Hayez: i disegni, lo studio, il metodo. Intervista a Francesca Valli


A Milano è in corso una mostra di disegni di Francesco Hayez. Abbiamo intervistato la curatrice Francesca Valli.

Fino al 21 gennaio, è possibile visitare un’importante mostra su Francesco Hayez, organizzata in parallelo con la grande esposizione alle Gallerie d’Italia di Milano. Si tratta di Hayez a Brera. Il laboratorio di un pittore, allestita presso la Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera, sempre a Milano. La mostra, il cui percorso espositivo è suddiviso in tre sezioni, intende indagare il metodo dell’artista, grazie a diversi disegni (sono circa ottanta quelli esposti), tre taccuini, dipinti, stampe e libri. Non mancano confronti con gli allievi diretti, ed è presente anche una ricostruzione dell’atelier dell’artista. Un progetto interessante, frutto di un lungo e serio lavoro di ricerca, ancora in fieri. Per saperne di più sulla mostra, abbiamo intervistato la curatrice, la storica dell’arte Francesca Valli.

Hayez a Brera. Il laboratorio di un pittore
Hayez a Brera. Il laboratorio di un pittore

Cerchiamo di inquadrare bene la mostra Hayez a Brera. Il laboratorio di un pittore: per Francesca Valli, curatrice dell’esposizione, è necessaria una premessa...
Una premessa per me fondamentale. Questa non è esattamente una mostra di indagine storico-artistica o non solo. Per la prima volta Brera mette in mostra parte dell’eredità di un artista che, fra esposizioni e scuola, ha trascorso 60 anni della sua vita dentro le mura del palazzo e alla cui presenza deve gran parte della sua identità storica. Quindi il problema (la responsabilità anche) è stata rievocare una presenza fisica attraverso i luoghi (la ricostruzione dello studio di Hayez in Accademia) e il suo sistema di lavoro che era allo stesso tempo il suo metodo di insegnamento. Qualcosa di simile, con le dovute differenze, ovviamente, è stato realizzato di recente a Parigi per il Museo Picasso dove con la mostra in corso si è ricostruito anche un allestimento di lavoro.
Il senso del drappo di damasco rosso che dà il via alla mostra in Accademia è quello di evocare l’autoritratto di Hayez più bello, “italiano di Venezia” nella firma, che teneva nello studio di Brera. E anche un omaggio della sua seconda patria milanese alla sua venezianità, se quel tessuto è lo stesso del doge Pesaro nella pala omonima di Tiziano (un dipinto molto amato). Simbologie e metafore ottocentesche che si è inteso assecondare, per quanto possibile.

Francesco Hayez, Autoritratto
Francesco Hayez, Studio per autoritratto

Studio per Sansone
Studio per figura di Sansone
Dietro a ogni mostra seria c’è sempre un lavoro di ricerca, e sappiamo che quello che ha permesso di allestire Hayez a Brera. Il laboratorio di un pittore è stato lungo e approfondito. Possiamo riassumere le principali tappe che hanno portato, appunto, all’allestimento di questa esposizione?
Dietro questa mostra c’è ovviamente un lungo lavoro di riordino che riguarda tutto il fondo Hayez : dipinti (in gran parte esposti a Gallerie d’Italia), disegni, stampe, fotografie, libri, provenienti da lui stesso e dalle sue eredi.
Questo è il suo carattere articolato e questo il suo pregio, perché consente di ricostruire, nello stesso luogo, un metodo. Sono state svolte ricerche documentarie e soprattutto è stato realizzato un complesso lavoro di restauro, nell’arco di circa 10 anni dall’Opificio delle Pietre Dure, coordinato da Cecilia Frosinini. Quello che si presenta è appunto un campione. Il discorso va esteso alla ricostruzione dello studio di Hayez in Accademia, ora utilizzato per la didattica: un particolare corpo di fabbrica costruito in un cortile del palazzo di Brera, a seguito della nomina dell’artista a professore di Pittura, secondo precise esigenze funzionali,come è emerso dai documenti.
Questa è solo una parte del lavoro che ha preceduto la mostra, indirizzato negli ultimi vent’anni alla ricomposizione di tutto il patrimonio storico dell’Accademia di Brera e alla ricostruzione di un sistema (didattico e istituzionale) che rispecchia il moderno sistema delle arti a Milano nell’800. La mostra vorrebbe esserne, seppure approssimativamente e con mezzi molto poveri (i tavoli sono quelli originali ancora in uso nelle aule), un’esemplificazione.

