Il gallerista Roberto Casamonti ha dedicato quasi tutta la sua vita alla scoperta e all’incoraggiamento di artisti visionari e la sua galleria Tornabuoni, fondata nel 1981 a Firenze, è diventata una tappa imprescindibile per gli amanti dell’arte, esponendo opere dei maestri del Novecento e del dopoguerra. Un uomo, Casamonti, dalla profonda sensibilità e dall’inesauribile passione per l’arte e la cui dedizione al lavoro si è dimostrata instancabile, sfidando alti e bassi, ma rimanendo una salda e vivida testimonianza di come la perseveranza e l’amore per ciò che si fa possano essere fonte di gratificazioni nel corso del tempo. Parlando dell’arte contemporanea, il gallerista rivela il suo sguardo acuto nell’individuare l’innovazione e la necessità per gli artisti di abbracciare il nuovo, creando opere che rappresentino un autentico passo avanti nel panorama artistico. La sua ricerca di opere di rara qualità e bellezza lo ha spinto a mantenere gli occhi aperti a idee diverse e uniche, simili a quelle che portarono grandi maestri come Fontana e Burri a rivoluzionare il mondo dell’arte.
FG. La galleria Tornabuoni è attiva dal 1981 ed è emersa nel mondo dell’arte, riuscendo a fare la storia esponendo opere di grandissimi maestri del Novecento e del dopoguerra. Partendo da Firenze, passando per Parigi e Londra, arriva a Roma. È un traguardo di cui essere estremamente orgogliosi.
RC. Sono convinto che la dedizione al lavoro, alla lunga e nonostante i suoi alti e bassi, ripaghi sempre. Ho lavorato dal 1981 fino ai giorni nostri senza mai arrendermi e solo ora mi accorgo quanto il tempo passi velocemente e come ci si ritrovi a invecchiare senza nemmeno rendersene conto. Invecchio, sì [ride], ma sempre con un’inimmaginabile passione e amore per quello che faccio. Ciò che mi ha sempre difeso e aiutato nella vita è stata anche la competenza per l’arte dal XX secolo in poi, ma soprattutto la gioia che mi pervade quando scopro un bel quadro. Quando capita mi sento al settimo cielo proprio perché trovo sia estremamente difficile scoprire opere di rara qualità e bellezza. Siamo arrivati a Roma partendo dalla galleria fiorentina alla quale sono particolarmente legato perché sussurra ai passanti che la città non è fatta solamente di arte antica e rinascimentale, ma riesce a guardare con curiosità al futuro e si ritrova in costante evoluzione.
In una video-intervista per Finestre sull’Arte disse di saper riconoscere un artista con un talento da colui che, purtroppo, non ne ha. Partendo da questo, cosa vede nel panorama artistico attuale? Ha trovato qualche innovatore?
Quasi ogni giorno nella mia galleria si presentano nuovi artisti che vorrebbero lavorare con me e ormai credo di saper riconoscere l’innovazione: l’arte deve essere sempre un passo in avanti, non deve tornare indietro. Un buon artista dovrebbe conoscere la storia e tutto ciò che è stato fatto finora perché, solamente in questo modo, si possono fare degli impercettibili passettini in avanti e creare qualcosa di nuovo. Per esempio, se vedo un artista odierno che somiglia a un altro di cinquant’anni fa, per me è solo tempo perso, ma se domani arrivasse un artista che non somiglia a niente ed è solamente se stesso in tutta la sua innovazione, allora questo è un buon artista e io ne sono estremamente orgoglioso. Così mi ritrovo sempre a cercare persone con idee diverse come le ha avute Fontana che buttava semplicemente delle pietre sulla tela, ma ancora Burri che utilizzava i sacchi che si rivelarono un mezzo espressivo potentissimo e nuovo nella sua estrema banalità, al quale ancora nessuno aveva pensato. Cerco e amo questo, ma mi rendo conto quanto sia difficile.
Quali sono i suoi pensieri sulla scena artistica italiana rispetto a quella internazionale e come sta cambiando ed evolvendo il rapporto tra le due?
