Nell’ambito dell’edizione 2019 di Artissima, la sezione Back to the future, dedicata alla riscoperta dei pionieri dell’arte contemporanea, compie dieci anni. Per il suo decennale, Back to the future si focalizzerà sul periodo 1960-1999, presentando stand monografici con opere realizzate in quegli anni da artisti fondamentali. Cosa vedremo in mostra? Ne abbiamo parlato con Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, che ricopre il ruolo di coordinatore del comitato curatoriale di Back to the future. L’intervista è a cura di Ilaria Baratta.
Lorenzo Giusti. Ph. Credit Daniele Zedda |
IB. Quest’anno ricorre il decennale di Back to the Future: è infatti dal 2010 che questa sezione intende illustrare al pubblico la riscoperta dei pionieri dell’arte contemporanea. Come novità di questa edizione si è voluto realizzare infografiche sugli artisti che hanno partecipato a Back to the Future nel corso di questi dieci anni, sulla loro carriera e sugli andamenti del mercato dell’arte. Può farci alcuni nomi di questi artisti, delineando i cambiamenti del gusto generale del mercato?
LG. Stiamo parlando di oltre 200 artisti dal 2010 a oggi, con profili e carriere molto diversi l’uno dall’altro. Quasi il 70% di questi autori, ci dicono le statistiche, dopo la partecipazione a BTTF ha registrato una crescita in termini di fatturato o è stato protagonista di mostre istituzionali. Ovviamente parliamo di processi che la sezione può avere innescato o favorito e che richiedono comunque la partecipazione di soggetti diversi. Una cosa che Back to the Future ha sicuramente precorso e poi assecondato è stata la grande attenzione data negli ultimi anni al recupero di figure femminili significative, tra cui Birgit Jürgenssen, Maria Lai, Anna Maria Maiolino, Valie Export, Tomaso Binga, Lygia Pape, Letizia Battaglia, Irma Blank, Natalie Du Pasquier.
In occasione della sua decima edizione, la sezione Back to the Future si concentrerà sul periodo compreso tra il 1960 e il 1999. In che modo e secondo quali linguaggi gli artisti attivi in quegli anni hanno influenzato gli artisti odierni?
Secondo i linguaggi più vari. Quando si parla del Novecento, infatti, parliamo di un periodo che ha visto il mondo cambiare a una velocità senza precedenti. L’arte ha assecondato questi cambiamenti producendo teorie e linguaggi che si sono smentiti e rigenerati con un ritmo impressionante. Quarant’anni nell’arte del Novecento sono come quattro secoli nelle epoche che li hanno preceduti. In un lasso di tempo relativamente breve si assiste a un frenetico avvicendarsi di azioni e reazioni a cui l’arte di oggi continua ad attingere in maniera libera e ugualmente frenetica.
Quando si pensa a un dialogo...artistico siamo soliti immaginare un dialogo tra antico e contemporaneo. Perché secondo Lei è importante che esista anche una riscoperta e un legame da parte degli artisti della contemporaneità attuale verso gli artisti della contemporaneità recente?
Per le ragioni di cui parlavo prima. Perché il passato recente si è mosso molto velocemente. A volte troppo velocemente rispetto ai tempi fisiologici di assimilazione da parte del pubblico o anche degli stessi addetti ai lavori. Esperienze che hanno avuto una visibilità territoriale non è detto che godessero delle condizioni per allargarsi ad altri contesti. Il pubblico e lo stesso mercato possono non essersi resi bene conto di qualcosa di significativo che trova dunque, paradossalmente, più senso oggi che nel momento stesso in cui è accaduto.
Anna Maria Maiolino [Back to the Future 2010], E o que sobra (1974; immagine digitale in bianco e nero, 72 x 152 cm). Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano |
Nanni Balestrini [Back to the Future 2010], Untitled (1961 circa; collage su carta, 25 x 35 cm). Courtesy Giacomo Guidi & MG Art, Roma |
Maria Lai [Back to the Future 2010], Tela cucita (1974; tecnica mista, 78,5 x 82,5 cm). Courtesy the artist and Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin |
Tomaso Binga [Back to the Future 2011], Lettera A, da Alfabetiere (1976-1977; collage su carta, 17 pezzi di 40 x 27 cm ciascuno). Courtesy the artist and Wunderkammern, Roma |
Giorgio Griffa [Back to the Future 2011], Colpi di pennello (1975; tempera su tela, 145 x 190 cm). Courtesy Giampiero Basutti, Torino |
Lili Dujourie [Back to the Future 2015], Still Life (1976; collage su carta, 34,5 x 24 cm). Courtesy the artist and Galerie Micheline Szwajcer, Brussels |
Renate Bertlmann [Back to the Future 2016], Tender pantomime (1976; fotografia in bianco e nero, 27 x 25 cm). Courtesy Richard Saltoun, London © the artist |
Beverly Pepper [Back to the Future 2017], Installation view, Artissima 2017. Courtesy Kayne Griffin Corcoran, Los Angeles Photo: Giorgio Perottino |
Rolf Julius [Back to the Future 2018], Mirror (1992; ferro, specchio, altoparlante, lettore CD, audio, 11,5 x 10,5 x 10 cm). Courtesy the artist and Thomas Bernard - Cortex Athletico, Paris |
In qualità di direttore della GAMeC di Bergamo, ha realizzato o realizzerà un progetto espositivo che abbia intenti simili a quelli di Back to the Future?
Ho dedicato diversi progetti a figure di rilievo che, per ragioni diverse, erano uscite o addirittura non erano mai entrate nei radar del sistema dell’arte. Maria Lai, Birgit Jürgenssen, Gary Kuehn, per citare alcuni dei nomi su cui Back to the Future aveva portato l’attenzione. E devo dire che ho sempre tratto grande soddisfazione da questi sforzi di rilettura, soprattutto quando sono riusciti a innescare dei processi virtuosi di rivalutazione.
Le opere che appartengono alla sezione Back to the Future si legano al tema generale di Artissima, ovvero desiderio e censura? Può fare qualche esempio?
Soltanto alcuni lavori si collegano all’intrigante tema del desiderio e della censura scelto da Ilaria Bonacossa per questa edizione di Artissima. Non abbiamo ritenuto opportuno ricercare per forza un’assonanza per non limitare il nostro campo di manovra. Dieci edizioni della sezione sono tante e non potendo riproporre gli artisti già presentati in passato, abbiamo preferito avere le mani libere e guardare prima di tutto alla qualità, alla radicalità e alla coerenza delle diverse ricerche, senza vincoli tematici. Alcune esperienze tuttavia si orientano in maniera naturale verso il tema trattato, su tutte quella di Barbara Hammer, artista multiforme, scomparsa lo scorso marzo, attiva dalla fine degli anni Sessanta soprattutto come videomaker e antesignana del cinema queer.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.