L'amore al tempo dell'arte digitale. Intervista a Kamilia Kard


Kamilia Kard (Milano, 1981), con le sue opere d’arte digitale, ha spesso parlato di amore, relazioni tossiche, mansplaining, erotismo, rapporti nati sul web. Ecco in che modo: una lunga intervista in cui ci racconta la sua arte.

Kamilia Kard è un’artista e docente nata a Milano nel 1981. La sua ricerca artistica esplora i temi della percezione umana nel contesto dell’iperconnettività e della comunicazione digitale. Dopo essersi laureata in Economia Politica presso l’Università Bocconi, ha intrapreso un percorso artistico ottenendo un diploma in Pittura e una laurea in Net Art presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. È stata inoltre dottoranda in Digital Humanities all’Università di Genova e attualmente insegna Applicazioni digitali per le arti visive e Comunicazione Multimediale presso l’Accademia di Brera. La sua indagine si concentra sull’influenza che le nuove modalità di comunicazione online esercitano sul corpo, sui gesti, sulle emozioni e sui sentimenti. Le sue opere attraversano diversi linguaggi espressivi, dalla pittura digitale alle installazioni video, fino a sculture tridimensionali, filtri AR e ambienti virtuali interattivi. Tra i suoi lavori più noti sono presenti Woman as a Temple del 2017, Compulsive Love del 2020 e Toxic Garden, quest’ultima un’esperienza partecipativa online ancora in corso che riflette sui comportamenti umani tossici all’interno di mondi digitali. Le opere di Kamilia Kard sono state esposte a livello internazionale in luoghi come la Triennale di Milano, il Victoria and Albert Museum di Londra, il Museo del Novecento a Milano e il Fotomuseum di Winterthur in Svizzera. Oltre alla sua vasta produzione artistica, nel 2022 ha pubblicato il libro Arte e Social Media. Generatori di Sentimenti, che approfondisce il rapporto tra arte digitale e social media. In questa intervista ci parla della sua arte. L’intervista è di Noemi Capoccia.

NC. Kamilia Kard, lei è un’artista che da anni lavora con il digitale. Parliamo di opere che hanno a che fare con la modellazione 3D, gif animate, ambienti virtuali interattivi e filtri AR (il suo stesso sito web è un quadro dinamico). Perché ha deciso di utilizzare le nuove tecnologie come medium per la sua arte?

Kamilia Kard. Foto: Vasco Del Monte
Kamilia Kard. Foto: Vasco Del Monte

KK. Non mi ricordo un momento vero e proprio nel quale ho deciso di utilizzare le nuove tecnologie, è stato piuttosto un percorso che mi ha portato a sperimentare nuove tecniche e ad analizzare nuovi linguaggi. Un viaggio che non considero concluso, e che continua a farmi volare tra differenti tecniche artistiche, da quelle digitali e ultra contemporanee a quelle tradizionali. Se proprio dovessi individuare un momento rappresentativo che segni il mio passaggio alle nuove tecnologie, direi che è stato l’interesse per il coinvolgimento dello spettatore nella pratica artistica. Questo interesse mi ha portato a ipotizzare opere come siti web, progetti collaborativi, filtri di realtà aumentata e ambienti virtuali. In lavori di net art come Free Falling Bosch (2014) e My Love is so Religious (2015), il visitatore scorre diversi scenari e composizioni attraverso un semplice click; in Best Wall Cover (2012-2014), contribuisce in maniera creativa a un archivio online; in Loading Instructions (Mansplaining) (2021) interpreta il personaggio di un videogame. Un altro motivo che mi ha portato verso l’utilizzo delle nuove tecnologie è stato l’impatto sociologico che queste ultime riescono ad avere sulle persone e, di conseguenza, sull’arte. Lo studio della tecnica è dunque la conseguenza di una ricerca scientifica teorica che mi interessava portare avanti, e viceversa: la pratica mi porta molte volte ad approfondire teoricamente alcuni aspetti. Un esempio recente sono le mie riflessioni sull’AI in lavori come A Rose by Any Other Name (2021), dove attraverso la creazione di un modello 3D animato – e poi messo a disposizione su un sito internet per l’interazione – ipotizzo la difficoltà di lettura dell’intelligenza artificiale, immaginandola incapace di riconoscere forme ibride, come delle rose che si muovono come animali (pesciolini), che hanno un materiale simile alla pelle umana, sulla quale sono applicati dei tatuaggi girly, alcuni dei quali riportano la scritta “I’m a daisy”. Una confusione di forma, movimento, materiale e linguaggio che rende difficile per l’AI incasellare quello specifico oggetto seguendo specifici tag, dati e bias impostati a priori. La cosa invece buffa è che, se in un programma text to image venisse richiesta un’ibridazione di quel tipo, l’AI la farebbe senza problemi.

