Lo street artist Blek Le Rat (Xavier Prou; Parigi, 1951) è uno dei pionieri della street art internazionale ed è padre e iniziatore degli stencil graffiti, la stessa tecnica che sarebbe stata utilizzata e resa celebre da Banksy, che si può ritenere un epigono dell’artista francese. La sua carriera comincia nel 1981, quando comincia a dipingere per le strade di Parigi dopo aver subito il fascino dei graffiti conosciuti a New York in un viaggio negli anni Settanta. Blek Le Rat si appresta dunque a compiere quarant’anni di carriera: lo abbiamo raggiunto per un’intervista sulla sua arte e sui suoi ultimi lavori. L’intervista è a cura di Federico Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte.
Blek Le Rat (vero nome Xavier Prou) al lavoro nel suo studio di Guérard La Celle (Francia), 23 settembre 2019. Ph. Credit Jasmin Shah. |
FG. Per cominciare, vorrei parlare della Sua ultima opera, il M.U.R. (Mobulable, Urbain et Réactif), realizzato a Rennes nel settembre del 2019. Può parlarci di quest’opera, di com’è stata realizzata, di com’è nata l’idea?
BLR. Non sono abituato a lavorare su muri modulabili: era la prima volta che intervenivo con questa modalità. Ero stato invitato da Patrick Daniello, presidente dell’associazione Le mur de Rennes, e mi pareva una cosa bella, anche perché in queste condizioni, ovvero quando si lavora su di un muro “autorizzato”, non si lavora in urgenza, e con la paura di essere arrestati dalla polizia. Si può dunque continuare a ragionare sull’immagine mentre si lavora, si può costruire in più tempi perché non nascono disavventure dovute all’estrema urgenza di dover finire rapidamente un’immagine realizzata in maniera illegale. Per quanto riguarda quest’opera modulabile di Rennes, un amico, Thierry Gauthé, noto come Bergu, era arrivato di mattina per vedermi dipingere. La casualità di quest’incontro ci ha portati a decidere di comune accordo che sarebbe stato magnifico se Thierry fosse intervenuto sull’immagine come faceva sui miei stencil negli anni Ottanta, aggiungendo i suoi famosi pipistrelli. È stato un momento magico, questo lavoro a Rennes mi è davvero piaciuto molto, e riguardando l’immagine oggi non posso comunque fare a meno di vederci una relazione con l’epidemia di Covid-19.
Blek Le Rat, M.U.R. (Mobulable, Urbain et Réactif) (2019; Rennes) |
Nell’opera ci sono anche relazioni con l’arte antica: riferimenti spesso presenti nella Sua arte. Per esempio, Lei ha rivisitato l’Ultima cena di Leonardo da Vinci (e l’ha anche esposta nell’ultima personale in Italia, che si è tenuta nel 2016 a Milano alla Wunderkammern Gallery). Ad ogni modo, sono molte le opere classiche che Lei ha rivisitato: il David di Michelangelo, la Venere di Milo, il Pifferaio di Manet. Qual è il Suo rapporto con l’arte classica? Secondo Lei che tipo di rapporto dovrebbe instaurarsi tra uno street artist e la storia dell’arte?
Mi sono sempre considerato un risultato sociale. Vale a dire che io sono il risultato di quello che ho visto, ho capito, ho studiato nel corso della mia vita. Ho studiato storia dell’arte all’École des Beaux Arts di Parigi. Ho avuto la possibilità di crescere in una famiglia che approvava l’interesse per tutto ciò che è connesso con l’arte, con la musica, con la letteratura, col teatro, con l’architettura. Mio padre aveva compiuto studî d’architettura, mio nonno, negli anni Venti e Trenta, faceva il decoratore e ha lavorato sul transatlantico Normandie e sull’Orient Express. Quand’ero bambino, negli anni Cinquanta e Sessanta, venivamo spesso in vacanza in Italia perché mio padre adorava il vostro paese, per i suoi tesori artistici. Visitavamo i musei, passeggiavamo a lungo nelle città. Mi ricordo lunghe passeggiate al caldo a Venezia, a Firenze, a Roma, a Napoli. In più, tutta la mia famiglia frequentava continuamente i musei in Francia. Durante la mia infanzia andavo almeno una volta all’anno al Louvre o al Musée d’Art Moderne di Parigi. Andare nei musei era normale. Sono stato dunque impregnato di pittura senza neppure rendermene veramente conto. E anche a casa mia c’erano dipinti ovunque, perché tutti nella mia famiglia (i miei due zii, mia zia, mio nonno paterno) dipingevano, si sentiva dappertutto l’odore di trementina. C’è però anche da dire che la conoscenza della storia dell’arte potrebbe anche rappresentare un freno, perché il peso che esercitano i grandi genî della pittura è troppo pesante per un giovane artista agli esordî. Bisogna appropriarsi della storia dell’arte per poi liberarsene in seguito.