Credo che non si possa più parlare di una scena artistica italiana distinta da quella internazionale. Oramai sono legate e aggrovigliate tra loro e a me interessa solamente che un artista sia capace di andare avanti, creare qualcosa di nuovo. Questo è ciò che importa veramente anche perché più passa il tempo e più vedo gli artisti tornare indietro, somigliare a Tancredi, Burri Fontana o Picasso, ma loro hanno inventato già qualcosa di importante, erano andati avanti, ma la loro imitazione è qualcosa di già visto. Quindi, secondo me, essere un buon artista è indipendente dalla bandiera che porti, l’importante è che egli conosca la storia e la stravolga. L’arte è molto simile alla medicina in questo: durante i secoli si fanno delle scoperte che portano a curare sempre più persone e sempre più malattie e l’artista dovrebbe comportarsi allo stesso modo studiando e salvando sempre più persone da mali sempre diversi e con idee altrettanto innovative.
L’arte contemporanea spesso esplora temi sociali e politici complessi. Come si approccia alle opere d’arte che affrontano questioni sensibili o controverse? Ha mai affrontato delle critiche o dei dibattiti riguardo alle opere d’arte che ha scelto di esporre?
Non ho mai affrontato dibattiti o critiche pesanti sebbene nella mia galleria si possa trovare ogni idea politica, ogni verità personale e io sono qui per rispettarle e non per giudicarle o imporre il mio pensiero. Guttuso, per esempio, ha sempre toccato la politica schierandosi pesantemente ed è giusto che un artista faccia sempre ciò che sente e che scelga le sue battaglie. Quello che a me interessa è solamente capire se quell’artista possiede le capacità e la forza espressiva per rappresentare le proprie idee anche se queste sono politicamente opposte alle mie.
La tecnologia ha avuto un impatto estremamente significativo sulla creazione dell’arte contemporanea. Come vede il ruolo delle nuove tecnologie nel contesto dell’arte? Vede potenziali opportunità nell’utilizzo di tecnologie come la realtà virtuale nella produzione artistica?
Sono estremamente interessato a tutto ciò che i nuovi mezzi di comunicazione possono offrire agli artisti e se aiutano a creare qualcosa di innovativo ben venga. Ammiro Plessi che ha molto a che fare con gli schermi televisivi dove al loro interno inserisce il fuoco, l’acqua e altri elementi precari e distruttivi. Apprezzo moltissimo il suo modo di lavorare, ma anche quello di Bill Viola. Ormai i televisori vengono adoperati nel mondo dell’arte già dagli anni settanta e all’inizio, come ogni cosa, erano una tecnologia nuova e venivano utilizzati da pochi. Plessi e Viola hanno successo oggi proprio perché ebbero il coraggio di proporre delle cose nuove per primi. Sono convinto anche che non si debba cercare l’innovazione tramite il mezzo utilizzato, ma bisogna partire sempre da una bella idea perché se questa non funziona crolla tutto. Una volta che l’artista compie questo primo salto deve anche avere la forza di far accettare le proprie idee al mercato. Sembra una banalità, ma a creare un quadro che sia esteticamente bello siamo capaci tutti, mentre avere idee che funzionano e inseguirle con caparbietà non è da chiunque.
Cosa l’ha spinta, invece, ad aprire le sue collezioni al pubblico?
Questo è stato un desiderio che ho sempre avuto. Sono figlio di un collezionista e fin da piccolo mi appassionai talmente tanto a questo mondo che non potevo tenerlo segreto e nascosto, ma sentivo la necessità di condividerlo. Ho ammirato per anni mio padre Ezio scegliere opere di artisti quali Casorati o Soffici e, lentamente, ho imparato questo lavoro muovendo i miei primi passi tra Guttuso o Mafai, per arrivare alle diversissime opere di Fontana e Burri. Il mio lavoro non si riassume solo nell’atto di comprare e vendere, ma soprattutto nell’ammirare e condividere. Ecco perché aprii la mia collezione di Firenze: perché questa città bellissima e antica è anche estremamente vitale e contemporanea. Sarebbe stato egoista tenere tutta questa bellezza unicamente per se stessi.