Il suo lavoro esplora la tematica della comunicazione online e su come queste connessioni abbiano influenzato le emozioni, i sentimenti e le loro percezioni. Secondo lei questo approccio diverso e sicuramente innovativo può ridefinire l’interazione nelle relazioni, sia online che offline?

Sì, senz’ombra di dubbio. L’utilizzo della comunicazione online e dei social network ha facilitato le relazioni interpersonali in termini di accessibilità e raggiungibilità, ma al contempo, la costante reperibilità delle persone ha introdotto una serie di nuove problematiche nei rapporti. Possiamo dire che si perde la testa se ci lasciano un “visualizzato” senza risposta per troppo tempo, per un pallino verde che ci segnala la presenza online di un utente, per un like di troppo sul profilo “sbagliato” e via dicendo. Viviamo in maniera molto intensa quello che accade sul nostro dispositivo. Si può arrivare a innamorarsi semplicemente scrivendo a una persona, anche senza averla mai incontrata, instaurando relazioni che spesso esistono più nell’immaginario di chi le vive: delle imaginationship. Poi, all’opposto, ci sono applicazioni che puntano alla facilitazione degli incontri dal vivo in maniera seriale. Queste applicazioni esprimono in maniera anche troppo evidente il ritmo accelerato di vita a cui siamo sottoposti, che ci porta ad avere continui inizi e perdite anche nelle relazioni sentimentali, e evidenziano una tendenza all’infinite scrolling o swiping, alla ricerca del prossimo match. Un gioco delle coppie simile a una slot machine su larga scala: “chissà se il o la prossimo/a sarà quello/a giusto/a”. E se non lo fosse, tanto meglio: il “caso umano” di turno verrà subito trasformato in meme con testimonianze social diffuse su altri social network. Comunque, anche l’incontro live procurato attraverso un’applicazione online ritornerà attraverso la condivisione dell’esperienza nella sfera online. Un amore egoriferito, conseguenza delle nuove forme di narcisismo fornite dall’iperconnettività. Non a caso, uno dei tag più frequenti nelle condivisioni online degli ultimi anni, quando si parla di relazioni fallite, è proprio “narcisismo patologico”, utilizzato e applicato a tutti e tutte e a tutto anche quando non ci sono i presupposti professionali o patologici per farlo. Yves Michaud, in Narcisse et ses avatars (2014), aveva anticipato e descritto il nuovo Narciso come una persona non più contenta di ammirare solo la sua immagine allo specchio, ma con un bisogno di condividerla e creare consensi intorno ad essa. Un Narciso piuttosto insicuro, direi. Ovviamente, ci sono anche relazioni che hanno esiti positivi – o almeno lo spero – ma queste non generano lo stesso eco di condivisione e consensi come accade per quelle tragiche e cringe, più adatte a diventare virali, a generare visualizzazioni e meme. In questo senso si confonde la figura del Narciso con quella della vittima; entrambi si comportano allo stesso modo. Uno dei miei ultimissimi lavori performativi del ciclo Toxic Garden (2022-2024) – lavoro il cui tema è quello delle relazioni tossiche – dal titolo Narcissus and Love in the Mist (Narciso e la damigella scapigliata) parla della relazione impossibile tra una persona dal forte ego, concentrata solo su se stessa, e una persona introversa e debole, dipendente dall’affetto altrui. Questa performance unisce la danza nel metaverso con quella in scena (a teatro), creando un dialogo coreografico tra avatar-spettatori-danzatori online e danzatrici sul palco. Una relazione che si svolge dunque su due piani: quello online e quello live. In questo lavoro ho usato due fiori, il narciso e la damigella scapigliata, per rappresentare i soggetti in scena. Il fiore di narciso, per ovvi rimandi mitologici di comportamento, e la damigella scapigliata, perché è un fiore la cui corolla dai petali blu sta chiusa, avvolta dalle foglie simili a piccole reti aghiformi, e si apre solo grazie all’ausilio di un insetto che viene a sollecitarla. Questa scelta floreale è una metafora di due atteggiamenti umani diversi, entrambi da considerarsi problematici.

