Stefano Russo (1969), di origini siciliane, è uno dei più importanti designer di moda italiani (è specializzato nell’eyewear, ha lavorato per Celine, Prada, Miu Miu e attualmente è designer per Louis Vuitton) ma è anche un artista che da tempo porta avanti una ricerca che si ispira alla scienza, alla multisensorialità, alla fisica quantistica. Al momento le sue opere sono esposte a Pietrasanta, presso lo spazio The Project Space, per la mostra The Space in Between: Evolution of Consciousness. Abbiamo raggiunto Russo e con lui parliamo delle sue opere. L’intervista è di Federico Giannini.
FG. Ci parli del suo lavoro alla mostra Space in Between.
SR. L’idea di questo spazio di mezzo nasce dalla volontà di creare uno spazio neutro in cui le energie possano interagire liberamente. Le opere esposte trattano principalmente del bilanciamento. La prima, intitolata come la mostra, Space in Between, rappresenta il punto di equilibrio e di bilanciamento tra opposti. La seconda opera si chiama Harmony Union e lavora sulla connessione tra tutte le cose: ci dà la possibilità, attraverso la connessione con queste sculture (che per me non sono sculture, ma strumenti percettivi), di prepararci alla terza fase, Power Connection. La Power Connection è quando le punte delle opere, che inizialmente lavorano verso l’interno di noi, si spostano verso l’esterno, e il raggio di luce connette ogni cosa che ci circonda. Il punto fondamentale è che esiste una sottile relazione tra noi e le energie che ci circondano. Ho sempre cercato di creare un punto di bilanciamento tra gli oggetti che indossiamo e gli oggetti che viviamo, come sculture o fotografie, e la nostra energia, perché tutto ciò che ci circonda è connesso con noi e con l’universo intero. È importante lavorare su questa unione energetica con la giusta frequenza per modulare le energie. C’è poi un’altra parte della mostra, Dancing Photons, che presenta fotografie realizzate con una tecnica di deformazione dello spettro, che va dall’infrarosso all’ultravioletto, modulate a 432 Hertz di suoni, per far sì che ci ricordino e ci ispirino in relazione alle nostre emozioni, ai nostri sentimenti, al nostro vivere quotidiano. La terza sezione, Mirror of Perception, include tre specchi: uno rosso, che rappresenta il mondo che ci circonda; uno verde, che simboleggia la nostra centratura nella presenza; e infine quello viola, che rappresenta la spiritualità, che viene amplificata. Per raggiungere una maggiore consapevolezza spirituale, è necessario entrare nel riflesso dello specchio e riconoscere la nostra parte invisibile. L’ultima fase di Space in Between è il Bazooka Light, concepito diversi anni prima, per creare uno strumento di terrore e paura e rivoltarlo verso la luce lavorando sulla potenza del fotone, e quindi su come le nostre cellule vengano nutrite attraverso la luce e il suono, e questo ce lo dimostrano gli studi degli anni Sessanta di Fritz-Albert Popp. La mostra vuole essere un’ispirazione, una trasformazione di coscienza, in quanto sento che la cosa più importante oggi sia un risveglio, ma un risveglio di coscienza più che di altro.
Perché definisce le sue opere strumenti percettivi?
Le mie sculture, più che sculture, sono strumenti percettivi in quanto per me oggi l’oggetto in sé ha una valenza energetica. E se questo oggetto, che in questo caso diventa uno strumento e per alcuni diventa una scultura, ha il potere di essere percepito, di essere sentito energeticamente, perché va in linea con le proprie frequenze, le vibrazioni fluiscono: quindi è importante circondarsi di oggetti risonanti per poter avere un’esistenza in armonia.
Le sue sculture sono state definite anche come elevatori di coscienza. Ad ogni modo, per attivare questa risonanza energetica tra opera e osservatore, che tipo di scambio dovrebbe esserci, appunto, tra la scultura e chi la osserva?
