Dopo un anno esatto di lavori, riapre al pubblico il 1° luglio 2022 la Galleria Nazionale dell’Umbria con un allestimento totalmente rinnovato, e tante novità alcune delle quali estremamente originali e innovative (a questo link l’articolo con il dettaglio di tutte le novità, il percorso e diverse fotografie). Quali sono le scelte che hanno guidato il nuovo allestimento? Che museo aspettarsi all’apertura del 1° luglio? Ne abbiamo parlato con il direttore del museo di Perugia, Marco Pierini. L’intervista è di Federico Giannini.
FG. Direttore, quant’è grande la soddisfazione di riaprire domani, dopo un anno di lavori, con questo nuovo allestimento così interessante, delicato, innovativo? Mi rendo conto che è una domanda di rito che Le avranno già fatto e Le faranno in tanti...
MP. Però è vero: è una grande soddisfazione riaprire dopo un anno, innanzitutto perché riaprire significa sapere che è finita l’emergenza, perché per noi il cantiere era l’emergenza, e dalla riapertura saremo di nuovo il museo che abbiamo voluto essere in questi anni, cioè un museo aperto, che fa tante attività, che organizza mostre, concerti, spettacoli e molto altro, quindi è soddisfacente anche soltanto tornare allo stress dell’ordinario e abbandonare lo stress dello straordinario. E poi, riaprire vuol dire anche offrire una visione diversa del museo, che spero sia proiettato verso il futuro. Proprio per tale motivo abbiamo voluto pensare anche a un’immagine durevole. Faccio un esempio, anche se potrei sbagliarmi dato che abbiamo lavorato in controtendenza: penso ai colori delle pareti. Rispetto ai tanti colori che molti musei stanno utilizzando in questi ultimi tempi, e che io stesso uso sempre nelle mostre, noi abbiamo preferito una soluzione più neutra, che ritengo nel prossimo futuro comincerà a essere un po’ più diffusa di quanto possiamo immaginare, perché c’è bisogno, a mio avviso, di una neutralità e di un colore chiaro nella presentazione delle opere... perché sono le opere che hanno i colori. In una mostra penso che vada benissimo enfatizzare, però nel percorso ordinario di un museo credo sia il colore dell’opera, e non quello dell’architetto o della parete, il colore che deve emergere.
Ho giustappunto avuto quest’impressione: se in molti allestimenti recenti diversi architetti hanno cercato in qualche modo di rendere percepibile la loro personalità, o comunque hanno voluto mettere la loro firma sugli allestimenti, alla Galleria Nazionale dell’Umbria si sono invece messi dietro le opere, sono stati estremamente rispettosi. Oltre alle scelte sull’interazione tra opere e ambienti, quali altri elementi hanno orientato il riallestimento?
Sono essenzialmente due e vengono tutti da noi (quando dico “noi” intendo il nostro meraviglioso staff che in parte ho ereditato e in parte mi sono scelto, e che nel complesso è uno staff giovane, dinamico, entusiasta). Il primo elemento è la conservazione: ecco allora le basi rivoluzionarie, le luci, le pellicole, le finestre, i tappeti per trattenere lo sporco che installeremo a breve, e tanti altri piccoli accorgimenti fondamentali. Il secondo punto è l’accoglienza. Io mi batto molto perché alla parola “accessibilità” si sostituisca la parola “accoglienza”, perché l’accoglienza integra l’accessibilità, che è un dato tecnico. Ovvero, abbatto la barriera architettonica e rendo una sala accessibile, scrivo un pannello in caratteri grandi e lo rendo accessibile. Però posso al contempo non essere accogliente. Sono insomma due concetti diversi: e noi abbiamo lavorato per rendere il museo anche accogliente. Le nostre soluzioni sono state poi concretizzate dagli architetti Daria Ripa di Meana e Bruno Salvatici, dalla nostra architetta Maria Elena Lascaro, dall’architetto Riccardo D’Uva dell’azienda Arguzia che ha reso possibile concretizzare le basi innovative per le opere, e da tutte le ditte che hanno collaborato con noi aiutandoci per migliorare l’illuminazione, per migliorare la qualità dei materiali con soluzioni innovative. È stato un veramente un lavoro corale e molto sperimentale. Qualcosa ancora non è pronto e non lo sarà nemmeno domani che apriamo, perché stiamo ancora andando avanti con alcuni lavori: per esempio giusto ieri ci siamo inventati dei sistemi per mettere le opere piccole in vetrina, e siccome erano migliori di quelli di prima stiamo ancora lavorando su queste soluzioni. Lavorare in questo modo certo è un rischio, ma è anche una meraviglia.
Ho notato poi diversi spostamenti (su tutti, per esempio, le tavolette di San Bernardino che ora sono in una sala tutta dedicata al Perugino). Cosa ha guidato la diversa collocazione di tanti lavori?