Qual è stata l’opera d’arte che personalmente ha trovato più sfidante o controversa e che, nonostante tutto, ha scelto di aggiungere alla sua collezione?
Ogni opera è come un figlio per me e ognuna è controversa e sfidante a modo suo. Si tratta di un innamoramento immediato e completo e non posso dire di amarne uno più degli altri. Li amo tutti e con le proprie caratteristiche differenti: c’è un Basquiat strepitoso di due metri e venti per due metri con lui fotografato proprio lì davanti e questo vale senza dubbio una visita nella mia collezione, un Pistoletto del ‘62, un Tutto di Boetti di sei metri. Ogni opera racconta qualcosa di me e rappresenta il mio vissuto, sceglierne una su tutte significherebbe scegliere una parte di me.
Con quali, tra gli artisti che ha conosciuto, si è sentito più affine?
Ho conosciuto tantissimi artisti e per questo trovo molto difficile rispondere a questa domanda, ma ci proviamo. Sono stato amico di Piero Dorazio e l’ho sempre stimato per essere un uomo di grandissima cultura che creò opere meravigliose, il cui lavoro è pienamente riconosciuto solo oggi. Non ho conosciuto personalmente Fontana anche se ammetto che sarebbe stato spettacolare, ma ho conosciuto la moglie che era una donna squisita e ho prestato tanti Fontana per varie mostre. Stimo infinitamente il lavoro di Fontana. Ho conosciuto anche Emilio Vedova che non era un uomo normale e riusciva a insegnarti sempre qualcosa, possedeva una cultura inimmaginabile. Alla fine, se si è pronti ad ascoltare e a tendere l’orecchio, tutti gli artisti possono insegnare moltissimo proprio perché hanno una sensibilità diversa e quasi sempre una cultura immensa.
Alcuni critici sostengono che il mercato dell’arte contemporanea sia diventato troppo commerciale e che metta in secondo piano il valore artistico delle opere. Mi vengono in mente nomi come Thierry de Duve, critico d’arte belga, che ha analizzato il crescente dominio del mercato dell’arte e l’impatto che ha avuto sulla percezione dell’arte contemporanea, Julian Stallabrass che ha criticato la sua eccessiva mercificazione e il suo allontanamento dai valori artistici e culturali. Ma ancora Boris Groys, filosofo e critico d’arte russo, che ha sollevato domande sulla natura capitalistica dell’arte. Qual è la sua opinione su questo argomento e come equilibra la componente commerciale con “l’integrità” artistica nella sua collezione?
Hanno ragione! La penso anch’io così, oggi l’arte è eccessivamente commerciale e quando è così non bisogna fidarsi troppo. Penso che moltissimi artisti oggi siano decisamente pompati. Diciamo che essi vengono spinti dalle aste con delle valutazioni esagerate e inumane che non corrispondono alla realtà. L’artista deve amare il proprio lavoro e poi il risultato viene, ma non si dovrebbe anelare a quelle cifre eccessive, perché così facendo il lavoro è snaturato. Il mercato insegna che ci sono tempi bui e tempi prolifici, ma è la storia che esalta i grandi e taglia fuori i mediocri, non il mercato. È il tempo ad essere l’ago della bilancia. I critici a cui Lei si riferisce hanno ragione e bisogna essere molto attenti a comprare solo con la tasca, perché primo fra tutti deve esserci il cuore. Questo mio pensiero è palpabile per chiunque venga a visitare in Firenze la mia collezione d’arte dove ho scelto di rivelare circa 180 pezzi, non in vendita, che sono parte integrante della mia storia. Spero che la mia collezione verrà apprezzata anche con lo scorrere del tempo e che sopravviverà alla storia. Inoltre, invito gli appassionati d’arte a visitare le mie gallerie nelle loro sedi istituzionali di Firenze, Milano, Roma, Parigi, Crans Montana e Forte dei Marmi.