Dopo il periodo iniziale della pandemia in cui tutti i musei si sono buttati a capofitto sul digitale lavorando alla giornata, è seguito un tempo in cui i contenuti sono stati meglio misurati e pianificati. Adesso però, col ritorno all’apertura in presenza, il rischio è quello di fare meno attenzione al digitale. Come è evoluta la presenza digitale nei musei durante tutto il corso della pandemia fino a oggi? Quali sono le pratiche di partecipazione attivate in questo anno e mezzo? Ne abbiamo parlato con Marta Kopiniak, dottoranda dell’Università di Wroclaw in Polonia, che ha condotto una ricerca proprio su questo tema, in riferimento ai musei polacchi. La ricerca, intitolata Sudden Disturbance: transforming participation in a time of pandemic. The case of Polish museums, sarà al centro di un intervento che si terrà il 18 ottobre nell’ambito del convegno MUŻE.X - S - Shaping Museum futures, di cui Finestre sull’Arte è partner. L’intervista è di Ilaria Baratta.
IB. Perché parla di “Disturbo Improvviso” in relazione alla trasformazione della partecipazione ai musei in tempo di pandemia?
MK. Penso che il termine “disturbo improvviso” descriva abbastanza bene il cambiamento nella pratica museale. Le modifiche al modo di lavorare attuate all’inizio del 2020, per quanto repentine, non sono state permanenti, sono state solo un disturbo che ha avuto un effetto a catena sulla maggior parte delle pratiche museali. La chiusura dei musei fisici significava che la maggior parte dei progetti in corso doveva essere interrotta, inoltre l’incertezza del futuro significava che anche eventuali nuovi progetti erano minacciati. E tutto questo vale anche per i progetti partecipativi, che dovevano essere fermati e poi riconfigurati, mentre nuove iniziative dovevano abbracciare la sfera online, anche se ciò significava un cambiamento radicale nel modo di lavorare del museo. Le nuove prospettive acquisite in questo periodo e i nuovi modi di affrontare i diversi aspetti della pratica museale hanno tutti un effetto su ciò che sta accadendo ora e accadrà in futuro. Quindi il “disturbo improvviso” può essere inteso come un momento di svolta che ha costretto i musei a ripensare molti aspetti della loro attività, anche se il disturbo era solo temporaneo.
Come è cambiata la partecipazione in Europa durante la pandemia?
Poiché la mia principale area di interesse è la Polonia, non sono in grado di offrire una profonda disamina della situazione particolare in altri paesi, ma direi che la cosa più universale, ovviamente, è la necessità di spostarsi online, divenuta particolarmente importante durante i vari periodi di blocco in diversi paesi. Come tutto ciò funzionerà sul lungo termine è ancora da vedere, poiché la pandemia è ancora in corso. Ma anche se la sfera online non sarà utilizzata così tanto in futuro (cosa che peraltro vediamo già accadere in vari luoghi), il solo fatto che quest’area sia stata “conquistata” è a mio avviso significativo. Il mondo è sempre più virtuale e i musei potrebbero dover capire come inserirvisi e la pandemia, paradossalmente, potrebbe averli aiutati a farlo.
In Polonia, i musei sono stati chiusi durante la pandemia? Come hanno reagito i musei polacchi?
Sì, i musei sono stati chiusi più volte a partire da marzo 2020, per periodi di tempo diversi. Per quanto riguarda la reazione dei musei a questa sfida, almeno durante il primo lockdown durato da marzo a maggio 2020, i musei hanno offerto un’ampia gamma di attività, informazioni e materiali online. La mia ricerca in materia mostra che in questo primo periodo la quantità di attività online è salita alle stelle. A parte i normali post con informazioni e post “OTD” [ndr: “On This Day”, i contenuti del giorno], i tour online e i video erano i contenuti più comunemente pubblicati. Ma mentre ilt empo passava, il carattere indefinito del lockdown diminuiva e diventava chiaro che avremmo continuato a lungo con questo regime di continue aperture e chiusure, il modo di postare è diventato molto più ponderato ed era diventato ben riscontrabile che i musei non stavano più agendo solo nel momento, ma stavano iniziando a incorporare questa nuova realtà nei loro piani a lungo termine. Com’era prevedibile, istituti come i musei non possono permettersi di lavorare alla giornata per periodi lunghi.
Come ha agito il governo polacco con i musei in tempo di pandemia?Il governo ha incoraggiato il trasferimento di tutte le possibili attività museali online, quindi torniamo alla raffica di attività online di cui parlavamo prima, causata (almeno in parte) dalla necessità di portare avanti tutti i progetti possibili. Le autorità hanno anche avviato programmi di aiuto (per esempio “Culture in the Web”) destinati ad aiutare gli istituti e le persone a trasferire le loro attività online. Col passare del tempo, le restrizioni hanno iniziato a cambiare e sempre più attività sono state autorizzate a svolgersi in loco, dentro gli istituti fisici. Tuttavia, come ci si poteva aspettare, il settore culturale non era in cima alla lista delle priorità quando si trattava di riaprire, quindi i musei hanno dovuto aspettare un po’ di più per riaprire rispetto a molti altri campi.
