Il fotografo Luca Lupi (Pontedera, 1970), noto per le sue ricerche sperimentali sul paesaggio, durante il primo confinamento, nella primavera del 2020, non potendo lavorare nei luoghi abituali, ha messo a punto un sistema per creare opere fatte di luce su carta, che ha chiamato Esposizioni. Sono carte esposte alla luce per un periodo più o meno lungo: l’esposizione crea segni che ricordano forme geometriche o paesaggi: “compaiono orizzonti marini”, ha scritto la critica Ilaria Mariotti, “investiti da ultimi bagliori o luci d’alba, finestre simboliche che per la pastosità delle carte sono apparizioni incarnate, ci pare di poter intravedere un paesaggio lì dove la luce ha macchiato il foglio consumandolo ‘per via di levare’”, e poi ancora “figure e astrazioni insieme richiamano a noi un immaginario vasto e articolato, talvolta conflittuale: dalle apparizioni monocromatiche suprematiste di Ivan Vasil’evič Kljun alle campiture liquide di Mark Rothko per via di slabbrature dei margini e un senso di indefinitezza che stacca le forme dal foglio”. Le Esposizioni di Lupi sono in mostra fino al 15 maggio 2021 alla galleria Cardelli & Fontana di Sarzana. Ci siamo fatti raccontare dall’artista come sono nate queste opere. L’intervista è di Ilaria Baratta.
Luca Lupi |
Lo studio di Luca Lupi |
Mostra Luca Lupi. Esposizioni (Sarzana, Cardelli & Fontana, dal 10 aprile al 15 maggio 2021), foto dell’allestimento |
Mostra Luca Lupi. Esposizioni (Sarzana, Cardelli & Fontana, dal 10 aprile al 15 maggio 2021), foto dell’allestimento |
Mostra Luca Lupi. Esposizioni (Sarzana, Cardelli & Fontana, dal 10 aprile al 15 maggio 2021), foto dell’allestimento |
IB. Le opere in mostra sono state realizzate nella primavera del 2020, quando tutti eravamo obbligati a restare chiusi in casa in lockdown. Da cosa sono nate dunque queste nuove opere fotografiche?
LL. Il progetto è nato da un caso fortuito: nella mia libreria ho un libro che, per un lungo periodo, era rimasto esposto alla luce del sole. Qualche tempo fa ho avuto la necessità di consultarlo, e quando sono andato a prenderlo ho visto che il sole aveva lasciato un segno che mi ricordava un paesaggio, e da questo fatto è nata l’idea di provare a sperimentare, di vedere se fosse stato possibile gestire questo processo creando dei lavori. Così ho cominciato a selezionare delle carte e a esporle alla luce del sole per un determinato periodo: era la fine del 2019, e all’inizio di marzo, quando sono andato a togliere le varie mascherature che avevo appositamente creato, mi ero accorto che avevano lasciato un segno sulla carta. Questo è stato l’inizio, e da qui ho cominciato a sperimentare su diversi tipi di carta e di supporto con l’obiettivo di riuscire a trovare un’immagine che avevo in mente. In seguito, fatti i primi esperimenti con la luce del sole, ho messo a punto un sistema che ha una potenza enormemente superiore a quella della luce solare e che posso gestire direttamente in studio: è una speciale illuminazione che lavora sulla materia e sul colore ed è nata proprio in quel periodo, nella primavera del 2020. Non potevo andare a fotografare, mi era impossibile muovermi per fare le ricerche che ho sempre fatto sulla fotografia di paesaggio: è stato però come ritrovare il paesaggio dentro di me per proiettarlo su di un lavoro.
Temi principali nella Sua ricerca fotografica sono gli ambienti naturali, come il mare, le coste, la terra, che presuppongono lo stare all’aria aperta. Cosa ha significato per Lei il dover rimanere in ambiente chiuso per così tanto tempo e come si è modificato (se si è modificato) il Suo fare fotografia?
Non è stato facile: sono abituato a fare ricerche attraverso internet e con Google Earth per trovare magari dei luoghi da poter fotografare sia dal mare verso terra (per esempio per il progetto Landscapes), sia da terra verso il mare (come quelli del progetto Finis Terrae). Sono tutte fotografie fatte in vari luoghi del mondo, dalla Toscana all’Europa, da New York a Tokyo. Ecco, trovarmi all’improvviso chiuso in casa senza potermi muovere per realizzare il mio lavoro mi ha gettato in uno stato di grande difficoltà. Ma attraverso questo progetto sono riuscito a trovare un qualcosa che m’ha permesso di poter viaggiare con il pensiero, e di riuscire a produrre immagini all’interno dello studio.