Studio per Maria Stuarda
Studio per figura di Maria Stuarda
In mostra sono esposti circa ottanta disegni, molti dei quali costituiscono studi per opere anche celebri. Quali sono le caratteristiche dei disegni di Hayez e qual era il procedimento tipico dell’artista?
Il lavoro non è concluso, ma solo avviato, su varie campionature, a seguito di un lungo restauro su un fondo consistente: più di 800 fogli, molti disegnati recto/verso, quasi tutti riferibili a più opere. Un catalogo non esiste ancora, solo un inventario informatico. Come è riscontrabile in mostra, in Accademia, salvo rare eccezioni, sono giunti prevalentemente disegni di particolari, non composizioni di insieme, vendute presumibilmente dall’artista stesso o dalle sue eredi, ora conservate presso collezionisti, note solo in parte. Valutazioni definitive saranno possibili solo mettendo insieme tutti i materiali a disposizione.
In mostra si è organizzato “il laboratorio”, per generi (figura, storie, ritratti/autoritratti), quindi il lavoro per parti da analizzare e ricomporre, che sono quelle tipiche della tradizione accademica e anche le categorie estetiche di valutazione usate dal 600 all’800 dalla critica: soggetti, affetti, costumi e fondali, panneggi. Il gioco è sempre quello oscillante del confronto: dal modello storico alla sua scomposizione e elaborazione. Lo stesso schema si è mantenuto nel catalogo che è condiviso con Gallerie d’Italia.
Hayez parte da un tema: tutti i concorsi in accademia propongono un tema fino all’Unità d’Italia. Da “pittore di storia” si documenta per prima cosa su un soggetto, che è un soggetto scritto (la biblioteca di Hayez arrivata in Accademia è costituita di circa 400 volumi fra letteratura, storie, viaggi, repertori illustrati), sui luoghi della storia da raccontare (compie viaggi per disegnare dal vero i fondali) e sui costumi (per gli amati soggetti storici veneziani studia al museo i pittori della fine del ’400). Lo stesso tema serve a selezionare i modelli: se è un campione della forza, per esempio Sansone, la partenza è un pugilatore di Canova, se è una strage, per esempio la Distruzione del tempio di Gerusalemme, i modelli possono essere attinti da altre stragi (anche Guido Reni, per esempio, o Simone Cantarini, un disegno conservato a Brera). A volte usa la carta trasparente per calcarlo (alcune carte sono sopravvissute).
Ma la cosa più importante, sia nella selezione dei modelli sia soprattutto nella elaborazione, è il lavoro indefesso sui gesti, elemento espressivo e retorico fondamentale per il racconto, più ancora delle espressioni del volto. Molti fogli presentano gesti riferibili a dipinti diversi. Hayez stesso dichiara nelle Memorie che amava lavorare a più opere contemporaneamente per riposare la mente nel passaggio dall’una all’altra e prendere le distanze. Dentro queste finalità espressive sta anche la cura riservata ai disegni di panneggi, non mimetici rispetto all’anatomia del corpo, ma funzionali alla enfatizzazione delle passioni rappresentate.
Una tipologia particolare di disegno è quella del d’après, ad acquerello, a posteriori, destinata a un nuovo collezionismo borghese, tipico della nuova società milanese.