Qual è stato l’impatto sull’età del pubblico dei musei durante la pandemia? Puoi dirci qualche dato?
Dato che non mi sono concentrata sull’argomento con la mia ricerca, ogni dato sarebbe puramente indicativo, tuttavia questo è un angolo di indagine davvero interessante. I musei, che operano su diverse piattaforme di social media, hanno accesso a dati che potrebbero far luce su questo problema e fornire informazioni sul modo in cui il loro lavoro online ha cambiato il profilo demografico del loro pubblico su internet.
Anche in Polonia i musei sono stati facilitati da internet e dagli eventi online durante la pandemia? In relazione a ciò, i giovani sono stati facilitati nell’approccio ai musei?
Per quanto riguarda la Polonia non sono a conoscenza di ricerche che affrontino questo problema, anche se, poiché è più vicino alla mia area di studio, posso certamente dire che mi aspetterei che il profilo demografico si stia spostando verso una fascia più giovane di pubblico proprio a causa di tutta l’attività online. Soprattutto per i musei che hanno iniziato a esplorare l’attività su diverse nuove piattaforme, come TikTok, e si allontanano da Facebook, percepito ormai come un social per “boomer”. E penso che questa attività organica che i musei sperimentano con gli utenti online più giovani creerebbe una relazione più vantaggiosa a lungo termine, poiché la generazione Z non si sentirebbero spinta a visitare i musei durante le gite scolastiche, come accade di solito, ma forse potrebbe essere disposta a farsi coinvolgere per conto proprio e secondo le proprie necessità.
Quali pratiche partecipative hanno proposto i musei polacchi nel periodo della pandemia?
Ci sono stati diversi progetti in corso, così come un paio di nuovi che sono stati realizzati durante la pandemia. I progetti partecipativi sono stati sempre più popolari tra il personale dei musei come un modo non solo per connettersi con il loro pubblico, ma anche per includere narrazioni diverse nei loro istituti. I più interessanti, e quelli su cui mi concentro nel mio articolo per la conferenza MUŻE.X, sono il progetto di ricerca online “Collection in quarantine” e la mostra creata dal Museo Etnografico di Cracovia e l’installazione sociale “Here is Muranów” nel Museo POLIN di Storia degli ebrei polacchi. Questi due progetti presentano i processi più ponderati per includere il pubblico nella pratica museale, oltre a mostrare due approcci molto diversi ai progetti di partecipazione alla pandemia. La “Raccolta in quarantena” è stata progettata specificamente pensando alla sfera online, poiché prevedeva un sondaggio online e una mostra che documenta la vita delle persone durante la pandemia. L’installazione sociale “Here is Muranów”, invece, un progetto complementare a una mostra temporanea omonima, era profondamente basata sulla presenza fisica nel museo, poiché mostrava storie e oggetti fisici che descrivevano molte storie personali di persone legate al distretto di Muranow. Oltre a questi due, c’erano diversi progetti come “MAMBA - Little Museum Embassy” del Museo Nazionale di Cracovia, che ha permesso ai bambini di creare i propri progetti museali, oppure ancora un progetto tuttora in corso di un gruppo di giovani curatori nel Museo Centrale del Tessuto di Łódź , che ha portato alla mostra Earth Given(up). Come si può vedere, c’erano molti progetti partecipativi che erano (o sono tuttora) in corso. Per quanto mi riguarda, nel contesto della ricerca, quello che è più importante sono le differenze di approccio alle particolari sfide poste dalla pandemia, quindi questa è l’area su cui mi concentro.
Quali “trasformazioni” vale la pena mantenere anche dopo la pandemia?
Come detto, penso che sia davvero importante non abbandonare il lato digitale della pratica museale. Un uso più diffuso degli strumenti online, se utilizzato in modo ponderato, può davvero migliorare l’esperienza museale. A parte questo direi che una comunicazione più chiara e aperta con i partecipanti, che era necessaria durante la pandemia, può giovare a tutte le istituzioni culturali. Creare una relazione più profonda con il pubblico, a mio avviso, consentirà ai musei di impegnarsi in modi più significativo sia online che offline. L’ultima cosa che direi che vale la pena mantenere è la flessibilità necessaria per adattarsi alla nuova realtà pandemica. Sebbene sembri controintuitivo per istituti come i musei, nei quali la pianificazione anticipata è al centro della propria filosofia, la flessibilità è fondamentale nelle relazioni interpersonali, e queste sono cruciali nei progetti partecipativi.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.