Kamilia Kard, Woman as a Temple (2016-2021), Marsèll Milano. The Edge Effect curata da Chiara Bardelli Nonino e Jordan Anderson. Foto:  Lorenzo Capelli
Kamilia Kard, Woman as a Temple (2016-2021), Marsèll Milano. The Edge Effect curata da Chiara Bardelli Nonino e Jordan Anderson. Foto: Lorenzo Capelli
Kamilia Kard, Toxic Garden - Narcissus and Love in the Mist (2024), Parco della Musica, Roma per il Rome Videogame Lab 
Kamilia Kard, Toxic Garden - Narcissus and Love in the Mist (2024), Parco della Musica, Roma per il Rome Videogame Lab 
Kamilia Kard, Toxic Garden - Narcissus and Love in the Mist (2024), Parco della Musica, Roma per il Rome Videogame Lab 
Kamilia Kard, Toxic Garden - Narcissus and Love in the Mist (2024), Parco della Musica, Roma per il Rome Videogame Lab 
Kamilia Kard, A Rose by any Other Name (2021), Spazio Vitale, Verona. Per Speculum. Intelligence and Its Double curata da Domenico Quaranta
Kamilia Kard, A Rose by any Other Name (2021), Spazio Vitale, Verona. Per Speculum. Intelligence and Its Double curata da Domenico Quaranta
Kamilia Kard, Loading Instructions Mansplaining (2021), Careof Milano. A Visual Threesome curata da Giada Pellicari con Marta Bianchi
Kamilia Kard, Loading Instructions Mansplaining (2021), Careof Milano. A Visual Threesome curata da Giada Pellicari con Marta Bianchi
Kamilia Kard, Loading Instructions Mansplaining (2021), Careof Milano. A Visual Threesome curata da Giada Pellicari con Marta Bianchi
Kamilia Kard, Loading Instructions Mansplaining (2021), Careof Milano. A Visual Threesome curata da Giada Pellicari con Marta Bianchi

Se pensiamo a Compulsive Love, Belladonna Be Careful o Falling Love, queste opere hanno tutte un interesse comune: il corpo femminile, l’amore, i sentimenti e le emozioni. Da dove nasce la necessità di parlare di questi temi?

