Al Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona è in corso fino al 21 agosto 2022 (grazie a una proroga) la mostra Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria che, partendo dalla pala della Madonna dell’Itria custodita a Paternò, in Sicilia, intende raccontare gli anni trascorsi dall’artista cremonese Sofonisba Anguissola (Cremona, 1532 – Palermo, 1625) proprio nella cittadina siciliana. La pala è l’unica opera certa di Sofonisba di quel periodo. Ne abbiamo parlato con Mario Marubbi, membro del Comitato scientifico della mostra, che ci ha raccontato le origini dell’esposizione, la particolare iconografia della Madonna dell’Itria e gli anni paternesi di Sofonisba Anguissola.
IB. Come è nata l’idea di questa mostra?
MM. L’idea di questa mostra è nata dal desiderio che l’Amministrazione comunale di Cremona e il museo avevano di ritornare su Sofonisba Anguissola. La città ha organizzato nel 1994 una grande e irripetibile mostra monografica sull’artista, ma una mostra così importante era praticamente insostenibile in tempi attuali. L’unica possibilità era quindi quella di occuparsi di un’opera di recente scoperta che così non avrebbe comportato una spesa insostenibile, come oggi può richiedere una mostra monografica. Si è deciso di puntare perciò su una scoperta di qualche anno fa, successiva alla mostra del 1994: una pala che si trova nella chiesa parrocchiale di Paternò e che era già stata attribuita a Sofonisba Anguissola da Alfio Nicotra nel 1995, dopo che lo studioso aveva visitato la mostra di Cremona; l’attribuzione era stata poi confermata da alcuni documenti. Siccome questo dipinto versava in non buone condizioni di conservazione, l’idea è stata quella di trovare una formula che permettesse lo spostamento del dipinto nei nostri laboratori, il restauro dell’opera e di conseguenza di offrire il restauro alla parrocchia di Paternò, avendo poi l’occasione di mostrare il dipinto al pubblico. Per non esporre il dipinto da solo, abbiamo pensato di presentare una riflessione su quest’iconografia abbastanza inconsueta, quella della Madonna dell’Itria, partendo dal restauro e spaziando poi sull’origine dell’iconografia dal tardo Medioevo al Settecento.
Qual è la particolarità di questa iconografia, che poi subì trasformazioni nel corso del tempo?
L’iconografia è una questione abbastanza curiosa, perché prima di tutto la denominazione di Madonna dell’Itria è un troncamento di Madonna Odigitria: una delle icone costantinopolitane più famose che rappresentavano la Madonna col Bambino. Sull’origine di questa icona, ovvero quella autentica che per noi è perduta, sono nate molte leggende. L’immagine autentica si riteneva dipinta addirittura da san Luca, il quale avrebbe ritratto la Vergine col Bambino; l’immagine sarebbe poi passata da Gerusalemme a Costantinopoli e, siccome l’icona scomparve dopo l’arrivo dei Turchi nel 1453, nacque una leggenda secondo cui questa icona sarebbe stata affidata al mare da due monaci perché questa si salvasse, giungendo infine sui lidi dell’Italia meridionale, forse in Sicilia, approdando sulla spiaggia di una città di nome Itria (che di fatto non è mai esistita). In Sicilia il culto della Madonna dell’Itria è già diffuso dalla fine del Trecento e rimarrà una costante fino all’Ottocento, a cui risalgono le ultime attestazioni.
Sofonisba Anguissola trascorse quasi sei anni in Sicilia, a Paternò, in seguito alle sue nozze con il nobile siciliano Fabrizio Moncada avvenute nel maggio 1573. E qui restò fino al 1579. Come trascorse questi anni siciliani la pittrice cremonese? È durante questo periodo che realizzò la pala della Madonna dell’Itria, che oggi si trova nella chiesa dell’Annunciata di Paternò.
Di questo periodo non sappiamo molto a dir la verità. Nonostante il fatto che siano emersi ormai circa una settantina di documenti che la riguardano in prima persona, della sua vita privata non abbiamo traccia. Evidentemente negli anni paternesi non fa più quello che aveva fatto a Madrid (era dama di compagnia della regina Isabella e si era occupata anche dell’educazione delle due Infante). A Paternò non ha più queste funzioni, quindi possiamo immaginare che abbia vissuto una vita più tranquilla, da moglie probabilmente, e anche da governatrice perché insieme al marito si occupa delle questioni politiche e finanziarie del feudo. Infatti gli unici documenti si riferiscono a operazioni finanziarie di depositi di denaro o di consegna di beni per ottenere prestiti, oppure la vedono obbligata a impegnare i suoi gioielli che le erano stati regalati dal re di Spagna, i tessuti preziosi avuti dalla regina di Spagna per cercare di gestire al meglio il feudo insieme al marito. I documenti di questi anni ci parlano quindi di difficoltà finanziarie e, dopo la morte del marito, anche del suo impegno diretto come governatrice, perché prima di partire per la Spagna (sappiamo però che il marito morirà a Capri) Fabrizio aveva affidato alla moglie il governo del feudo. Anche dopo la morte del marito, Sofonisba continuerà a ricevere dalla cognata, la figura più importante del clan familiare, uno stipendio proprio per il suo lavoro di governatrice, ufficio che mantiene per poco più di un anno e mezzo prima di lasciare Paternò e tornare a Cremona, anche se poi sappiamo che le cose andarono diversamente.