La Maddalena di Canova
Francesco Hayez, La Maddalena di Canova


Studio per l'Accusa segreta
Studio per l’Accusa segreta


Quali sono alcuni tra gli esempi più significativi che possiamo ammirare in mostra?
Il ciclo del Sansone, per la figura, che parte dal gesto del pugno chiuso della statua di Antonio Canova. Il ciclo della Sete dei crociati, per le Storie, alcuni degli 80 disegni preparatori. Ma anche tutto il lavoro ininterrotto sulla Presentazione della Vergine al tempio di Tiziano, un vero abbecedario dei gesti. Per le espressioni, di cui i bolognesi andavano famosi, è interessante il nesso con il dipinto di Guercino Abramo ripudia Agar, in Pinacoteca di Brera: relativamente all’Alberico da Romano e al Foscari destituito. Molto belli i taccuini di lavoro della giovinezza di Hayez, specialmente quello rosso, tutto dedicato a Maria Stuarda. Interessanti gli strumenti usati da Hayez per realizzare in morte o a distanza i ritratti: quello di Cavour, realizzato con la maschera funebre, quello più famoso di Rossini con una carte de visite. Anche il vecchio Hayez, sospettoso del genere, si era convinto a usare la fotografia.

Foscari destituito
A sinistra, studio per personaggio di Francesco Foscari destituito; a destra, Francesco Hayez, Particolare dal dipinto Francesco Foscari destituito (1842-1844; Milano, Pinacoteca di Brera)


Studio per la Sete dei crociati
Studio per la Sete dei crociati


Studio per la Sete dei crociati
Studio per la Sete dei crociati

A differenza della grande mostra allestita presso le Gallerie d’Italia, all’Accademia di Brera abbiamo la possibilità di vedere anche dipinti di altri artisti, in particolare di allievi di Hayez: quanto fu importante l’influenza di Hayez sui pittori d’ambito milanese (e non)? E quali sono gli artisti che possiamo trovare in mostra?
Si possono trovare traduzioni grafiche di opere di artisti contemporanei apprezzati da Hayez: in testa Delaroche. O di incisori, illustratori come Déveria. O l’acquaforte famosa di Luigi Sabatelli, che lo aveva preceduto alla cattedra di Pittura, della Peste di Firenze. Queste opere sono tutte di proprietà dell’Accademia e sappiamo attraverso i documenti che Hayez stesso le aveva fatte comprare, dopo la sua nomina ad insegnante e che le teneva appese in aula. In mostra ci sono solo i dipinti dei suoi allievi ufficiali, a partire cioè più o meno dalla sua nomina a Pittura nel 1850, non famosissimi. In realtà i nomi più noti appartengono a una fase precedente, quando, dopo il suo arrivo a Milano nel 1822 aveva insegnato a più riprese come assistente e supplente di Luigi Sabatelli. Si tratta dei fratelli Induno, Eleuterio Pagliano, Giuseppe Bertini, Cherubino Cornienti e altri non direttamente allievi, ma attratti dal grande successo ottenuto da Hayez alle Esposizioni, in un arco di tempo che va dagli anni Trenta fino agli anni Sessanta, quando Hayez stesso, nel 1867, già anziano, decide di chiudere con la pittura di storia, un genere divenuto fuori moda.

In mostra sono presenti anche diverse incisioni, che rappresentano un filone importante della produzione di Hayez: basti pensare al fatto che grazie ad alcune incisioni siamo in grado di conoscere dipinti perduti o non rintracciabili. In che modo la mostra intende valorizzare le tecniche di stampa nella produzione di Hayez?
Sono il segno della modernità, delle possibilità di diffusione di una nuova tecnica, la litografia, letteralmente esplosa, e di grande qualità, a Milano alla fine degli anni Venti, insieme alle traduzioni in italiano della grande letteratura europea, da Walter Scott a Schiller. Una grande fonte di ispirazione per balli mascherati, pantomime, melodramma e, nel nostro caso, nuovi soggetti da dipingere. Quelle di Hayez (avrebbe dovuto fare anche quelle dei Promessi Sposi) sono bellissime. E tanto ci credeva che quando espone nel 1827 la Maria Stuarda condotta al supplizio, pone accanto la sua traduzione litografica.

Alberico da Romano
D’après Francesco Hayez, Alberico da Romano si dà prigioniero con la sua famiglia al marchese d’Este, acquerello


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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