Dal 5 ottobre 2019 al 1° marzo 2020, Palazzo Ducale a Genova ospita la mostra Anni Venti in Italia, a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone: la rassegna intende restituire, con una vasta selezione di opere esemplificative, le atmosfere di uno dei decenni più complessi della storia recente, con una prospettiva che tenga conto di vari aspetti (artistici, culturali, sociali e altro). Quali gli obiettivi della mostra? Quale la lettura del decennio offerta dall’esposizione? Ne abbiamo parlato con i curatori. L’intervista è a cura di Ilaria Baratta.
IB. Nella presentazione della mostra si legge che vostro intento è quello di mettere in luce gli aspetti più “oscuri, inquieti e irrazionali” dell’arte italiana negli anni Venti. Quali sono questi aspetti e come si approfondisce in mostra questo vostro obiettivo?
MF-GF. La mostra è animata dall’idea di presentare gli anni Venti con una prospettiva differente da quella con cui questo decennio è stata affrontato nelle ultime mostre e negli ultimi studi critici dedicati al periodo. Di solito, si è portati a pensare agli anni Venti come a un’epoca dominata dal gusto déco, da atmosfere glamour, dal lusso. Quello che in realtà emerge è un periodo molto complicato e tragico, che ha inizio con il Biennio rosso. Sono questi gli aspetti “oscuri, inquieti e irrazionali” che abbiamo voluto indagare con la nostra mostra: le preoccupazioni e le inquietudini che caratterizzarono il periodo, al di là dell’edonismo e dell’eleganza che solitamente gli si associano. Ed è da questo assunto che siamo partiti, cercando di vedere come le opere di quel periodo rispondessero alla complessità del decennio.
Del resto anche dal punto di vista dell’arte gli anni Venti sono un periodo di contrasti: in mostra, per esempio, possiamo vedere le opere dei fautori del rappel à l’ordre accanto a quelli che possiamo intendere un po’ come gli strascichi del futurismo (vedremo, per esempio, opere di Fortunato Depero). Come avete fatto convivere le diverse anime dell’arte negli anni Venti in mostra?
Proprio con quest’ottica di compresenza di tematiche diverse, anche perché la mostra è una mostra tematica. Abbiamo pertanto identificato una serie di argomenti che abbiamo ritenuto in qualche modo esplicativi dell’arte di quel decennio e quindi, all’interno di queste tematiche, abbiamo individuato una serie di tendenze che possono convivere, anzi, che in qualche maniera dànno un senso della ricchezza della produzione artistica di quel periodo, animata da mire decisamente diverse: pensiamo per esempio alla dicotomia che vede da una parte gli artisti del ritorno all’ordine, quelli del gruppo Novecento, quelli del realismo magico, e dall’altra le sperimentazioni di matrice futurista.
Gino Severini, Maternità (1916; olio su tela; Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona) |
Felice Casorati, Studio per il ritratto di Renato Gualino (1922-23; olio su tavola; Torino, Collezione privata). Foto Giuseppe Dell’Aquila, © SIAE |
Pippo Rizzo, Il nomade (1929; olio su tavola; Palermo, Galleria d’Arte Moderna Empedocle Restivo) © Giacomo D’Aguanno/Civita Sicilia |
Arturo Martini, La lupa (1930-1931; bronzo; Collezione privata). Foto di Luca Bossaglia |
Cagnaccio di San Pietro, a sera (Il rosario) (1923; olio su tela; Genova, Wolfsoniana -Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura) |
In che modo la mostra affronta il tema dei rapporti tra arte e politica negli anni Venti?
La politica e la “Storia” (con la “S” maiuscola) sono l’ossatura intorno a cui si sviluppa il percorso espositivo. Non abbiamo voluto selezionare opere esplicitamente di propaganda, anche perché comunque la propaganda del regime trova le sue manifestazioni più esplicite e più retrive soprattutto negli anni Trenta. Naturalmente ci sono molti riferimenti alla politica, per esempio ci sono due ritratti di Mussolini, uno di Thayaht e uno di Wildt, che rappresentano in certa misura la dicotomia espressiva e linguistica di cui parlavamo prima, ovvero il futurismo da un lato, e dall’altro il novecentismo che fu lo stile predominante negli anni Venti. In questa maniera abbiamo mostrato come la politica avesse una forte influenza sullo spirito del tempo al di là dei messaggi della propaganda che quindi aveva un riscontro diretto anche su opere i cui soggetti apparivano apparente estranei alla politica del tempo.