Vorrei parlare della Sua mostra a Milano del 2016. Il titolo della rassegna era Propaganda. Un titolo molto politico in senso lato. Lei definirebbe “politica” la Sua arte?
No, la mia arte non è veramente politica: piuttosto, è un lavoro sociale. Svolgo un lavoro sulla società della mia epoca nelle città. Per esempio, ho lavorato su quel grande problema sociale mondiale che è quello dei senzatetto e dei mendicanti. Ma non ho dei messaggi politici da trasmettere. Non ho mai fatto parte di alcun movimento politico, anche se ovviamente ho delle preferenze politiche: e comunque, raggiunta ormai una certa età, non ci credo più davvero. Quanto alla mostra, l’avevo intitolata Propaganda ricordando un viaggio che avevo fatto coi miei genitori e che ha determinato una parte della mia vita. Un viaggio in Italia all’inizio degli anni Sessanta: su alcuni muri di Padova avevo trovato tracce di stencil risalenti alla seconda guerra mondiale e ancora visibili. Rappresentavano un ritratto di Mussolini di profilo, con indosso un elmo. Mio padre mi aveva spiegato che Mussolini faceva la sua propaganda in tutta Italia anche facendo dipingere la sua immagine sui muri con gli stencil. Per questo avevo deciso d’intitolare l’esposizione in questo modo, proprio per il rapporto di questo ricordo legato a mio padre.
Blek Le Rat, La Cène de Leonardo (2006) |
Blek Le Rat, David (anni Duemila; Parigi) |
Blek Le Rat, Il pifferaio di Manet (anni Duemiladieci; Houston) |
In effetti, malgrado la Sua prima mostra italiana sia arrivata solo nel 2016, sappiamo che il Suo rapporto con l’Italia è molto forte, e il Suo stesso nome d’arte, Blek Le Rat, ha un legame con il nostro paese. Ma qual è il Suo rapporto con l’Italia? Cosa ama del nostro paese? E quali opere ha realizzato qua?
Sì, Blek Macigno, il grande Blek! Ero affascinato da quel fumetto quando avevo undici o dodici anni. Per me, l’Italia è la culla dell’arte, lungo tutta la sua storia. I pittori, gli scultori e gli architetti, da Roma antica in avanti, ci influenzano tantissimo ancora oggi. Nel 1987 ho soggiornato per qualche tempo all’Institut Français di Napoli: amavo quella città, e ho anche realizzato clandestinamente alcuni graffiti sui suoi muri. Rimangono delle splendide fotografie dei miei graffiti realizzate da Libero De Cunzo. I muri di Napoli sono magnifici, forse sono i muri più belli del mondo. Poi, nel 1998, ci sono tornato con la mia famiglia per appendere alcuni poster in città, e infine, nel 2005, mi sono trattenuto per qualche tempo a Firenze, su invito di Tarek Hassanien.
Che parere ha del movimento della street art in Italia? Secondo Lei, ci sono artisti in grado di distinguersi sulla scena internazionale?
Certo, ci sono degli artisti italiani che trovo geniali: Blu, Bo e Microbo sono fantastici, poi citerei Sten e Lex, sono tutti artisti che mi piacciono e che hanno uno stile davvero personale.
Rimaniamo in Italia: quattro anni fa, proprio Blu aveva cancellato le sue opere a Bologna, in un’azione di protesta contro la società che gestisce alcuni importanti musei in città, perché aveva intenzione di organizzare una grande mostra di street art per la quale alcune opere presenti sui muri della città sarebbero state strappate dalle pareti e sistemate in un museo. Blu voleva protestare contro la società perché aveva sottratto opere collettive dallo spazio pubblico, ma chi difendeva la rassegna diceva che si trattava di un tentativo di “musealizzare” un’arte effimera, e rimproveravano l’artista per aver cancellato un’opera che il pubblico avrebbe potuto continuare ad ammirare. Cosa pensate di questi tentativi di musealizzare la street art? La street art dev’essere conservata?
Sì, avevo seguito la vicenda. Per quanto mi riguarda, sarei abbastanza contento se un museo decidesse di acquisire uno dei miei graffiti in situ. Amo gli oggetti, e credo che questo potrebbe essere un bell’oggetto. Inevitabilmente però il senso dei graffiti dipinti illegalmente verrebbe stravolto all’interno del museo, perché uscirebbe dal suo contesto originale. Però i graffiti degli anni Sessanta e Settanta sono spariti, e non ci resta niente di quell’epoca, dei primi passi di questa forma d’espressione: forse, se i musei avessero avuto la lungimiranza di salvarli, noi oggi avremmo le tracce di questi primi passi.
