena e gli Scavi Scaligeri in primis.

Per concludere, sono previsti altri importanti interventi sui Musei del Veneto?

Un altro intervento importante riguarda il Museo nazionale archeologico Atestino a Este (Pd) dove l’origine rinascimentale di Palazzo Mocenigo diventa l’occasione per dare vita ad un incubatore di esperienze: una sorta di bottega rinascimentale in chiave moderna, ambienti attivi e dinamici dove è possibile condividere idee ed obiettivi. Il Museo da spazio espositivo si trasforma in uno spazio collettivo ed educativo, luogo di incontro tra territorio, storia e arte, un hub culturale dove promuovere forme di cooperazione tra le diverse Istituzioni, ma anche tra creativi, artisti e studiosi per confrontarsi con le prestigiose collezioni presenti in Museo, dialogare su temi legati al rapporto tra uomo e ambiente, stimolare nuovi approcci e spunti di riflessione. Anche in questo caso un ruolo fondamentale viene dato anche ai depositi museali concepiti non più come spazi chiusi, bensì come uno spazio che svolga una funzione espositiva temporanea, di laboratorio di restauro, anch’esso visibile e visitabile dal pubblico. Si possono immaginare all’interno del deposito degli spazi per la socialità dove le persone possono usufruire di una sala lettura o dove possono svolgere altre attività legate al museo. Il progetto mira a valorizzare il contesto territoriale, creando i necessari rimandi, sia fisici che virtuali, tra il Museo e i siti archeologici, i musei naturalistici ed etnografici presenti nei Colli Euganei e tra gli istituti culturali e il paesaggio circostante, utilizzando anche i maggiori canali tradizionali e digitali (podcast, realtà virtuali, intelligenza artificiale, format multicanale).


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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