In un’epoca, quella attuale, di recrudescenza dei nazionalismi, e in cui si parla di fascismo sempre più spesso, come vi siete posti con il problema di ordinare una mostra che necessariamente ha a che fare con il fascismo e con l’arte favorevole al regime?
Siamo partiti da una riflessione sugli anni Venti esattamente a un secolo di distanza per arrivare a individuare (chiaramente comprendendo che c’è una grande distanza tra gli anni Venti e l’epoca attuale) alcune sensazioni, alcuni elementi, alcune atmosfere che possono accomunare questi due decenni, ovvero gli anni Venti e quello che stiamo vivendo, nonostante ci sia di mezzo quasi un secolo: in particolare ci siamo concentrati sul fatto che un momento di grande tragedia, cioè gli anni della prima guerra mondiale, dà vita a un periodo di angoscia, di inquietudine e d’instabilità (anche politica) che finisce con un altro momento di enorme incertezza, la crisi economica del 1929.
In mostra viene dato spazio anche alla crisi del 1929. In che modo questa drammatica congiuntura economica influì, all’epoca, sulla cultura e sui modi di fare arte?
La mostra ha un’ossatura cronologica e storica, cioè racconta il decennio: la selezione che noi abbiamo realizzato è interamente composta da opere che, pur senza didascaliche raffigurazioni, presentano diretti riferimenti alla storia del periodo, incarnando in maniera significativa lo spirito di quegli anni. È stato questo lo schema progettuale della nostra mostra: non esporre opere che implicitamente facessero espliciti riferimenti al periodo storico o alla propaganda del periodo, ma provare a vedere come l’arte “quotidiana” esprimesse invece, realmente, la quotidianità del periodo, e quindi anche il senso d’incertezza, d’inquietudine e di attesa allora dominanti.
Adolfo Wildt, Maschera di Mussolini (1923-1925; altorilievo in marmo; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea). Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. |
Sexto Canegallo, La folla (1920; olio su tela, Genova, Wolfsoniana -Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura) |
Fausto Pirandello, Composizione (Siesta rustica) (1924-1926; olio su tela; Milano, Collezione Giuseppe Iannaccone) |
Ferruccio Ferrazzi, L’Idolo del prisma (1925; olio su tavola; Genova, Wolfsoniana - Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura) |
Achille Funi, La terra (1921; olio su tela; Milano, Collezione privata). Courtesy Archivio Achille Funi - Milano. Studio Fotografico Paolo Da Re, Bergamo |
Quali sono le principali novità che emergono dalla mostra?
La mostra propone un’analisi di un periodo che è stato molto studiato e investigato negli anni scorsi. A nostro avviso però la novità che emerge è appunto la differente prospettiva con cui si può guardare agli anni Venti e quindi riscontrare in questo periodo tutta una serie di problematicità che si riflettono nell’arte di quel tempo. Un ulteriore aspetto inedito di questa mostra è l’approccio metodologico che abbiamo proposto, ossia abbiamo cercato di affrontare questo periodo storico attraverso la nostra chiave di lettura di storici dell’arte avvalendoci però di una prospettiva d’interpretazione multilinguistica: non è un caso che il catalogo che accompagna la mostra sia costituito, oltre che da un saggio nostro sull’arte del periodo, e da un altro contributo di Fabio Benzi che offre un inquadramento storico artistico del decennio, da saggi di storici e da un articolo di uno storico della letteratura come Andrea Cortellessa, che contribuiscono ad arricchire e ad accrescere le prospettive di lettura e d’interpretazione di questo decennio. Questo, secondo noi, è lo spunto più inedito, l’aspetto più innovativo dell’esposizione.
Per concludere: quali potrebbero essere tre motivi da suggerire al pubblico per visitare la mostra?
Il primo è la qualità e la quantità delle opere esposte: la mostra mette insieme un notevole numero di opere che hanno varie provenienze, da musei e da collezioni private. Il secondo è la chiave di lettura della mostra, un’interpretazione del Novecento che riesca a restituire le sue varie sfaccettature. Quanto al terzo motivo, possiamo dire che Anni Venti in Italia è una mostra che si occupa di eventi e di espressioni artistiche di cent’anni fa ma che ci aiuta ad affrontare e a capire meglio il nostro presente: ragionare sul passato, approfondire quelle che sono state le dinamiche di un periodo così complesso come gli anni Venti riteniamo possa offrire ai visitatori un potenziale riscontro sul nostro presente.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.