Come è stato l’anno della pandemia di Covid per una galleria di medie-piccole dimensioni? Quali le novità? In che modo l’online ha aiutato? Lo abbiamo chiesto alla storica galleria Cardelli & Fontana di Sarzana, in attività dal 1980. Ecco le risposte del direttore della Galleria, Massimo Biava. L’intervista è di Federico Giannini.
Galleria Cardelli & Fontana |
FG. Com’è andato l’ultimo anno? È stato un anno di difficoltà per tutti: voi avete resistito?
MB. Noi abbiamo resistito, ma in realtà resistiamo da tanti anni, per cui non abbiamo visto enormi differenze. Dal punto di vista economico sono mancate le fiere, elemento che porta due conseguenze, una negativa, ovvero non si incontrano collezionisti, e una positiva, la notevole diminuzione delle spese. Tuttavia, riuscendo a lavorare sui clienti incontrati nelle edizioni passate delle fiere, e quindi lavorando molto di più sull’online, siamo riusciti a pareggiare i conti con gli anni passati.
Come è cambiato il lavoro?
Bisogna fare una premessa: noi siamo una galleria di una piccola cittadina di provincia, Sarzana, pertanto probabilmente non abbiamo avvertito il peso che può sentire un gallerista di Milano, che ha delle spese molto più alte e che ha maggiori difficoltà di spostamento oppure è stato più colpito dalle chiusure. Io, ad esempio, abitando a cinquanta metri dalla galleria, anche in zona rossa non ho avuto problemi ad andare al lavoro in sede. Il lavoro è cambiato perché abbiamo avuto più tempo a disposizione e lo abbiamo dedicato, per esempio, a perfezionare la fotografia, la documentazione, la ricerca sui cataloghi (questi ultimi due aspetti soprattutto per quanto riguarda il moderno): siamo giunti pertanto a un’attenzione sull’opera diversa rispetto a prima, per presentarla al meglio, cercando di fornire più dettagli possibile al collezionista. E questo ha ripagato. E poi, è molto cambiato l’approccio alla comunicazione online.
Beatrice Meoni, SCS Antogno bastonato da diavole (2020; olio su tavola, 152 x 120 cm) |
Mirco Marchelli, D’accordo (2020; tecnica mista, 32 x 43 x 4 cm). Fotografata in studio |
Sull’online come avete lavorato? Anche voi avete... ceduto alla moda delle viewing room?
Noi siamo online dal 1998, quindi l’esperienza per gestire il mezzo c’era tutta. Abbiamo dedicato ancora più attenzione alla documentazione fotografica, non solo avvalendoci di professionisti ma imparando noi stessi a fotografare un po’ meglio le opere, riprendendole da più angolazioni, nei particolari o da lontano con una persona di fronte, come fanno ormai tutte le gallerie. E anche la possibilità di presentare in maniera diversa le opere ha ripagato. Per quanto riguarda le viewing room, credo che il tridimensionale, quando si presentano delle opere bidimensionali, non abbia molto senso. Quindi quello che noi abbiamo chiamato viewing room era in realtà un modo di presentare le opere in un contesto. Mi viene in mente, per esempio, la mostra di Marco Marchelli dove abbiamo utilizzato questo strumento per fornire una documentazione più approfondita sull’opera e per presentare anche le immagini delle stesse opere nel luogo in cui sono nate, cioè nello studio di Marchelli. Oppure, citerei la mostra sull’astrattismo geometrico dove, oltre a presentare le opere ben fotografate e ben documentate, con anche immagini da catalogo, abbiamo presentato anche tutta una serie di lettere di Atanasio Soldati. È stato come aumentare la documentazione. Ma l’esperienza dell’ingresso in una sorta di stanza virtuale è un aspetto che a noi interessa meno.
L’online nel vostro caso ha modificato il rapporto con i collezionisti?
Per quel che ci riguarda, noi non abbiamo venduto solo ai nostri collezionisti, ma anche a nuovi collezionisti. Da aprile dell’anno scorso le richieste via mail sono esplose immediatamente, poi nella maggior parte dei casi non si arrivava a concludere, ma credo di aver ricevuto più del triplo di contatti rispetto a prima. E questo ha influito sull’andamento.
Per chiudere con l’online, come vi ponete nei confronti dell’esplosione degli NFT?
In realtà, personalmente questo anno mi ha portato a riscoprire l’opera fisica, entrando nei magazzini, riprendendola e fotografandola, in un rapporto molto diretto. Credo pertanto di essere sulla strada opposta in questo momento. Sento il piacere di toccare, di guardare le condizioni dell’opera, specialmente per quanto riguarda il moderno. È un argomento che non mi sta prendendo.
Atanasio Soldati, Il busto bianco, particolare del pdf di documentazione dell’opera |
Mirco Marchelli, Giardino gaudente (2020; tecnica mista, 42 x 25 x 5,5 cm). Fotografata in studio |
Infine, un’ultima domanda: quali sono le prospettive future per il settore, soprattutto per quel che riguarda le gallerie piccole o di medie dimensioni? La crisi ha colpito molto duramente questa fascia del mercato? E cercare forme di collaborazione con altri soggetti potrebbe essere una forma di strategia per il futuro?
Come detto, abbiamo avvertito meno il peso della crisi rispetto a chi sta in altri luoghi o rispetto a chi ha strutture più importanti. La nostra è una galleria a conduzione familiare, ovviamente abbiamo avuto alcuni contraccolpi ma le gallerie più piccole credo abbiano resistito meglio. Quanto alle collaborazioni, è un punto su cui insisto da sempre. Noi, anche prima della pandemia, avevamo una rete di collaborazioni che poi è scomparsa con la crisi dato che ci siamo trovati tutti in forte emergenza. Siamo comunque una galleria storica per cui abbiamo un po’ più di difficoltà a trovare colleghi con cui collaborare, ma è una cosa che mi piacerebbe molto continuare a fare. Abbiamo infatti aperto collaborazioni con l’estero in questo periodo, perciò qualcosa si è mosso. In particolare, abbiamo iniziato un rapporto con due gallerie francesi e con una galleria di Londra: non si tratta di cose grandissime, però sono delle novità. Certo, tirare le somme in questo periodo mi sembra difficile perché penso sia presto: bisognerà vedere quando torneremo a una normalità di mercato e di spostamenti, e vedere i risultati che daranno queste collaborazioni. Per ora tuttavia posso dire di essere certo che queste collaborazioni siano frutto dell’aumento della presenza online. Ad ogni modo non so come potrà essere il futuro: forse addirittura più positivo, in questo anno di fermo potremmo magari esserci anche accorti che senza fiere si può andare avanti lo stesso, magari potrebbe essere la volta buona per cercare di riprendere un po’ il potere nei confronti degli enti fieristici, portarli a cambiare i trattamenti nei confronti dei soggetti delle nostre dimensioni. Io comunque credo che il mondo dell’arte alla fine riesca sempre a riprendersi in qualche maniera: il nostro settore è stato velocissimo ad adattarsi ai cambiamenti, a potenziare l’on-line, d’altra parte stiamo parlando di arte. Se non siamo creativi noi che siamo a contatto con gli artisti tutti i giorni...
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).