Luca Lupi, Esposizione LVIII (febbraio 2021; luce su carta, esposizione di 94 ore, 100 x 80 cm, esemplare unico) |
Luca Lupi, Esposizione XXIII (maggio-giugno 2020; luce su carta, esposizione di 52 giorni, 50 x 70 cm, esemplare unico) |
Luca Lupi, Esposizione XLVIII (dicembre-gennaio 2021; luce su carta, esposizione di 8 giorni, 80 x 100 cm, esemplare unico) |
Luca Lupi, Esposizione XXX (maggio 2020; luce su carta, esposizione di 13 giorni, 65 x 50 cm, esemplare unico) |
Luca Lupi, Esposizione LII (febbraio 2021, luce su carta, esposizione di 18 ore, 50 x 65 cm, esemplare unico) |
Titolo comune a tutte le opere in mostra è Esposizioni che rimanda al procedimento con cui ha realizzato questa nuova serie di fotografie. Sono opere fatte di luce su carta. Ce ne può parlare? Anche il tempo assume un ruolo centrale.
Il tempo è fondamentale, come fondamentale è la luce: la luce è il soggetto del lavoro, ma anche il mezzo con cui ottengo il lavoro stesso. I tre punti focali del lavoro sono luce, tempo e materia: con la luce riesco a modificare la materia della carta e a imprimervi una forma che può richiamare il paesaggio. O ancora posso creare forme di luce, con la luce che si diffonde sulla carta stessa e crea un’immagine.
Sono opere composte da forme semplici, come cerchi, rettangoli che si dilatano o addirittura superfici che combaciano con il piano del quadro, ma che agli occhi dell’osservatore possono diventare paesaggi, orizzonti, attraverso l’immaginazione. La componente immaginativa diventa quindi fondamentale, è un passo quasi necessario che spetta all’osservatore...
Sì, chiaramente il lavoro dà un input e poi è l’osservatore che crea mentalmente la sua immagine e trova la sua forma.
È stato un lavoro che si può definire “sperimentale”. Quanto è importante per Lei sperimentare nella sua ricerca fotografica?
È fondamentale, perché credo che la fotografia, in questo periodo, sia ormai talmente sfruttata (tutti i giorni siamo assediati da immagini pubblicitarie, immagini dei telegiornali, e così via) da farci vivere in una situazione quasi sofferente nei confronti dell’immagine diffusa. Perciò poter ritornare quasi agli albori della fotografia, proprio a quando le forme erano più essenziali, e non rappresentavano neanche la realtà (era semmai realtà interiore) è stato un presupposto molto importante, tanto più in un periodo di negazione, perché eravamo completamente isolati dal mondo, sicché ho potuto ritrovare solo qualcosa che mi portasse proprio all’inizio delle immagini, alle prime sperimentazioni dell’Ottocento, come quelle di William Fox Talbot, ai primi studi sulla permanenza dell’immagine su carta, con la speranza di poter dire qualcosa di nuovo in un contesto in cui ormai la fotografia è talmente diffusa da indurmi a cercare di semplificare e arrivare a forme semplici, quasi primordiali, a un qualcosa in grado di riportare l’osservatore all’essenza dell’immagine stessa. Per quanto riguarda la tecnica, ho utilizzato un sistema simile a quello che viene usato in camera oscura, attraverso mascherature e bruciature della carta fotografica. Il sistema parte anche dal lavoro che ho fatto in camera oscura per dieci anni, quando ho potuto sperimentare gli effetti della luce sulla carta: così, ho cercato di riportare queste tecniche di lavorazione sul progetto Esposizioni. In alcune opere del progetto comunque non c’è neppure la mascheratura, ma solo l’effetto e la diffusione della luce sulla carta (nei punti più vicini al sistema d’illuminazione la materia viene disgregata, c’è una perdita di pigmenti che poi crea l’immagine).
Questa è la terza volta che espone alla Galleria Cardelli & Fontana: la prima volta nel 2016 con un progetto sugli spazi abbandonati della ex Ceramica Vaccari di Santo Stefano Magra; poi nel 2018 con progetti centrati sull’orizzonte e sul mondo vegetale. Ora con un progetto sulla luce. Quali saranno i Suoi progetti futuri? Sta già lavorando a qualche altro progetto?
Attualmente mi sono molto appassionato a questo lavoro: è un anno che mi dedico totalmente alle Esposizioni, sia per cause di forza maggiore sia perché forse il momento in cui viviamo mi ha spinto molto verso questo progetto. Si tratta di un lavoro che è appena all’inizio e questa è la prima mostra in cui lo presento, ma ho riscontrato che mi piace molto lavorare sulla luce, quindi continuerò con questo tipo di lavoro per vedere fino a dove posso arrivare con questo processo.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.