Molto spesso affronto il tema dell’amore in forma esplicita e centrale o come sottotraccia secondaria. Ad esempio,in A Rose by Any Other Name, il titolo è una celebre citazione tratta dalla tragedia shakespeariana Romeo e Giulietta, una delle storie d’amore (tossiche) per antonomasia. Sempre in quel lavoro, le rose assumono delle gestualità affettuose scambiandosi “baci” e tenerezze. Dunque, benché la riflessione principale di quel lavoro fosse un’altra, l’amore è uno dei temi ricorrenti che inserisco quasi sempre nei miei lavori; la stessa cosa succede con la ricerca sul corpo femminile e la condizione della donna. L’installazione video Compulsive Love (2019), realizzata site specific per EP7 Paris, esalta l’idea di un amore estremo, impossibile e dannoso. In questo lavoro cito per la prima volta Romeo e Giulietta rimediato e ricontestualizzato da Baz Luhrmann nel famoso film cult Romeo + Juliet (1996). In poche parole, creo una composizione di frame del film ai quali applico degli effetti glitter; questi ultimi sottolineano le espressioni di disperazione dei due protagonisti e la strumentalizzazione dell’amore, visto come arma, narcotico o espressione capitalistica. Di questo lavoro esiste anche il filtro facciale di Instagram che applica alle persone che lo utilizzano dei glitter che seguono il percorso di lacrime del primo piano di Leonardo Di Caprio, quando pensa che la sua Giulietta sia morta. Il filtro è una chance di condivisione di massa della propria immagine e di uno stato d’animo legato al fallimento di un amore dai toni luccicanti, come l’impossibilità di un amore disinteressato verso il prossimo. Nel filtro facciale Falling Love (2021), invece, utilizzo l’istruzione send a kiss come gesto fondamentale per riuscire a giocare al videogioco. In questo filtro AR, l’azione di mandare un bacio – spesso associata alla sfera affettiva – diventa un atto meccanico per riuscire a vincere i punti love. Qui l’amore viene quantificato in un punteggio e la gestualità sentimentale viene utilizzata come trigger dell’esperienza, in un tentativo di comprendere come le nostre espressioni ed emozioni vengano sfruttate e archiviate per meglio profilarci e proporci contenuti personalizzati. Una sorta di mirroring continuo che alimenta e favorisce le varie nuove forme di narcisismo online. Il dittico video Belladonna Be Careful (2022) è composto da due fiori di bella donna realizzati in 3D che ruotano su due sfondi di colori diversi: uno blu e l’altro rosa. Due facce dello stesso amore-persona: una positiva, dai colori realistici e naturali, su sfondo blu, l’altra velenosa, dai colori cangianti e innaturali, addolcita da uno sfondo rosa. Due aspetti dell’amore associati alla figura fragile e pericolosa della bella donna.

In che modo la società contemporanea influenza il modo in cui rappresenta i temi nelle sue opere?

Da sempre mi piace osservare il comportamento delle persone, cercando di definirne ripetizioni, eccessi, insicurezze e via dicendo. La condivisione online di massa di contenuti disparati, dal selfie allo statement, dal link alle sessioni di gioco agli stati d’animo mi da la possibilità di soffermarmi a studiare certe attitudini su larga scala. Generalmente osservo i fenomeni che avvengono sulla rete, cercando di andare a capire poi come questi creino un entanglement nel vissuto non online e non digitale.

Il suo ultimo e attuale ciclo di opere è legato al mondo vegetale e all’amore tossico. Come spiega questa scelta?

