Giulio Paolini (Genova, 1940) è protagonista di una nuova mostra alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli: intitolata Fuori quadro, la rassegna espone otto lavori, di cui quattro realizzati per l’occasione, assieme a diversi collage inediti. Le opere in mostra entrano tutte in rapporto con la storia dell’arte, da Policleto a Manet, da Watteau a De Chirico. Con l’obiettivo di far emergere frammenti del passato che siano ancora significativi per l’arte di oggi. Gli abbiamo rivolto alcune domande. L’intervista è di Federico Giannini.
Giulio Paolini |
FG. Come spesso accade nella Sua arte, sono diversi i riferimenti alla storia dell’arte. Con le Sue opere vuole dimostrarci che dall’arte del passato continuano a emergere significati validi per il presente e per l’arte contemporanea. Qual è il Suo rapporto nei confronti dell’arte del passato?
GP. La verità è (se di verità si può ancora parlare) che l’arte del passato non è ancora e non sarà mai “passata”. Il dilemma, l’enigma è dove e come si nasconda il nesso che ogni volta potremmo rintracciare tra un’opera e l’altra, o meglio ciò che si inoltra senza mai smentirsi lungo la linea continua della Storia.
Lei si dichiara “prigioniero di un inventario di figure”, e dice che i classici “avevano un atteggiamento particolare con le immagini: più che proporle, le aspettavano, a una certa distanza”. Anche per Lei dunque si tratta di un’attesa distaccata?
Proprio così: l’immersione continua nell’universo delle immagini non esclude, anzi procura, un certo distacco. Non mi sento tanto un artefice in preda alla creatività e all’ispirazione, ma una figura in discreta attesa della decantazione delle immagini.
Tra i Suoi lavori nuovi figurano alcuni collage su Pompei, in cui Lei realizza un ritratto del sito archeologico, e afferma che “classico è distanza, antico è lontananza”, e che l’antico non può essere avvicinato. Quale differenza ravvisa dunque tra “classico” e “antico”?
Più che una differenza è una parentela “acquisita” tra due soggetti: uno, l’antico, distaccato e più austero; l’altro, il classico, più sereno e discorsivo. Entrambi sempre presenti e comunicativi.
Giulio Paolini, Fuori quadro, veduta parziale della mostra, marzo 2021, Alfonso Artiaco, Napoli. Foto: Grafiluce |
Giulio Paolini, Fuori quadro, veduta parziale della mostra, marzo 2021, Alfonso Artiaco, Napoli. Foto: Grafiluce |
Giulio Paolini, Fuori quadro, veduta parziale della mostra, marzo 2021, Alfonso Artiaco, Napoli. Foto: Grafiluce |
Giulio Paolini, Fuori quadro, veduta parziale della mostra, marzo 2021, Alfonso Artiaco, Napoli. Foto: Grafiluce |
Vis-à-vis (Amazzone). Foto: Grafiluce |
I collage su Pompei. Foto: Grafiluce |
In scena (Gilles). Foto: Grafiluce |
In scena (Gilles). Foto: Grafiluce |
Ancora, una delle opere centrali della mostra è l’inedita In scena (Gilles), dove vediamo una fotografia del Gilles che Watteau dipinse in Pierrot, dit autrefois Gilles al centro di un sipario, col quadro a sua volta posto su di un cavalletto posto dietro una sedia con sopra una cornice e una tenda dorata. È interessante questa dialettica tra la dimensione intima dell’artista e quella pubblica, diventata di particolare attualità in quest’epoca di pandemia, di assenza di contatto (col pubblico e non solo). Qual è il Suo atteggiamento nei confronti del tempo che stiamo vivendo?
Grazie al cielo, non avendo l’obbligo di un contatto diretto e decisivo col pubblico e la realtà quotidiana mi trovo esentato da una corrispondenza immediata e posso lasciar depositare le reazioni e le emozioni di ogni giorno.
In mostra possiamo vedere anche tre opere Piazza d’Italia, omaggi a Giorgio de Chirico realizzati nei primi anni Duemila, nonché opere dalle quali emerge una sorta di voix du silence riportata qui a una dimensione “autentica e originaria”, per usare due aggettivi che Lei attribuisce alle piazze di De Chirico. La scelta di portare questi lavori in mostra ha a che fare con quello che stiamo vivendo in questo periodo?
Tutto ha a che fare, più o meno direttamente, con la società e, in senso più esteso, con la vita. È dunque inevitabile riferirsi a qualcosa che abita al contempo dentro e fuori di noi.
Nell’opera Vis-à-vis (Amazzone) torna la dialettica tra due opere classiche affrontate, uno degli elementi forse più noti della sua arte. Come lo ha declinato in quest’opera del 2019?
Come sempre i “personaggi” delle mie opere sono solitari anche se posti uno di fronte all’altro. Mimesi riprende, riflette la medesima immagine che dunque si sdoppia di fronte a se stessa. Allo stesso modo i due profili di Vis-à-vis (Amazzone) sono in realtà le due metà, destra e sinistra, di una sola figura. È così che un dialogo muto si manifesta come recita di un monologo.
Nel 1991, Giuliano Briganti scriveva che Lei è, degli artisti di oggi, forse quello che più ha “calcolato quali carte restano in mano ad un artista per essere ‘ancora’ artista oggi”. Il grande storico e critico, in particolare, scriveva che nel Suo percorso sono rimaste immutate alcune caratteristiche fondamentali: la purezza atmosferica, il silenzio, la “leggerezza”, l’eleganza intellettuale, elementi che forse contraddistinguono l’artista ancor più delle opere (Briganti le attribuiva un pensiero: “le opere non restano, è l’artista che resta”). Sono passati trent’anni: secondo Lei quali sono invece le “carte” per essere ancora artisti nel 2021?
L’antica amicizia con Giuliano Briganti mi ricorda qualcosa di prezioso e rassicurante... l’estensione della sua conoscenza arrivava a considerare l’arco d’insieme della Storia dell’Arte con una compiutezza speciale. Rispetto alla questione di quali siano le “carte” da mettere oggi in gioco, credo che all’artista restino in mano le stesse carte di quello di ieri.
Un’ultima domanda: la mostra Fuori Quadro arriva in un anniversario importante. Nel 2020 erano passati sessant’anni dalla sua prima opera (Disegno geometrico: un riferimento è anche in Vis-à-vis) e il 2021 costituisce il sessantesimo anniversario del suo esordio, al Premio Lissone del 1961. Sessant’anni di carriera sono un traguardo ragguardevole, ma Lei non si fermerà di certo: cosa dobbiamo aspettarci da Lei in futuro? Quali sono gli aspetti della Sua ricerca che si propone di approfondire nel tempo a venire?
Col tempo (con l’età) credo praticherò un’andatura più moderata e riflessiva. Mi preme lasciare depositare le tante suggestioni che ancora si addensano all’orizzonte. Emergono ora, pur senza diventare invadenti, memorie personali che affiorano in misura discreta nel quadro di una quotidianità meno pressante.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).