Essenzialmente la corretta collocazione in cronologia. Però con qualche aspetto anche spettacolare. Per esempio, la croce del Maestro di San Francesco, che prima era nella sala che adesso ospita le sculture di Arnolfo di Cambio: bisognava andarla a cercare. Adesso invece si entra e la si trova in corretto ordine cronologico, e la si trova inclinata come era in origine nella chiesa di San Francesco al Prato. Quanto alle tavolette di San Bernardino, in questo caso sono l’esordio del Perugino dopo la bottega del Verrocchio: certo, non le ha fatte tutte lui, ma la bottega era la sua: inutile andare a cercare Caporali, Bonfigli e altri. Sono opere che si devono a un Perugino sulla rampa di lancio, che di lì a breve avrebbe lavorato nella Cappella Sistina, che comandava a bacchetta Botticelli e Ghirlandaio, peraltro tutti più vecchi di lui, e nelle tavole di San Bernardino troviamo un artista che si sta facendo il “book”, si sta facendo il curriculum per diventare quello che poi sarà negli anni Ottanta e Novanta, ovvero “il meglio maestro d’Italia” come diceva Agostino Chigi.
Proprio il Perugino, da questo nuovo allestimento, esce come grande protagonista.
Beh, siamo a Perugia, la città del Perugino, seppur nato a Città della Pieve (ma era soprannominato “Perugino” non a caso). Abbiamo 23 sue opere, quindi è il nostro artista più rappresentato, è l’artista più importante ed è peraltro un artista che gode di una certa sfortuna critica (naturalmente relativa, perché parliamo di un grande maestro), però alla fine se ci si pensa viene spesso riduttivamente considerato come l’allievo di Verrocchio o il maestro di Raffaello. Invece è un grandissimo maestro autonomo, e per trent’anni ha dato una linea all’arte italiana: dopo Giotto forse è stato l’unico artista ad aver creato un linguaggio italiano, dal Piemonte fino alla Calabria.
Un’altra novità che ho trovato molto interessante è l’ultima saletta dedicata al Novecento, con un stacco piuttosto netto dato che si passa da Pietro da Cortona al XX secolo. Quali ragioni hanno motivato la creazione di questa nuovissima sala? E poi, avete in mente di allargare questa sezione con altre opere che eventualmente vi arriveranno o che acquisirete?
Intanto diciamo che sì, adesso lo stacco è netto, ma a breve lo sarà meno perché monteremo nella sala precedente due opere di Jean Baptiste Wicar. Non che non sia un altro bello stacco, dato che siamo pur sempre nei primi due decenni dell’Ottocento, ma purtroppo il secondo Ottocento non ce l’abbiamo, e anzi quel poco che abbiamo deve stare in deposito, però mi sembrava importante raccontare a tutti che la storia dell’arte non si ferma nemmeno in Umbria. Anzi questa è la terra di Leoncillo (che non siamo riusciti ad avere ma che prima o poi avremo), di Burri, di Dorazio, di Beverly Pepper, ovvero di artisti umbri o artisti che hanno scelto l’Umbria come terra elettiva, e proprio in questa sala, a rotazione, metteremo opere che troveremo in comodato, che riceveremo in donazione, che magari compreremo se avremo i soldi, quindi diventerà una sala più dinamica rispetto alle altre.
La storia dell’arte non si ferma e infatti ci sono due importanti interventi d’arte contemporanea: anche in questo caso scelte innovative.
Ci faceva molto piacere commissionare due lavori nuovi, il primo in uno spazio neutro e senza problemi, che ha accolto il lavoro di Roberto Paci Dalò, e il secondo, le due finestre di Vittorio Corsini nella Cappella dei Priori, molto più difficile. Anche per questo intervento però siamo partiti dalla filologia, perché quelle due finestre erano tamponate e potevamo o lasciarle tamponate oppure metterci vetrate simili a quelle originali, ma sarebbe stato un falso storico. Abbiamo quindi pensato di riportare la condizione della luce a essere più o meno simile a quella del Quattrocento, ma per fare un lavoro di questo tipo non si poteva scegliere un linguaggio che non fosse quello contemporaneo: occorreva quindi scegliere l’artista giusto, che avesse il giusto rispetto dell’ambiente, e lo abbiamo trovato in Vittorio Corsini. E in più si è scoperto che la cappella è ancora consacrata, e quindi io da storico, e non da uomo di fede, ho preteso che l’altare avesse ancora la sua reliquia e fosse consacrato, mi è sembrata una gran cosa.
La città come si sta preparando alla inaugurazione?