Toxic Garden – che ho citato brevemente prima – è un progetto che unisce videogame e arti performative all’interno di un metaverso creato da me e composto da fiori velenosi. In questo contesto ho utilizzato la metafora delle piante tossiche per esprimere dei comportamenti umani dannosi verso gli altri. Ipotizzando una sorta di rimasuglio ancestrale di componente vegetale che influenza l’essere umano quando si sente attaccato o che si attiva senza motivo. Questa mescolanza tra vegetale e umano viene ripresa negli avatar dell’ambiente che sono degli ibridi tra piante e rappresentazione umana stilizzata blocky. Questa forma di ibridazione nasce dall’esigenza di abbattere le barriere di genere e razza, favorendo il più possibile l’inclusività e la creazione di una community che rifletta sul tema delle relazioni tossiche online e offline. Le piante tossiche, oltre a rappresentare i giocatori-attori che prendono parte alla performance (o che entrano nella parte del gioco che rimane pubblica anche quando non c’è la performance), formano anche il giardino principale del metaverso; a ognuna di queste piante sono associati dei mini giochi ispirati alla nocività della pianta. In questo contesto, l’insieme delle piante convertite in infrastrutture sulle quali l’avatar può arrampicarsi, giocare e danzare, rappresenta l’architettura sociale, contenitore e artefice di tutta una serie di sentimenti e emozioni espresse nel mio progetto sotto forma di emotes: delle piccole animazioni dell’avatar che esprimono uno stato d’animo - strumento molto comune nei Massively multiplayer online (MMO). Per creare le emotes del giardino tossico ho collaborato con 4 danzatrici, le quali dopo aver riflettuto sul tema delle relazioni interpersonali dannose hanno individuato con me una serie di parole chiave che sono diventate dei trigger per la creazione del passo di danza e allo stesso tempo il nome testuale della emote a disposizione nel videogioco. Proprio durante il processo di cattura dei passi di danza con le danzatrice che ho realizzato utilizzando l’intelligenza artificiale (AI), ho avuto modo di osservare come gli errori dell’AI fossero una componente interessante del movimento e da questa riflessione, e dall’impiego dei modelli 3D delle piante tossiche che avevo modellato per Toxic Garden ho sviluppato il progetto HERbarium dancing for an AI, una performance che abbina danza dal vivo e proiezione e che è divisa in 3 atti: Love Potion, Death Potion e Dream Potion. HERbarium affronta i temi del ruolo della donna, della strega, delle relazioni sentimentali, del comportamento delle piante e dell’intelligenza artificiale. Infatti, il concept di HERbarium – Dancing for an AI nasce dall’associazione della donna come figura di strega – un’immagine secolare – e della AI come entità femminili, un tema ricorrente nella cinematografia, nella narrativa e nell’uso quotidiano, come dimostrano le assistenti vocali Siri e Alexa. In film come Her di Spike Jonze o Sim0ne di Andrew Niccol, l’AI viene raffigurata come femmina, e l’essere umano sviluppa una dipendenza tossica o subisce manipolazioni da parte di queste figure che si potrebbero definire delle “streghe digitali.” Queste entità sembrano avere il potere di far perdere il controllo agli uomini, che ne diventano succubi. La strega, storicamente, è stata sempre vista come una figura femminile malefica, capace non solo di creare sortilegi, ma anche di maledire l’uomo attraverso trasformazioni fisiche e la creazione di esseri deformi, in parte umani, in parte animali. Le piante velenose, legate alla stregoneria, venivano usate per produrre veleni, pozioni d’amore o sostanze allucinogene. Con HERbarium, ho voluto esplorare questo parallelismo immaginando le AI come moderne “streghe digitali” capaci di alterare le dinamiche emotive e manipolare la mente umana, utilizzando una nuova forma di potere che, proprio come i veleni di un tempo, ha la capacità di intossicare le relazioni e creare dipendenze psicologiche. In questa performance, la componente dell’errore della AI è fondamentale per il concept del lavoro. Infatti, questi errori di elaborazione del movimento si trasformano in una opportunità di apprendimento e di interpretazione di un’espressione del corpo che non esiste in natura, un movimento innaturale. É in questi sbagli di lettura dei gesti che l’AI manifesta la sua “creatività” nei passi di danza, si trasforma in coreografa manifestando una forma di autorialità. Nella libertà di movimento della AI e nell’idea dell’AI come strega in grado di creare ibridi tra differenti specie ho costruito la mia idea di movimento mediato dall’intelligenza artificiale come opportunità di incontro tra umano e tecnologia, tecnologia e vegetale, umano e vegetale. Sì, perché mentre le danzatrici imparavano la coreografia riproposta dall’intelligenza artificiale – ovvero comprensiva di tutti gli errori di movimento – non potevano fare a meno di seguire anche i movimenti delle piante (che a loro volta si muovevano con la stessa coreografia assegnata alle danzatrici, aggiungendo diversi errori dettati dalla loro natura di vegetale antropomorfo). Dunque, se alla fine le piante sullo sfondo si muovevano grazie al movimento umano mediato e trasformato in digitale tramite la AI, le danzatrici a loro volta danzavano una coreografia che racchiudeva AI e movimento vegetale. Il movimento mediato dalla AI e l’errore riprodotto diventano nel mio lavoro un importante fattore di collante tra umano, vegetale e digitale, creatore di un’incertezza ontologica che apre infinite possibilità verso una conoscenza più ampia, un avvicinamento verso il non umano; un elemento che crea un ibrido che sottolinea e da maggior valore al concept del progetto e all’idea di AI come strega. In conclusione, nel mio spettacolo si instaura un dialogo continuo tra la macchina e l’umano. Il processo inizia con le danzatrici che creano i passi, i quali vengono elaborati dall’AI. Quest’ultima, poi, restituisce alle danzatrici una nuova coreografia, generando un ciclo che arricchisce il movimento umano con una visione tecnologica. Non si tratta di rendere automatica la danzatrice o umanizzare la macchina, ma piuttosto di esplorare quel confine incerto tra i due, sfumando la dicotomia uomo-macchina e creando un corpo di ballo “vigital” (vegetale digitale) che amplifica questa interazione.