Blek Le Rat, Sibilla (1998; Napoli) |
Intervento di Blek Le Rat al Checkpoint Charlie, Berlino (anni Duemila) |
Intervento di Blek Le Rat al Castello di Bagnac (1992) |
Cosa pensa della street art francese? Alcuni dei più grandi street artist del mondo sono francesi: Mr. Brainwash, Invader, JR, Speedy Graphito, C215. Cos’è che rende la scena della street art francese così dinamica?
La scena francese è estremamente dinamica da tanto tempo perché la street art francese è un fenomeno sociale molto forte, che influenza gli artisti degli altri paesi. Io ho visto tre generazioni di artisti succedersi dal 1981, ho visto cambiamenti di mentalità nel mondo della street art. Negli anni Ottanta era una specie di ribellione. Oggi invece la street art è riconosciuta come una forma d’arte, ha un valore di mercato, il contesto è molto cambiato.
E a proposito di mercato, dopo gli Stati Uniti, la Francia è il paese con il maggior numero di street artist nella classifica di Artmarket.com degli street artist con le migliori vendite all’asta. In questa classifica, la Francia ha sette artisti, l’Italia ne ha zero...
A dire il vero, non seguo queste classifiche che elencano sugli artisti sulla base delle vendite all’asta. Non so perché l’Italia sia messa così. Forse perché gli artisti italiani non vengono sostenuti dalle gallerie italiane.
Cambiando argomento: Lei è uno dei migliori street artist al mondo, ed è un pioniere dello stencil. Perché ha scelto questa tecnica?
Grazie per il complimento intanto. Ho scelto questa tecnica perché non volevo imitare i graffiti di New York, dal momento che sono nato a Parigi e provengo da un’altra cultura, e anche se amo la cultura americana non l’ho voluta imitare. Nutrivo il desiderio di avere un mio stile personale, e volevo che le immagini che facevo s’integrassero con l’ambiente e con le architetture delle città europee. Il muro, il luogo, l’architettura che stanno attorno all’immagine o allo stencil sono molto importanti. Il supporto dell’immagine gioca un ruolo essenziale nel mio lavoro. Il colore, la struttura, l’inserimento nell’ambiente giocano acnh’essi un ruolo davvero significativo nella scelta del muro su cui mi piace intervenire. Qualche volta la vicinanza di un elemento insolito a una mia immagine può cambiare completamente il senso. Sono tutte caratteristiche che rendono la street art un’arte molto sottile. La tecnica dello stencil è poi molto efficace, si può moltiplicare l’immagine centinaia di volte in centinaia di luoghi diversi. È un mezzo perfetto per promuoversi e farsi conoscere. Ci vogliono pochi minuti per imprimere uno stencil nella strada, alcuni secondi per dipingere un topo, per esempio. Bisogna lavorare veloci nelle strade, perché anche la polizia è veloce.
Blek Le Rat, Pecora (anni Duemila; Parigi, Quai Saint-Exupéry) |
Blek Le Rat, Tango (anni Ottanta) |
Blek Le Rat, Rats (anni Ottanta) |
Blek Le Rat, Rats (anni Ottanta) |
Quando si parla di stencil, si pensa spesso a Banksy. Qual è oggi il Suo rapporto con Banksy?
Non ho rapporti con lui. Mi è stato detto che l’ho incontrato a Londra negli anni 2000, quando avevo fatto una mostra alla Leonardo Street Gallery, nel 2006, ma francamente non me lo ricordo. Ad ogni modo penso che sia molto divertente e che il suo lavoro sia ben sincronizzato con la nostra epoca.
Oggi la street art è diventata molto popolare ed è una delle forme d’arte più apprezzate. Per molti critici (e anche per molti storici dell’arte), è una forma d’arte più diretta di altre, e molto inclusiva. Secondo Lei, che cos’è che rende grande uno street artist? Se un giovane street artist Le chiedesse un consiglio, cosa gli direbbe?
Che il suo stile dovrebbe adattarsi a lui. Non deve cercare di copiare gli altri artisti. Deve avere la sua personalità. Louis Ferdinand Celine diceva: “di idee sono piene le strade, ma uno stile è raro: ce ne sono due o tre per generazione e ci sono migliaia di artisti che ripetono quello che altri hanno dipinto. La morte è la vera ispiratrice, e se voi non mettete la vostra pelle sul dipinto, non avete niente. Bisogna pagare”.
Un’ultima domanda. Nelle sue opere, il ratto si trova ovunque. Ma cosa significa per voi questo animale?
RAT=ART!
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).