Nel catalogo della mostra Lei racconta che “ogni tentativo di ricostruzione della sua attività pittorica durante il soggiorno paternese passa necessariamente dal confronto con questa pala”. Può spiegare il perché?
Perché non si hanno altre opere sicure di Sofonisba di questi anni paternesi. Il suo biografo De Ribera afferma che quando lei arrivò a Paternò continuò a fare ritratti: stando a corte a Madrid si era specializzata in questo tipo di pittura; è ovvio che avrà fatto il ritratto del marito e dei familiari, ma l’unica opera certa di questo soggiorno a oggi rimane la pala della Madonna dell’Itria. Dipinto tra l’altro non del tutto autografo; vi si riconoscono infatti elementi ascrivibili a una bottega di un pittore locale che operava probabilmente a Messina. Neanche del secondo periodo siciliano (lei passerà gli ultimi anni della sua vita, dal 1615 fino alla morte a Palermo) non abbiamo niente di certo.
Ha scritto inoltre che guardando l’opera si riconoscono parti di qualità inferiore rispetto alla pittura di Sofonisba, forse compiute dal marito Fabrizio. Cosa ce lo fa pensare? Quali sono le parti ascrivibili a una seconda mano?
È verosimile che anche il marito abbia lavorato alla pala perché nel documento in cui Sofonisba lega il dipinto alla chiesa dei francescani di Paternò fa esplicitamente riferimento al fatto che il dipinto è stato realizzato anche con l’aiuto del marito. È proprio lei che lo dice, quindi su questo non dovremmo avere delle difficoltà. Il marito però non era un pittore, sarà stato un autodidatta; è possibile che durante la realizzazione del dipinto Sofonisba abbia chiesto al marito Fabrizio di intervenire per compiacerla o per coinvolgerlo nel suo lavoro. Nel quadro si riconoscono parti di qualità non eccelsa, per esempio i due angioletti in alto che incoronano la Vergine, oppure anche il paesaggio che, per quanto apparentemente interessante, quando lo si guarda da vicino ci si accorge che non è di qualità sopraffina. È in queste parti che è possibile immaginare la presenza di un pittore non professionista, che quindi poteva essere effettivamente Fabrizio che si era prestato ad assecondare il desiderio della moglie di aiutarla nell’impresa.
L’opera è stata posta in dialogo in mostra con altre opere, tra affreschi, dipinti su tavola e tela, sculture. Quali sono le più significative?
Sono parecchi i dipinti significativi che illustrano il percorso iconografico della Madonna dell’Itria. Ad esempio una tavola che proviene dal Museo Diocesano di Palermo che è una delle più antiche raffigurazioni in Sicilia della Madonna dell’Itria: un dipinto che risale al 1250 circa. È inoltre esposto uno spettacolare gruppo ligneo alto quattro metri che raffigura proprio i due monaci e la cassa sulla quale siede la Madonna col Bambino, la raffigurazione canonica della Madonna dell’Itria, che proviene dalla parrocchia di Corleone; la tavola di Giuseppe Alvino, pittore manierista palermitano, di grandi dimensioni che proviene dal Museo Diocesano di Monreale. Inoltre la mostra permette anche di apprezzare come l’iconografia della Madonna dell’Itria sia cambiata nei secoli. Quello che noi vediamo nella pala di Sofonisba segna il punto di arrivo di un’evoluzione che era già partita molti secoli prima. All’inizio è la Madonna dell’Itria secondo l’icona bizantina con la Madonna che tiene il Bambino seduto sul braccio sinistro e si arriva poi a una contaminazione con altre immagini di culto molto diffuse a Costantinopoli che portano invece all’iconografia definitiva con i due monaci che sostengono una cassa sulla quale siede la Madonna col Bambino. Di queste trasformazioni abbiamo dato conto attraverso una scelta oculata di opere, che in sequenza cronologica servono proprio a marcare le varie fasi costruttive dell’iconografia.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.