Kamilia Kard, Falling Love (2021), online su Instagram. Layers curata da Valentina Tanni
Kamilia Kard, Falling Love (2021), online su Instagram. Layers curata da Valentina Tanni
Kamilia Kard, HERbarium dancing for an AI - Love Potion, Torrione Visconteo, Parma. L'opera d'arte all'epoca della AI curata da Chiara Canali, Davide Sarchioni e Rebecca Pedrazzi
Kamilia Kard, HERbarium dancing for an AI - Love Potion, Torrione Visconteo, Parma. L’opera d’arte all’epoca della AI curata da Chiara Canali, Davide Sarchioni e Rebecca Pedrazzi
Kamilia Kard, HERbarium dancing for an AI - Death  Potion, Torrione Visconteo, Parma. L'opera d'arte all'epoca della AI curata da Chiara Canali, Davide Sarchioni e Rebecca Pedrazzi
Kamilia Kard, HERbarium dancing for an AI - Death Potion, Torrione Visconteo, Parma. L’opera d’arte all’epoca della AI curata da Chiara Canali, Davide Sarchioni e Rebecca Pedrazzi
Kamilia Kard, Toxic Garden Dance Dance Dance (2022), online su Roblox per Residenze Digitali 2022 curata da Federica Patti, Anna Maria Monteverdi, Kilowatt Festival, Roma Europa Festival e Lavanderia a Vapore 
Kamilia Kard, Toxic Garden Dance Dance Dance (2022), online su Roblox per Residenze Digitali 2022 curata da Federica Patti, Anna Maria Monteverdi, Kilowatt Festival, Roma Europa Festival e Lavanderia a Vapore 
Kamilia Kard, A Love Story Like Many Others - The Attachement (2024), digital render
Kamilia Kard, A Love Story Like Many Others - The Attachment (2024), digital render

La Sua arte non è solo visiva, ma anche immersiva. Quale necessità la spinge a voler interagire con il pubblico?

Mi piace rendere lo spettatore protagonista dei miei lavori, nel bene e nel male. Lo faccio attraverso la simulazione del videogioco, le grandi proiezioni, la richiesta di partecipazione in performance online oppure, come spiegavo all’inizio dell’intervista, coinvolgendolo con un semplice click. La negazione del punto di vista unico e centrale dell’artista in alcuni casi, e la sperimentazione diretta di una determinata sensazione sono due dei motivi principali che mi portano a coinvolgere il pubblico in prima persona. In Toxic Garden Dance Dance Dance (2022), performance partecipativa su Roblox, lo spettatore avatar ad un certo punto balla la stessa coreografia che danzano gli altri avatar degli spettatori partecipanti alla performance. In questa uniformità di movimento, ambiente e customizzazione dell’avatar, ciò che rende l’esperienza dello spettatore veramente unica è il punto di vista, che non è vincolato dall’artista e monodirezionale. Lo spettatore vivrà l’esperienza in soggettiva o seguendo il suo avatar, potrà andare in giro e spostarsi nello spazio. Si perdono anche i vincoli teatrali di visione frontale dell’opera. Mentre in Loading Instructions (Mansplaining) (2021) cerco di far esperire attraverso la simulazione del videogioco uno specifico stato d’animo legato al concept del lavoro, il senso di disfatta di chi si trova a combattere contro il muro di gomma di una società maschilista, in cui la donna perde anche quando vince o è dotata di una evidente superiorità.

In che modo la sua arte, che combina estetiche come quelle kawaii e modelli curvy, riesce a dialogare con il pubblico di oggi?