Lo scambio tra il pubblico e la scultura stessa (o lo strumento) diventa un’interattività invisibile: infatti io ho lavorato con queste punte che creano uno spazio di mezzo, che secondo le filosofie orientali e buddhiste è lo spazio di bilanciamento tra gli opposti. Sono sempre stato affascinato su tutto ciò che lavora su questo punto di bilanciamento. Non esistono estremi. Questo punto di bilanciamento è essenziale: al mattino, passo attraverso tre strumenti - il primo è il bilanciamento degli opposti, il secondo è armonia e connessione attivando il magnetismo del cuore e l’elettricità del cervello nel trovare un punto che diventa intenzione e intuizione, per poi arrivare alla terza fase, quella della Power Connection, in cui le punte si trasformano, siamo interattivi verso l’esterno e connessi con tutte le informazioni possibili e immaginabili.
Lei è convinto che l’arte possa trasformare il mondo. Cosa significa e in che modo lo fa?
L’arte ha il potere di trasformare il mondo ma non è una cosa che parte da me, è sempre stato così. Nasce proprio come liberazione dell’essere umano per testimoniare il momento storico che ha vissuto, ed è stato sempre quel momento di passaggio culturale sempre avanti a tutte le altre situazioni politiche, scientifiche, culturali del tempo. Io non mi reputo un artista (per me già la classificazione di un essere umano, ovvero quando gli si dice “sei un artista”, “sei un designer”, “sei un essere umano”, è solo ed esclusivamente una scatola su cui la società ci mette, per me non c’è separazione), ma un creativo, uno spirito libero. La creatività non nasce per fini egoici, ma nasce dall’essenza, ed è per questo che voglio condividere questo spirito trasformativo nella ricerca di se stessi. Per me questi strumenti, o sculture come si vogliano chiamare, sono un mezzo per trovare se stessi, interagire con gli altri esseri umani, essere più centrati.
Le sue opere denotano un interesse per la scienza. Da dove nasce?
Il mio interesse per la scienza, in particolare per la fisica quantistica, è sempre stato presente. Ho sempre studiato la fisica quantistica e le relazioni tra le particelle. Mi hanno sempre affascinato le nuove scoperte scientifiche: per me sono una fonte di ispitazione e la partenza di ogni mio progetto. Per me una lettura scientifica apre un orizzonte: mi immagino degli strumenti, delle sculture, degli oggetti, una foto. Mi rende vivo e giustifica anche quello che faccio, e dando un pizzico di anima alla scoperta scientifica. Per esempio, leggendo per la prima volta Dirac, sono stato affascinato dall’entanglement di Dirac, due particelle che vengono a contatto anche se una delle due si trova dall’altra parte del mondo, con un movimento che comunque influenza l’altro: e lo trovo affascinante perché siamo energia e comunichiamo gli uni con gli altri.
I Suoi lavori sono in acciaio e marmo. Perché ha scelto questi materiali?
Le tre sculture sono in marmo e acciaio in quanto sono state ispirate dalla materia fondamentali del posto. Pietrasanta è un luogo d’arte che esprime marmo ovunque, quindi il marmo dopo un po’ comincia a diventare parte della tua famiglia ispirativa. L’acciaio fornisce sostegno e consistenza atemporale.
C’è qualche ispirazione particolare che si può ritrovare in queste opere?
Oggi viviamo in un mondo connesso. Siamo connessi sia attraverso la digitalizzazione, sia fisicamente, quando interagiamo con tutto ciò che ci circonda, con un mondo che ci tempesta di informazioni. È normale che quando poi creiamo, ognuno di noi è come se la mia creazione sia piccola parte delle creazioni degli altri. E quindi alla domanda probabilmente vengo ispirato giornalmente da tutto ciò che mi circonda e da tutti gli artisti contemporaneamente proprio per la legge della connessione: siamo tutti una grande foto, siamo tutti un grande immaginario.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).