C’è un grande fermento, e questo perché c’è un grande, grande amore per la galleria. Non a caso siamo, lo dico sempre, il museo nazionale più civico d’Italia, perché siamo nel Palazzo Pubblico: è un fatto straordinario poter avere, nel Palazzo Pubblico della città, un museo così importante. È una situazione che non esiste in nessun’altra città d’Italia, perché se pensiamo alle grandi città i principali musei statali sono tutti in palazzi che sono magari anche di proprietà del comune in certi casi, ma non sono “il” Palazzo Pubblico. Ecco, il fatto di stare... accanto al sindaco è una cosa che viene sentita molto dalla città.
Tornando invece a parlare di lavori, è notizia dell’ultim’ora che la Galleria Nazionale dell’Umbria ha ricevuto ulteriori fondi nell’ambito del PNRR. Come li investirete?
Faremo l’ultimo adeguamento impiantistico per la climatizzazione, che è già buona ma la perfezioneremo grazie a questi fondi che io ho chiesto peraltro in maniera molto contenuta: sono infatti 500.000 euro, che di per sé non sono pochi, anche se sono meno rispetto, per esempio, alla Galleria Nazionale delle Marche che ha ricevuto 6 milioni di euro, ma è anche vero che abbiamo fatto bene non dico tutto, ma quasi, in sette anni. Certo, abbiamo lavorato con tanti fondi: quelli che abbiamo investito per gli allestimenti vengono dai fondi Sviluppo e Coesione, poi abbiamo avuto fondi per gli impianti... adesso dobbiamo solo trovare i fondi per le attività. Questi il Ministero giustamente non ce li dà, perché la l’apertura, la manutenzione, e in generale la vita del museo sono garantite dal ministero, ma per le attività dobbiamo contare sulle nostre forze (questa del resto è anche l’idea alla base dell’autonomia). Però è una sfida che non ci fa paura.
Dal punto di vista della comunicazione, di cui ultimamente si fa tanto parlare, che programmi avete?
Manterremo la linea leggera che abbiamo sempre avuto, talvolta con delle campagne un po’ inaspettate, per esempio abbiamo da poco avviato la campagna L’arte dell’irriverenza con popolari canali social satirici come Lercio, Osho, Dio, Taffo e altri: l’idea di questa campagna mi è venuta in mente perché avevo paura, e lo dico volentieri, che ripensando tutto il museo e la biblioteca avremmo finito col prenderci un po’ troppo sul serio, e allora era fondamentale avere qualcuno che ridesse con noi ma che ridesse anche di noi. Ecco, questa cosa sta funzionando perché vedo che c’è un forte gradimento. Sui social continueremo poi ad alternare notizie ad approfondimenti e siamo aperti a tutti, collaboriamo anche noi con un festival rock, da cinque anni (L’Umbria che spacca), collaboriamo con Umbria Jazz, abbiamo sessioni di live drawing che organizziamo tutti gli anni con l’associazione di fumettisti BecomingX con cui facciamo una serata con dj set e loro che disegnano sui muri della Sala Podiani alcuni fogli da 70 cm, tutti ispirati alla galleria, che poi ci regalano. Noi non abbiamo problemi di comunicazione. Anche perché il passaparola è sempre la migliore comunicazione, e secondo il passaparola la Galleria Nazionale dell’Umbria è un museo aperto e accogliente. Davvero, la comunicazione è l’ultimo dei nostri problemi.
Ultima domanda: si apre un nuovo capitolo per la Galleria Nazionale dell’Umbria. Quali sono le sfide che vi attendono?
Una sfida parte subito, perché avremo nel 2023 le mostre del cinquecentenario della morte di Perugino, una tra marzo e giugno e una tra settembre e gennaio 2024. La prima dedicata al “meglio maestro d’Italia”, l’altra al Perugino tardo (che però non è così male come tanti dicono), quindi occuperemo tutto l’anno con il Perugino. La prima mostra sarà la più importante, e sarà una mostra innovativa anche nella formula, perché abbiamo chiesto ai musei più importanti che hanno tanti Perugino, oppure opere di contesto che ci servivano, di diventare partner, quindi di non limitarsi a prestarci le opere ma di darci il loro logo, l’introduzione in catalogo, di far scrivere le schede ai loro conservatori. In questo modo abbiamo potuto contare su partnership con gli Uffizi, con la National Gallery di Londra, con la National Gallery di Washington, con la Gemäldegalerie Berlino, e ci è parso così più facile organizzare una mostra coinvolgendo i più importanti musei del mondo. Quindi il 2023 sarà un anno molto ricco dedicato a Perugino. Poi, nella seconda parte del 2022 dovremo concentrare le attenzioni sulle nostre attività classiche dei festival, e poi su di una piccola mostra su alcuni affreschi staccati da una chiesa distrutta. Infine a ottobre scadrà il mio mandato, ma ho programmato il 2024 perché è giusto dare continuità al museo... dopodiché vedremo.
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Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).