In un’epoca dominata dal kawaii – o cute – e dal potere che questa estetica incerta esercita sulla società contemporanea, il mio lavoro affronta spesso tematiche importanti, come le relazioni tossiche e il mansplaining, con un’estetica che tende a alleggerire lo spettatore del carico dell’argomento, permettendogli di entrare in dialogo e di capire l’opera in maniera più efficace e fresca. Il carino perturbante è per me come una sorta di filtro rosa che via via sfuma nell’arancione applicato alla realtà. Qualcosa che mi attrae ma che mi spaventa anche. Da che io ho memoria, gli ultimi decenni sono stati dominati dall’estetica kawaii, in una sorta di monologo del cute. Hello Kitty è diventata ultraquarantenne, una gattina senza bocca dalle forme tondeggianti e gli occhi a puntino, il prodotto vincente della Sanrio che ha conquistato generazioni e generazioni in tutto il mondo. Ci sono delle forme e dei colori del cute che sono ricorrenti, come i colori pastello – a meno che non si parli di gothic kawaii – e come accennavo prima le linee dolci delle curve. I putti e gli angeli potrebbero essere una prima forma di cuteness ante litteram: quanti di noi andando agli Uffizi di Firenze non sono rimasti dolcemente e teneramente incantati a vedere lo sguardo triste e trasognante dell’angelo musicante (1521) di Rosso Fiorentino che suona un liuto più grande di lui? Cos’è che coinvolge lo sguardo e lo spirito così tanto? È il confine di incertezza che crea il contrasto tra le forme morbide dell’angelo, forme in questo caso associate alle proporzioni buffe della figura del bambino, e il suo atteggiamento, la sua espressione triste a rendercelo così piacevolmente nostalgico e carino. Le generazioni contemporanee sperimentano un continuo stato di incertezza e precariato spalmato su più livelli; la diffusione del cute su così larga scala ne è una grande espressione, o forse un rifugio. In lavori come Woman as a Temple (2014-2021), in cui esalto le forme curve delle donne, celebrandone la bellezza materna universale, uso una tendenza al cute. Infatti le mie sculture hanno colori molto comuni nell’estetica Kawaii, così come delle forme ricorrenti. A prima vista le persone che vedono le mie sculture le vogliono toccare, alcuni abbracciare. Cercano un contatto nonostante di fatto siano corpi di donna senza gambe, braccia e testa, una cosa che dovrebbe essere mostruosa. Oppure è il caso del sopra citato Toxic Garden, in cui l’estetica cute degli avatar dalle forme cubiche arrotondate e l’ambiente colorato sono un trionfo del cute, che cela invece una tematica difficile e complicata come quella delle relazioni tossiche. Come Hello Kitty, gli avatar di Toxic Garden hanno solo gli occhi (dai diversi colori fluo), realizzati come semplici e piccoli ovali con un bagliore intorno.

Sebbene il rosa sia il colore predominante dei suoi lavori, amori tossici, superiorità della donna, erotismo e glitter fanno parte del suo percorso artistico. Cosa la spinge a rappresentare mondi così colorati e atmosfere dreamy che in realtà nascondono messaggi ben più profondi?

Come accennavo sopra, questa scelta deriva dalla volontà di mandare un messaggio importante, talvolta problematico, in maniera semplice. Cerco di fare riflettere il pubblico senza appesantirlo ulteriormente con estetiche strazianti. Loading Instructions (Mansplaining) (2021) ne è un esempio. Questo lavoro è un video machinima girato all’interno di un videogame da me sviluppato, Zero EXPerience (2021). Il videogame è una singola scena di combattimento melee (corpo a corpo) nella quale una guerriera equipaggiata di spada e scudo rosa affronta un uomo completamente disarmato e in mutande. Nonostante la superiorità della donna in termini di abilità e equipaggiamento, l’uomo in mutande vincerà sempre. Il machinima usa il linguaggio gaming delle istruzioni di gioco presenti negli RPG: mentre aspetti che il gioco si carichi appaiono delle immagini statiche o con una minima animazione accompagnate da consigli o istruzioni utili allo svolgimento del gioco, inserite come sottotitoli. A metà strada tra ironia e denuncia, Loading Instructions (Mansplaining) mette in sequenza frasi tipiche del “mansplainer” sotto forma di consigli e suggerimenti per soddisfare il suo gioco. Alcune delle frasi inserite nel video sono risposte a una call sul mansplaining che avevo postato nelle storie di Instagram. Il lavoro esprime lo stato di impotenza e vulnerabilità psicologica in cui le donne vengono spesso confinate, in ambito lavorativo e non.

In un mondo che vede la donna come oggetto del desiderio maschile, lei ha invertito il processo di mercificazione del corpo femminile. Come si avvicinano le sue Veneri a quelle dell’arte antica e in che modo possono entrare in relazione tra di loro?

La serie di sculture Woman as a Temple (2016-2021) riprende il corpo femminile voluttuoso della donna e lo mostra in tutta la sua naturalezza e statuarietà. Esse portano con sé tutta la sacralità e l’abbondanza tipica delle veneri paleolitiche ma si ridefiniscono nella mancanza degli arti e della testa. Diventano corpi anonimi, riconoscibili solo per la loro parte centrale senza caratteristiche somatiche, senza razza. Sono il centro della donna, imprescindibile e unico, la forza del suo essere matriarcale e la fonte della sua debolezza. Sono una esaltazione delle imperfezioni contemporanee, che sfida i canoni estetici contemporanei. Ma è anche un corpo molto stabile, da sicurezza è accogliente, un tempio. Ho scelto la stampa 3D per realizzare questo ciclo di sculture perché mi piace che si veda il layering della stampa, quei livelli di filamento sovrapposti mi ricordano gli strati della crosta terrestre e anche i cerchi dei tronchi degli alberi, come per queste due ultime cose quei segni indicano il ciclo di vita della scultura. Per questo motivo, non “correggo” le mie stampe, ma al contrario scelgo filamenti che esaltino volumi e difetti. Mi piace inoltre, che il corpo della donna mantenga gli errori del processo di stampa; segni che rappresentano da una parte i problemi che la scultura ha avuto durante la sua creazione, ma che dall’altra evocano le cicatrici visibili e invisibili che si accumulano nel corso della vita di una donna.

Qual è il fine ultimo della sua arte?

Mi piace osservare come alcuni fenomeni sociali influenzino il comportamento delle persone e cercare di interpretare queste influenze e condivisioni secondo il mio punto di vista e con la mia cifra stilistica. Ad esempio, ultimamente sto lavorando a una nuova serie di sculture realizzate con la stampante 3D dal titolo A Love Story as Many Others (2024). Questo progetto racconta come le relazioni sentimentali, che viviamo come uniche e speciali – nell’accezione positiva ma soprattutto negativa – in realtà siano dei cliché derivanti dal ripetersi dei comportamenti umani. Questa concezione viene esaltata e portata all’estremo tramite la condivisione sui social network di video, audio, screenshot di conversazioni di messaggistica, di vicende sentimentali amorose, un po’ per prendersi in giro, un po’ per cercare una comunità che condivida lo stesso vissuto. Molto spesso, quando un video ha l’audio giusto o il mood giusto, questo viene ricondiviso – o ripubblicato – come se fosse la propria esperienza, oppure reinterpretato dagli utenti stessi; mantenendo lo stesso audio e lavorando di lipsynch, oppure esplicitando con un testo la somiglianza, dando ulteriore tono di collettività alla vicenda, che assume via via caratteri di familiarità sempre più radicati nella nostra quotidianità. Partendo da queste osservazioni, ho scelto di modellare differenti torsi di donna per sottolineare la moltitudine corale di persone che vivono “la stessa storia d’amore cliché”, e le radici che le abbracciano e le imprigionano sono la traduzione visiva di hashtag e parole ricorrenti che molto spesso si trovano in queste condivisioni video, reinterpretate usando delle metafore: hashtag come #lovebombing o #ghosting, a cui ammiccano i nomi delle singole sculture. La donna, come ho sottolineato prima, è sempre al centro della mia indagine e, benché ci siano anche molti video di uomini che affrontano gli stessi temi dalle loro prospettive, ho scelto di focalizzarmi, come sempre, sul vissuto femminile.


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Noemi Capoccia

L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia

Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.



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